Cinema e lavoro – Singolarità di una ragazza bionda

Milano, 30.8.2019

Regia: Manoel de Oliveira – Soggetto: Eça de Queiroz – Sceneggiatura: Manoel de Oliveira – Fotografia: Sabine Lancelin – Montaggio: Catherine Krassovsky e Manoel de Oliveira – Musiche: Henri Maïkoff – Scenografia: Christian Marti e José Pedro Penha – Costumi: Adelaide Trêpa – Interpreti: Ricardo Trepa, Catarina Wallenstein, Diogo Dória, Julia Buisel, Leonor Silveira – Produttuzione: Filmes do Teco II, Les Films d’Après-Midi, Eddie Saeta – Distribuzione in italiano: Mediaplex – Durata: 64 min.

Un giovane di nome Macário racconta una sua triste vicenda sentimentale a una compagna di viaggio in treno. Il giovane si confida con la signora sconosciuta perché, come recita un antico proverbio portoghese, «O que não contas à tua mulher, o que não contas ao teu amigo, conta-o a um estranho, na estalagem» (Ciò che non diresti mai a tua moglie o a un amico raccontalo a uno sconosciuto alla locanda). Macário lavora a Lisbona come contabile alle dipendenze di suo zio Francisco. Si innamora di una ragazza bionda, Luisa, che scorge dalla finestra del suo ufficio. I due successivamente si incontrano e decidono di sposarsi. Lo zio Francisco tuttavia si oppone al matrimonio. Macário si trasferisce allora a Capo Verde in cerca di fortuna; ritorna poi in Portogallo con un piccolo capitale che gli permetterebbe di mettere su famiglia. L’ingenuo giovane perde tuttavia il suo denaro, che presta a un amico truffaldino. Ricomincia da capo; ottiene infine dallo zio il permesso di sposare la bionda Luisa; ma una brutta scoperta gli impedirà ancora una volta di sposare la ragazza.

Pur trattandosi di un racconto romantico De Oliveira introduce elementi legati al lavoro nella contemporaneità compresa la ragione sentimentale alla base dello stesso. E’ l’opera di un regista centenario che gira un film sulla poesia, la giustizia, la riflessione sul bene e il male e sulla complessità della natura umana

LA CRITICA

Un antico detto della Galizia afferma che ciò che non si rivelerebbe mai né alla propria moglie né al migliore amico può essere detto a un estraneo. È quanto fa il giovane Macário in viaggio in treno verso l’Algarve. Rivolgendosi a una sconosciuta compagna di viaggio le rivela la sua triste storia. Lavorando nell’ufficio dello zio Francisco a Lisbona aveva notato una giovane fanciulla che si affacciava alla finestra del palazzo di fronte muovendo con grazia un elegante ventaglio cinese. Innamoratosene rapidamente il giovane aveva chiesto allo zio il permesso per sposarla ottenendone un diniego. Abbandonata la vita agiata aveva accettato un incarico commerciale che lo aveva rimesso in sella economicamente. Ora poteva davvero aspirare al matrimonio. Ma… Manoel De Oliveira giunto alla più che venerabile età di 101 anni continua a dirigere con grande controllo opere estremamente differenti tra di loro per il soggetto ma ormai perfettamente identificabili sul piano della autorialità. Perché questo Grande Vecchio del cinema (che ha già girato il film che si potrà vedere solo dopo la sua morte) gioca ormai con leggerezza su temi e situazioni su cui altri cadrebbero rovinosamente dopo soli cinque minuti di proiezione. Questa volta l’impresa è legata all’attualizzazione di un testo letterario dello scrittore portoghese Eça de Queiroz che poco si confà allo spirito dei nostri tempi. Eppure il regista riesce a mettere in scena, con lo sguardo teatrale che spesso lo ha contraddistinto, modi del passato e situazioni del presente quasi li volesse sospendere sul cavo teso di una temporalità astratta in cui il suo Paese abbia l’opportunità di rispecchiarsi. È come se De Oliveira dichiarasse esplicitamente che il suo Portogallo non solo affonda, come tutte le culture degne di questo nome dovrebbero fare, le sue radici nel passato per proiettarsi nel futuro ma che, nello specifico, il tempo che fu è ancora e non ce ne si può facilmente liberare come invece sembra accadere nella relazione tra i due protagonisti. In fondo il regista che conosce la Vita ci ricorda, tra arpiste e fini dicitori (Cintra uno dei suoi attori preferiti) che fanno da sottofondo a chi gioca d’azzardo, che l’idealizzazione non è mai stata una buona maestra anche se, senza ideali e mete da raggiungere, i treni non sarebbero stati mai inventati e non potrebbero correre verso un domani peraltro incognito. (Giancarlo Zappoli – MyMovies)

