Cinema e lavoro – The Company Man

Milano, 6.3.2020

REGIA John Wells SCENEGGIATURA: John Wells FOTOGRAFIA: Roger Deakins MONTAGGIO: Robert Frazen MUSICHE: Aaron Zigman INTERPRETI Ben Affleck, Kevin Costner, Maria Bello, Tommy Lee Jones, Chris Cooper, Craig T. Nelson PRODUZIONE: Battle Mountain Films, Spring Creek Productions DISTRIBUZIONE: 01 DURATA 109 min.

Bobby Walker ha un ottimo lavoro, guadagna bene ed ha una bella famiglia. A soli 37 anni incarna la realizzazione del sogno americano. La sua vita viene però sconvolta quando la multinazionale per cui lavora, alle prese con la crisi, lo licenzia senza troppe spiegazioni. Bobby si illude di poter trovare subito un nuovo lavoro non diverso dal precedente e così non considera minimamente di modificare il proprio tenore di vita. La moglie Maggie, che invece guarda in faccia la realtà, prospetta fin dall’inizio la possibile vendita della casa il cui mutuo non è realisticamente più affrontabile alla luce della nuova situazione. Gene McClary, il braccio destro del capo dell’azienda, è contrario alla politica dei licenziamenti che, per altro, passano tutti attraverso la sua amante Sally, in realtà impotente responsabile delle risorse umane. A seguito di una imminente fusione, l’azienda lancia una nuova campagna di licenziamenti che stavolta colpisce uno dei suoi ex colleghi più esperti, Phil Woodward, ed anche lo stesso Gene. Mentre Bobby col passare dei mesi si rassegna a cambiare stile di vita, per Phil il licenziamento è un forte trauma. Per Gene è una sorta di ricco prepensionamento, ma dal punto di vista umano è una sconfitta perché l’azienda era nata con lui. A Bobby, dopo aver restituito l’auto ed aver messo in vendita la casa, non resta che tornare a vivere dai suoi genitori e umiliarsi accettando il lavoro da manovalanza offertogli da suo cognato, titolare di una piccola impresa edile. Il duro lavoro di manovale ridà un senso e una dignità alla vita di Bobby che grazie alla forza morale e all’amore della moglie esce così dalla crisi. Cosa che non riesce a Phil che dopo rabbia, silenzi, sofferenze e umiliazioni, si suicida. Gene dalla fusione della sua compagnia ha guadagnato molto denaro: così, dopo aver lasciato la moglie, decide di ripartire da zero e proprio dal settore cantieristico con il quale la compagnia era nata. Per attuare il suo progetto si affida ad uno staff dei più valenti collaboratori che la compagnia nel corso degli ultimi tempi aveva licenziato, ma senza prendere con se’ l’ex amante, che ancora impiegata nella GTX sente il peso di dover preparare le liste dei licenziati senza alcun margine di scelta sulle situazioni. A capo di questi Bobby Walker che, ringraziato il ruvido ma generoso cognato, può tornare con fiducia a vestire i panni del manager con una ventina di dipendenti in una palazzina del vecchio cantiere navale ormai in abbandono mentre la panoramica degli enormi docks portuali inattivi suggerisce la domanda se la nuova iniziativa avrà realmente successo.

L’impatto di un ridimensionamento aziendale e le sue conseguenze in un film che mette in immagini l’utopia di un capitalismo umanitario . Un dramma corale sulle conseguenze della grande crisi finanziaria del mercato mondiale.

