Cinema e lavoro – Fame chimica

Milano, 22.12.2017

Regia Antonio Bocola, Paolo Vari Soggetto Antonio Bocola, Filippo Casaccia, Simona Giacomelli, F.Scarpelli, Sabina Uberti Bona, P. Vari Sceneggiatura Antonio Bocola, Paolo Vari, Cristina Proserpio, Francesco Scarpelli, Gianfilippo Pedote Fotografia Mladen Matula Montaggio Maurizio Grillo Musiche Luca Persico Interpreti Marco Foschi, Matteo Gianoli, Valeria Solarino, Teco Celio, Mauro Serio Produttore Franco Zuliani, Gianfilippo Pedote, Pio Bordoni, Franco Bocca Gelsi Distribuzione Lucky Red Durata 97’

Claudio e Manuel, amici da sempre, sono cresciuti nel contesto non facile della Barona, quartiere della periferia sud di Milano e hanno condiviso le principali esperienze della loro vita.Tuttavia sono molto diversi: Claudio si ammazza di lavoro in una cooperativa a ritmi esasperati, per portare a casa qualche soldo, ma si sente totalmente insoddisfatto e senza alcuna prospettiva per il futuro; Manuel lavora come gommista, ma di fatto il suo business è lo spaccio, che gli fa guadagnare un bel po’ di soldi e il rispetto degli zarri del quartiere. Manuel rappresenta il prototipo dello zarro metropolitano e in piazzetta è lui il capo. L’amicizia tra i due giovani si incrina a causa di una ragazza, Maja, la bella amica d’infanzia di Claudio, che vive a Londra ed è tornata per alcuni giorni in città. Sullo sfondo c’è la vicenda della piazzetta che vive il rapporto conflittuale tra immigrati e italiani. Il tabaccaio Grignani (che poi è il padre di Maja) organizza un comitato per costruire una cancellata per separare gli italiani dagli stranieri, che sono accusati di essere la fonte di tutto il degrado della zona. Claudio, però, è convinto che l’edificazione della barriera sia un pretesto per eliminare la concorrenza del maghrebino Zakhir che gestisce l’altro bar della piazzetta, ma, nonostante ciò, l’iniziativa trova forte sostegno da parte della popolazione del quartiere. Una notte, mentre Claudio, Maja e Manuel passeggiano assieme, scoppia una bomba nel bar di Grignani. Arrivata la polizia, Maja e Claudio riescono a scappare. Manuel, invece, rimasto ferito nell’esplosione, reagisce aggredendo un poliziotto e rubandogli la pistola, ma poco dopo viene arrestato.Le accuse che pesano su di lui sono gravi: ha minacciato un poliziotto e viene trovato in possesso di cocaina, quindi rischia parecchi anni. La vicenda si chiude con Claudio che decide di finirla con il suo ingrato lavoro e Maja che torna a Londra; nel frattempo in piazzetta la cancellata verrà costruita, ma per Grignani, che guarda sconsolato il suo bar distrutto, non c’è niente da festeggiare.

Un’opera prima, realizzata da due documentaristi, che parla delle periferie in bilico tra spaccio, lavoro ed emigrazione. Un film ancora molto attuale a 15 anni di distanza. Peccato che i due registi si siano limitati a questo film senza proseguire in campo cinematografico se non con qualche documentario.

LA CRITICA

Due amici d’infanzia nella periferia milanese, due “zarri”: uno fa lo spacciatore, l’altro un lavoro normale, faticoso e mal pagato. I due si innamorano della stessa ragazza e la loro amicizia è ad un bivio. Sullo sfondo, la piazza dove vivono è teatro di forti scontri sociali.Un film che nasce da una forma produttiva mai tentata in questa misura in Italia: tutti quelli che ci hanno lavorato hanno una compartecipazione negli utili e nelle eventuali perdite del film. Già da questo se ne può individuare lo spirito: la voglia di lasciare il segno, di dire che il cinema può raccontare la realtà senza rinunciare a fare spettacolo. Con tutta le vitalità, la rabbia ma anche l’amore di cui i giovani sono capaci. Anche se le maschere che indossano per non mostrare le loro ansie potrebbero far credere l’opposto a chi è pronto a giudicare senza fare lo sforzo di conoscere. (Giancarlo Zappoli – MyMovies)

È diventato un piccolo caso ‘Fame chimica’, tanto che se ne sta interessando perfino la rivista ‘Variety’ e a Milano il film è ancora fra i migliori incassi. Merito del tema giovanil metropolitano del film di Paolo Vari e Antonio Bocola: il panorama è quello della periferia con i fabbriconi della grande città e il tema è quello di sempre, la tensione sociale e psicologica dei giovani che stanno entrando nel mondo. Senza retorica il film espone i casi didascalici di due ragazzi inseparabili che fanno scelte diverse, uno lavorando e guardandosi intorno con rabbia, l’altro preferendo le scorciatoie della malavita. I due destini si incrociano di nuovo con la bella Valeria Solarino da cui entrambi diventano sentimentalmente dipendenti, ritrovando anche però le ragioni dell’ amicizia. Quello che piace è il tono vero e documentario del film che non alletta, non fa sconti e non fa le fusa neppure sul leoncavallismo, ma racconta una semplice storia come tante con sensibilità sintonizzata sui ventenni. (Maurizio Porro, ‘Corriere della Sera’, 22 maggio 2004)

