Cinema e lavoro – Signorina Effe

Milano, 11.3.2019

Regia: Wilma Labate – Soggetto: Wilma Labate, Francesca Marciano e Carla Vangelista – Sceneggiatura: Wilma Labate, Francesca Marciano e Carla Vangelista – Fotografia: Fabio Zamarion, Montaggio Francesca Calvelli Musiche – Pasquale Catalano – Scenografia: Gian Maria Cau – Interpreti: Filippo Timi, Valeria Solarino, Sabrina Impacciatore, Fausto Paravidino, Clara Bindi, Gaetano Bruno, Luca Cusani, Marco Fubini, Giorgio Colangeli, Fabrizio Gifuni – Durata: 95 min – Produttore – Bianca Film, Rai Cinema – Distribuzione: 01 Distribution.

Ogni famiglia ha il suo cavallo dato per vincente. I Martano, una famiglia operaia di origine meridionale trapiantata a Torino, hanno Emma. Emma è impiegata alla Fiat in un settore nuovo, quello informatico. Ha lavorato sodo fin da piccola per cancellare la sua origine e risalire la china. Ora sta per laurearsi in matematica ed è prossima a sposare Silvio, un dirigente dell’azienda torinese, vedovo, con una figlia. E’ il settembre 1980, la Fiat annuncia che licenzierà quindicimila operai. Ha inizio il lungo durissimo sciopero che durerà 35 giorni. Nel clima di scontro senza quartiere tra azienda e classe operaia, Emma è sempre più attratta da un giovane militante che lavora alle presse, Sergio. E per tutta la durata dello scontro la ragazza vive un’intensa ma breve storia d’amore che toglie senso alla sua faticosissima ascesa sociale e la spinge a rompere con la famiglia, a rompere con l’uomo che vuole sposarla. In pochi giorni Emma consumerà drammaticamente l’esperienza più importante della sua vita. Mentre un’epoca si chiude e un’altra se ne apre senza promettere, per i più, niente di buono.

Un film sullo sciopero sindacale in Fiat che, dopo 35 giorni di proteste, terminò con la sconfitta dovuta alla marcia dei 40 mila colletti bianchi. Un film forse non totalmente riuscito che comunque si offre ad una riflessione ancora attuale in merito alla lotta di classe.

LA CRITICA

Malgrado gli elogi ottenuti al Torino Film Festival, Signorinaeffe è un film senza ritmo, girato con uno stile televisivo incapace di registrare le sfumature e che rievoca più una fiction che un grande capitolo di cinema civile: Sergio imbarazzato in giacca in un ristorante chic per far colpo su Emma; l’amico operaio – barricadero – tossicodipendente che ritrova la voglia di vivere fra le braccia di una maestrina d’asilo e su un prato le confessa di volere decine di figli. Altro che Ken Loach! Purtroppo anche la recitazione ricorda spesso stilemi adatti al pubblico televisivo, evidentemente didascaliche, con occhiate fin troppo esplicite tra i protagonisti, con lunghe discussioni intorno all’ormai classico bicchiere di vino in cui non si ragiona di un mondo che cambia ma si lanciano frasi lapidarie ormai consunte dal tempo. Gli unici momenti “vivi” sono quelli affidati ai filmati d’epoca che ricostruiscono un’Italia ad un bivio e sulle barricate e che ci danno la misura del dramma sociale che si andava vivendo. Però, Valeria Solarino, nei panni di Emma, è troppo bella per quegli anni cupi.(Stefano Cocci – MyMovies)
Il titolo del film allude a un documentario di Giovanna Boursier (La signorina Fiat) che ricostruisce l’esperienza di un’impiegata dell’azienda torinese dal 1961 al 1994, anno in cui viene licenziata. […] Nella rivisitazione della Labate, tuttavia, agli ingredienti classici – presenza dei temi sindacali, rappresentazione della fabbrica e della cultura operaia, tensione ideologica e militante – si affiancano una dimensione melodrammatica (la storia d’amore), per altro tenuta a freno da uno stile narrativo molto sobrio, e un gusto per la ricostruzione storica, sottolineato dai frequenti inserti di documenti d’archivio, servizi televisivi d’epoca e ritagli di giornale, che permettono di ricostruire la dinamica dei 35 giorni di sciopero degli operai torinesi, culminata con la manifestazione dei colletti bianchi, gli scontri fuori dallo stabilimento, la cassa integrazione. Eppure, l’interesse del film non risiede semplicemente negli aspetti storico-documentari: il cinema, anche quando sembra riferirsi al passato, intende parlare in ultima analisi del presente, come dimostra la scena finale del film, che rappresenta la condizione sociale di Emma e Sergio, lei signora borghese, agiata, alle prese con lo shopping, lui tassista. La critica della prima ora, parlando di stile televisivo, schematico e didascalico, ha mostrato un’acredine forse eccessiva nei confronti di questa pellicola, ricorrendo a formulazioni che meriterebbero un maggiore approfondimento. […] Mentre non è stato sufficientemente sottolineato quello che è forse l’aspetto più interessante di Signorinaeffe, vale a dire lo stretto legame tra pubblico e privato. … Contrariamente a quanto lascerebbe prevedere il cliché televisivo a cui abbiamo accennato, il film ha una svolta assolutamente antiromantica: l’amore e il soggettivismo non bastano, il romanzo rimane – per citare il celebre saggio di Ezio Raimondi – “senza idillio”. (A. Bettinelli, – effettonotteonline)