LA CRITICA

Ci sono film che da noi non raggiungono le sale forse perché, visto lo scarso successo al box office in patria, sembrano non avere chance. Forse i distributori nostrani hanno ragione perché in tempi di crisi ben pochi hanno voglia di vedere sul grande schermo quello che è il loro presente o potrebbe diventare il loro futuro. Ci sono però opere che sanno descrivere con chirurgica precisione dei percorsi esistenziali determinati dal sacrificio al tribale “Dio Mercato” che invece meriterebbero una visione. The Company Men è una di queste. I motivi sono essenzialmente due. Innanzitutto il cast che offre ai diversi personaggi delle caratterizzazioni puntuali ed estremamente realistiche ma soprattutto il punto di vista assunto dalla sceneggiatura. La crisi che ha colpito gli Usa nel passato recente e che si è estesa a tutto il mondo viene vissuta sulla pelle di chi si riteneva intoccabile.
Wells (che ha scritto il film oltre a dirigerlo) non si fa travolgere dal rischio della retorica. Non ci racconta dell’impiegato o dell’operaio che si ritrovano sul lastrico. Ci mostra invece con dovizia di particolari la discesa da un Olimpo che produce progressivi slittamenti nella vita di chi è costretto ad affrontarla. Se Bobby ha una moglie accorta che lo mette di fronte alla realtà e lo invita a non simulare un benessere che non c’è più e non si sa se sarà mai nuovamente raggiungibile, Phil non è nelle stesse condizioni e deve fingere di avere un lavoro che ha perso per non perdere la reputazione con chi lo conosce. Sopra di loro c’è Gene, che ha fondato l’azienda e se ne vede progressivamente mettere ai margini costretto a comprendere che ciò che conta oggi appartiene alla virtualità del Mercato e che solo chi lo adora offrendogli costanti sacrifici umani può pensare di riuscire a conservare i propri privilegi.
Ognuno di questi personaggi subisce umiliazioni alle quali reagisce come può e sa. Tutti ne escono cambiati e consapevoli della necessità di un ritorno alla concretezza dell’operare liberato dalla volatilità corrosiva delle Borse. Primo fra tutti Bobby, costretto dai fatti ad accettare un lavoro di carpentiere dal disprezzato cognato, interpretato da un Kevin Costner ruvido ed efficace quanto basta per insegnare a piantare chiodi che tengano, soprattutto nella vita. (Giancarlo Zappoli – MyMovies)

Siamo tristemente abituati alle notizie di aziende che tagliano o chiudono lasciando a casa centinaia di lavoratori alla volta, e anche il cinema più volte ha proposto film che rappresentano il dramma di operai e impiegati che perdono il posto di lavoro (il migliore italiano? Giorni e nuvole di Soldini; il migliore in assoluto? Le nevi del Kilimangiaro del francese Robert Guediguian). The Company Men sposta l’inquadratura più in alto, per guardare nella vita di tre dirigenti licenziati dall’oggi al domani. Bobby Walker (Ben Affleck), Phil Woodward (Chris Cooper) e Gene McClary (Tommy Lee Jones) sono tre pezzi grossi di quello che una volta era un cantiere navale, diventato con gli anni una grossa compagnia finanziaria cui la produzione interessa sempre meno, dato lo sforzo di massimizzare i profitti e assicurare utili sempre più elevati agli azionisti. Così, all’ennesima visita dei “tagliatori di teste”, Walker e Woodward perdono il posto: il primo, abituato a 120.000 dollari l’anno più benefit, non riesce a capacitarsi di dover cambiare radicalmente un tenore di vita (basta club del golf, via la Porsche, ridiscutere il mutuo) anche perché i colloqui di lavoro non portano a niente. Il secondo ha 60 anni, e questo dice già tutto. Anche il terzo, di più alto grado, quando oserà obiettare al capo – suo amico dagli inizi della compagnia – che le persone non sono semplicemente costi per l’azienda, riceverà il benservito.
Il film è molto efficace nel rappresentare lo stato d’animo di chi era abituato a concepirsi in un certo modo all’interno dell’azienda, con un concetto di lavoro molto differente da quello conosciuto fino a solo pochi anni fa. Una distanza che viene accentuata quando Walker, dopo averle provate tutte (compresi i gruppi di sostegno per migliorare la propria autostima), accetta di fare l’operaio alle dipendenze del cognato (Kevin Costner), titolare di una piccola impresa di costruzioni. Lasciate alle spalle le punzecchiature tra i due durante le cene familiari, proprio sul valore del lavoro dell’uno e dell’altro, per Walker essere costretto al lavoro manuale (e alle inevitabili critiche del capo/cognato) diventa l’occasione per riscoprire la soddisfazione per un lavoro ben fatto come “la cosa più vicina alla felicità che si possa provare in terra” (per citare Primo Levi) e anche per ritrovare un giusto equilibrio in famiglia. Purtroppo, e anche nel film, non tutti riescono a trovare nuove prospettive professionali e questo non può mancare di suscitare interrogativi reali sull’economia e sulla società. Le risposte del film indicano una possibile soluzione nell’abbandono di certa finanza per tornare a meccanismi più semplici anche se meno remunerativi. Ma soprattutto una rivalutazione della persona, il cui valore non è certo misurabile solo nella riga dei costi in un bilancio aziendale. (Beppe Musicco – Sentieri del cinema)