Il film si immerge con intensità in una città vera anche e soprattutto nelle facce e nel linguaggio, aderente allo slang duro delle periferie milanesi. Una produzione indipendente coraggiosa dove spicca la colonna sonora, che insieme al suo curatore – Zulù dei 99 Posse – funziona all’interno della vicenda come una specie di coro greco. (FilmTv)

La periferia non è un’appendice, è un filtro della catena esistenziale, un incrocio estasiante. Indipendente e coraggiosa: opera sui corpi sensibili in ambiente troppo chimico. Nella periferia immaginaria, gli sguardi non si lasciano contaminare da estetiche “accentratrici”, calando ineluttabilmente esistenze ciondolanti, miscele inquinanti ed esplosive, tra spazi più vivi e filtrati dal desiderio di scoprire la fragranza letale. La periferia è una polveriera, un laboratorio di esperimenti e di riscatto per chi negozia sicurezza con la libertà. Sicurezza dai neri, profanatori di giardinetti, dai composti di degrado sociale che si decompongono con altre sostanze inquinanti. Ma il prodotto “profumato” è più letale, più irritante o allergico della sostanza originale, dei ritmi sporchi, affannosi e arrabbiati della macchina da presa, dei volti marginali, della faccia in primo piano di Luca Zulù Persico (99 Posse). La periferia è una dimora, uno stato divoratore: non un limbo, un non-luogo desertificato e scorporante. Scoprire che lo schermo protettivo, di sbarramento è saltato tra la metropoli e la sua realtà suburbana: è stato rimpiazzato da un’infinita quanto inattaccabile, dissolvenza funerea dove il cinema si sente e si subisce. (Leonardo Lardieri – Sentieri Selvaggi)

Filmetto a budget ridotto che prova a raccontare cosa significhi nascere e crescere nel quartiere degradato di una grande città: sembra inevitabile entrare in contatto con droga, violenza e razzismo, per finire a far parte di un circolo vizioso da cui è difficile uscire. La drammaticità del racconto viene enfatizzata dagli stereotipi nella scrittura e dall’ambientazione marcatamente grigia e notturna, mentre la macchina da presa segue le vicende in modo piuttosto ordinario. I personaggi rivestono ruoli fin troppo definiti – il bravo sfortunato, la ribelle affascinante, il buono che ha preso la strada sbagliata – e una maggiore originalità nella costruzione dei caratteri non avrebbe certo guastato. Il pur lodevole spunto di partenza viene ben presto perso di vista, e la narrazione si trascina stancamente tra denuncia sociale di bassa lega e monito alle generazioni future. (Long Take)

….Da un tale contesto, che sembrerebbe quasi banale (storie di adolescenti comuni, una realtà locale circoscritta), si riesce invece a tracciare un ritratto efficace e veritiero dei nostri giorni: vengono affrontati alcuni delicati argomenti d’attualità, dal problema dell’inserimento degli immigrati alle relative conseguenze sul piano politico (compreso il razzismo), alla brutale realtà del lavoro sottopagato. Lodevole la scelta di non citare il nome della città in cui si svolge il tutto, giacché tali brutture non sono certo prerogativa di una sola metropoli, ma della gran parte delle città italiane. Realismo è l’imperativo: realismo inteso nel senso di perfetta rappresentazione della realtà, scevra da quelle esagerazioni e forzature romanzate, e da tutti quei ridicoli stereotipi di cui sono zeppi i film sui giovani. “Non ci sono distinzioni manichee tra bene e male. Vogliamo solo mostrare che nessuno ha un destino prestabilito e che si possono sempre trovare nuove strade anche se la società ti spinge verso l’omologazione” spiegano i registi, riusciti perfettamente nel loro intento. Una storia avvincente e carica di suspance, sentimenti e vita reale. Fotografia e montaggio degni di lode; azzeccata anche la coinvolgente colonna sonora, curata da “Zulù” dei 99 Posse.E, anche se il linguaggio è prettamente incentrato sullo slang tipico dei “fattoni di periferia”, la sceneggiatura è carica di una semplicità toccante che gli attori, di notevole talento e per lo più non professionisti, sono perfettamente in grado di interpretare; con uno sguardo, una parola o un gesto, i personaggi, tutti, colpiscono l’animo di chi guarda. Questo film, boicottato per lo più dai mass media (nelle sale di molte città non è mai arrivato), è, senza esagerazioni o sviolinate, un piccolo capolavoro del cinema indipendente, che non segue le formule preconfezionate proprie della maggiorparte dei mediocri e vacui successi italiani. (Silvia Pingitore – Whip-art)