Signorinaeffe è la storia di una rivolta individualistica, che è anche un sentimento pedagogico e libertario, un riflesso della complessa riflessione sui danni collaterali che le lotte di classe hanno prodotto nel nostro Paese. Nei film della regista romana la Storia non è dunque solo il tempo dove ambientare un racconto, dove far vivere e agire i personaggi, condizionati da eventi più grandi di loro, ma anche un personaggio da ascoltare e seguire nelle sue varie declinazioni e portatrice di una realtà tutta da verificare. Inutile dire del 1980 di Signorinaeffe, ché la storia è così divorante nei confronti della Fiat e di Torino, dove tutto è talmente vissuto con partecipazione da essere percepito come racconto cronachistico. La storia rappresenta così uno spazio, dove i personaggi come Sergio ed Emma arrivano a realizzarsi. E il loro smarrimento che attirato sguardo della Labate, l’istante in cui la Storia prende il sopravvento e tutto muta all’improvviso. […] la regista adotta una percezione delle cose che subisce un ribaltamento delle regole. II punto di vista è quello di uno sguardo che vuole sottolineare una storia di ribellione dal comune sentire. Un comune sentire come quello che fa superare l’esame universitario a Emma, solo perché conosce l’ingegnere Fiat, a dimostrazione di come uno sguardo estraneo e quindi non torinese come quello di Wilma Labate sia più profondo di quello di un cineasta legato alla realtà locale. Quindi la ricerca della regista verso le motivazioni dei personaggi appare come un passo in direzione del raggiungimento del portato politico del racconto. (F. Zanello, “Segnocinema” n. 150, marzo-aprile 2008)

DICHIARAZIONI

«Di operai si parla sempre meno. Via via che si dismettono le grandi fabbriche, si smantellano i quartieri dormitorio, l’universo del lavoro non si racconta più. Ha perso di smalto e di spettacolarità. Un computer non ha lo steso fascino dell’officina, l’enormità di un reparto metalmeccanico non ha lo stesso impatto emotivo di un capannone dove s‘imballano cadaveri di polli nella plastica. Oggi è la vita fuori dalla fabbrica che parla e nel cinema è più protagonista il disoccupato che il lavoratore. Eppure l‘uomo che lavora alla macchina è corpo di cinema, offcina di cultura e di linguaggi. Il 1980 segna la fine del fordisimo e del movimento operaio, sconfitto da quei quarantamila quadri e impiegati che per la prima volta s’impadroniscono della piazza. Emma è una di loro, impiegata modello che perde la testa per l’operaio Sergio che odia chi lo vuole merce scaduta e non comprende una ristrutturazione di carattere epocale che cancella il suo ruolo politico. Disegnare il carattere di Emma è stata una sfida per Valeria, attrice fresca e intelligente e per me un confronto da donna a donna che ha tratteggiato i contorni di un personaggio fuori dagli schemi. Raccontare una dona a tutto tondo era un’urgenza sentita da sempre, puntare sul fascino di un’identità contraddittoria e autentica, mettere in scena il desiderio di vivere la passione senza indecisioni e di affrontare le conseguenze fino alla sconfitta finale. L’amore di Emma finisce quando gli oprai perdono, quando loro rappresentanti siglano l’accordo, quando si chiude la stagione della cultura politica operaia, del movimento più significativo della cultura del Novecento. Due passioni, una privata, l’altra collettiva, consumate nell’arco di 35 giorni». (W. Labate)