Cinema e lavoro nel 1964

"LocandinaNessuna opera che si occupa di lavoro
o di condizioni operaie viene girata nell’anno in oggetto. Alcuni film pregevoli di critica sociale o con protagonisti dei lavoratori
sono tutto ciò che rimane nel bilancio dell’anno con una eccezione: il comparire sulla scena del "cinema nôvo" brasiliano che racconta
soprattutto le vicende di una regione, il Nord-Est, dove i contadini sono gli sfruttati. Ma andiamo con ordine con la consueta panoramica
cinematografica dell’anno. Alcuni film rimasti nella storia e nella memoria hanno caratterizzato la produzione del 1964 a partire da
La pantera rosa di Blake Edwards,
un film che ebbe talmente tale successo, anche grazie ad un personaggio come l’ispettore Clouseau interpretato da Peter Sellers, che
costrinse il regista a girarne un seguito – "Uno sparo nel buio" – lo stesso anno. Altri film memorabili sono state le due pellicole
inglesi "Il dottor Stranamore" (sempre con Peter Sellers) di Stanley Kubrick e "Per il re e per la patria", uno dei capisaldi
del cinema pacifista girato da Joseph Losey. Sulle vicende anche economiche di una battaglia fondamentale per la storia inglese
in realtà fu girato "L’ultimo degli Stuart" di Peter Watkins, ma il film ebbe soprattutto circuitazione televisiva. Buon successo
ebbe anche, per restare al cinema inglese, "Tutti per uno" di Richard Lester, film interpretato dai Beatles ma importante
per alcune belle sequenze. Altri film importanti, non per il successo commerciale ma per il segno lasciato nella storia del cinema,
sono "l’Amleto" del russo Grigorij Kozincev, film politico che usa l’opera di William Shakespeare per scagliarsi contro la
dittatura, e "Gertrud", l’ultimo film di Carl Theodor Dreyer, uno dei maestri del cinema mondiale. Anche il cinema italiano
lascia il segno con film celebrati come "Il vangelo secondo Matteo" di Pier Paolo Pasolini o " Sedotta e abbandonata" diretto
da Pietro Germi. Altri film meno noti come " I cento cavalieri" di Vittorio Cottafavi o "La donna scimmia" di Marco
Ferreri
(film che, come al solito ha subito importanti mutilazioni censorie) sono rimasti nella storia. Va inoltre segnalata una
delle migliori opere di un allora giovane regista come Bernardo Bertolucci: "Prima della rivoluzione". In questo panorama,
interessante seppur non esaltante, il lavoro e l’economia non hanno avuto il ruolo che pure meritavano, visto il boom che nel nostro
paese permaneva. "Locandina"UnaCome si diceva in apertura i film più interessanti sono i brasiliani Il dio nero e il diavolo
biondo
di Glauber Rocha ed I fucili
diretto da Ruy Guerra. Ambientato nel Nordest del Brasile venticinque anni prima,
il film di Rocha narra del vaccaro Manuel che segue dapprima un santone fanatico e poi il bandito Corsico, entrambi uccisi da Antonio
das Mortes, sicario al soldo dei padroni. Antonio sarà poi il personaggio che Rocha seguirà nel prossimo suo film per raccontarne la
conversione alla causa contadina ma che, per ora, resta il simbolo del fallimento di ogni rivoluzione in quel paese. Non è dello stesso
parere Guerra, regista mozambicano prestato al cinema brasiliano, che racconta le condizioni di un paese del Nordest brasiliano e di
un commerciante che difende dalla popolazione ridotta alla fame la propria bottega anche con la complicità dell’esercito ma anche la
successiva rivolta popolare. Il film è una riflessione sui rapporti tra potere economico, militare e fanatismo religioso e situazione
di miseria. Un bel film sullo sfruttamento della natura e delle terre degli indios viene anche dal Messico: si tratta di "Tarahumara – La vergine perduta"
opera di Luis Alcoriza, già sceneggiatore di Bunuel, che presenta anche interessanti notazioni sul rapporto tra indigeni e
proprietà. Situazione ben diversa da quella americana dove, come racconta Billy Wilder in "Baciami stupido", un compositore
pur di arrivare al successo farebbe passare la moglie per prostituta. Il successo non sempre è associato a competenza come nella vicenda
descritta da Howard Hawks nel film "Lo sport preferito dall’uomo" che vede un impiegato in un negozio di articoli sportivi
scrivere un libro sulla pesca facendo balenare esperienze che non ha. Altre volte invece la fama arriva ad umili lavoratrici come nel
caso della fioraia della commedia musicale "My Fair Lady" di George Cukor. Il lavoro è però anche fonte di redenzione e lo
racconta Samuel Fuller ne "Il bacio perverso": in questo caso si tratta di una prostituta che si occupa di bambini handicappati
come infermiera. Qualche volta cambiare lavoro, passando dalla campagna alla città, è una bella sfida, così come ci dice Theodore
J. Flicker
nella commedia "Il guastafeste", mentre Edward Dmytryk si ispira alla vita del miliardario Howard Hughes per
raccontare la megalomania nel film "L’uomo che non sapeva amare". Anche la società inglese viene satireggiata al cinema con "Il cadavere in cantina"
di Clive Donner dove il successo di un immobiliarista lo porta all’uccisione dell’amico che lo aveva aiutato a raggiungerlo.
Il ritratto di un giovane camionista siberiano è invece alla base di "Così vive un uomo" del russo Vasilij Šukšin, un film
che conquistò un premio dei ragazzi a Venezia. Il rapporto tra una ombrellaia ed un meccanico rappresenta l’incipit del film "Les parapluies de Cherbourg",
musical di Jacques Demy che vinse a Cannes mentre tra le numerose produzioni francesi vanno segnalati "Il diario di una cameriera"
di Luis Buñuel e "Una ragazza e quattro mitra" di Claude Lelouch. "LocandinaLa storia di Célestine, cameriera parigina, serve a Buñuel per parlare della borghesia mentre Lelouch
incentra il film su quattro operai francesi che diventano banditi. E siamo al cinema italiano del quale resta una importante opera
sul deserto che l’industria lascia girata da Michelangelo Antonioni. Il film si
intitola appunto Deserto rosso. I temi del film sono quelli classici del regista sulla
difficoltà della comunicazione nella società borghese ma il tutto è inserito nell’ambiente ravennate degradato dal petrolchimico. Ambiente
reso in modo magistrale dalla fotografia di Carlo Di Palma che infatti gli valse il Nastro d’argento, oltre a contribuire alla vittoria
alla mostra veneziana. L’Italia del miracolo economico però, a differenza degli anni precedenti, non è protagonista al cinema se si
esclude "Italiani come noi" di Pasquale Prunai e Gianfranco Fusco, un documentario che si occupava di problemi sociali
e delle condizioni delle classi proletarie. Nel complesso quindi, come si diceva all’inizio, un anno meno significativo per la rappresentazione
del lavoro al cinema.