In treno il giovane Macário racconta a una sconosciuta una dolente storia. Innamoratosi di una ragazza bionda, che vive nell’appartamento davanti al suo ufficio, fa di tutto per conoscerla, ma lo zio per cui lavora si oppone e lo licenzia. Quando ha il denaro e il consenso dello zio, scopre che non è la ragazza che credeva. Ispirato al racconto omonimo (1874) di José Maria de Eça de Queiros, massimo esponente del realismo portoghese. Oliveira traspone la vicenda ai giorni nostri, attualizzando la tematica economico-finanziaria: senza lavoro c’è povertà. Il giovane Macário ha soltanto il suo stipendio, lo zio Francisco è ricco e potente. Molti i riferimenti politici e culturali al Portogallo del Duemila. La sequenza del salotto culturale in casa del notaio è il centro del breve film. L’azione si svolge in due stanze: in una si ascoltano l’arpista Ana Paula Miranda e l’attore Luis Miguel Cintra che recita poesie di Pessoa tra la disattenzione quasi generale; nell’altra si gioca a poker. Lo stile del centenario Oliveira è inconfondibile: immagini ferme, uso del fuoricampo (ombre, voci, rumori off) e degli specchi. (Morando Morandini)

Non ci stancheremmo mai di Manoel De Oliveira, del suo sguardo rivelatorio e sempre spiazzante, soprattutto quando è immerso in questi piccoli gioielli da camera, lunghi magari poco più di un’ora (come Porto da minha infanzia, tanto per citarne uno). Singolarità di una ragazza bionda, è l’ennesimo splendido titolo di una carriera unica al mondo, quella di un autore capace in vecchiaia (e che vecchiaia, a dicembre ha fatto 100…) di non appiattirsi mai ma anzi, al contrario, di continuare a sorprendere e a sorprendersi di fronte alla macchina-cinema e, perché no, a sfidare le convenzioni borghesi. Singularidades de uma rapariga loura è un film di una leggerezza stupefacente, frivolo e beffardo come solo l’amore sa essere, che guarda con lucido disincantato le parole e gli sguardi che seducono e – al contempo – che condannano. Inevitabilmente (Lorenzo Leone – Quinlan)

La storia è dichiaratamente d’altri tempi, e il fatto che i titoli dicano sia riadattata ai giorni nostri vuol dire poco, perché De Oliveira cambia i vestiti e mette un computer al posto di una macchina da scrivere, ma per il resto i personaggi chiedono il permesso di sposarsi ai genitori, scrivono lettere, sono formali, eleganti, distinti, quando baciano sollevano un piede all’indietro. Il tutto in una Lisbona raffinata e colta, immortalata da lontano di giorno e di notte per scandire il tempo che passa (in modo simile alla Parigi dello splendido “Belle toujours”), fatta di negozi eleganti, circoli letterari, ricevimenti di illustri mecenati d’arte che ospitano una arpista che esegue Debussy e un attore che recita Pessoa, tra broccati, tappeti persiani, candelabri, eleganti gentildonne impettite e gentiluomini che giocano a poker. E’ un film che piacerà agli amanti del cinema di De Oliveira e lascerà perlomeno perplessi tutti gli altri. Si tratta di un omaggio a Eça de Queiroz, e come tale va interpretato in tutta la sua straniante ambiguità. Il dialoghi e le situazioni sono esplicitamente letterari, la recitazione è stridente, un po’ sopra le righe, la narrazione volutamente surreale, di maniera, inverosimile per i tempi moderni (pensate a chiedere in sposa una ragazza dopo che l’avete vista a una finestra e ci avete parlato assieme una volta, domandare il permesso di farlo a vostro zio, e finire a Capo Verde per guadagnare i soldi per il matrimonio). Come se un film di inizio secolo (ma col sonoro) fosse girato oggi. Ci si può chiedere perché De Oliveira abbia realizzato questo mediometraggio, che pare quasi un intermezzo tra una produzione e un’altra, se un maestro del cinema abbia completamente sbagliato la storia e si sia improvvisamente appannato, oppure se abbia voluto assemblare un divertissement cinematografico colto, magari non eccellente, non troppo brillante e ispirato, è vero, ma comunque una interessante sperimentazione di classe e stile. (Davide De Lucca – Onda Cinema)