Cinema e lavoro nel 1969

"Locandina"LocandinaArriviamo all’autunno
caldo, caldo per il movimento operaio ma un po’ meno per il cinema che ancora fatica a riprendere storie operaie e sindacali, nonostante
il clima favorevole. Nel 1969 solo due film raccontano vicende sindacali in senso stretto: Adalen 31,
che proviene dalla Svezia ed è diretto da Bo Widerberg, ed "Apollon, una fabbrica occupata"
di Ugo Gregoretti. Ciò non significa che il cinema non si occupi di aspetti socio-economici. Cinematograficamente parlando,
però, il fenomeno più rilevante è la risposta del western americano a quello di casa nostra. Il film più importante dell’anno è infatti
Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch) di Sam Peckinpah,
un film memorabile nel raccontare il tramonto del genere e la fine delle classiche figure di eroi del west (in risposta anche alla
retorica degli "spaghetti-western"). Il film di Sam Peckinpah non è però il solo film americano del genere ad emergere. Nello stesso
anno vengono prodotti "Butch Cassidy" di George Roy Hill, ed un antiwestern anarchico, "Ucciderò Willie Kid" di Abraham
Polonsky
, dove il regista, a suo tempo colpito dalla repressione maccartista, si schiera con gli indiani, vittime della colonizzazione.
Anche Robert Mulligan gira un buon western sul conflitto tra un cow-boy ed un indiano per la conquista di una donna: si tratta
de "La notte dell’agguato". Una metafora dell’America ambientata durante la grande depressione degli anni ’30 è il film che lancia
il regista Sydney Pollack: "Non si uccidono così anche i cavalli?". Lo stesso regista gira nello stesso anno "Ardenne ’44, un inferno",
anomalo film di guerra di grande impatto. Altro regista vittima del maccartismo è Herbert J. Biberman che gira "Schiavi",
bel film indipendente sui meccanismi anche psicologici della schiavitù. Ma i film che lanciano l’immagine contestataria degli Usa sono
"Alice’s restaurant "di Arthur Penn su un ristorante hippy pieno di musica pop ed "Easy Rider" per la regia di Dennis
Hopper
ed interpretato da Peter Fonda, il più famoso road-movie della storia del cinema. In queste opere la colonna musicale assume
una importanza particolare nel rendere il clima dell’epoca così come è interessante rivedere un documentario sulle performance musicali
di artisti come Janis Joplin o Jimi Hendrix al festival di Monterey girato da Don Alan Pennebaker, dal titolo "Monterey Pop".
Anche un regista "classico" come John Huston gira un film di ispirazione giovanilistica come "Di pari passo con l’amore e la morte".
E’ però ancora l’america latina a farsi largo durante una stagione caratterizzata dal "terzomondismo". Dal Brasile arriva "Antonio das Mortes"
di Glauber Rocha, geniale rappresentante del "cinema nôvo" che viene premiato a Cannes. Si tratta di un film di denuncia dello
sfruttamento e dell’oppressione subita dalle classi popolari. Una sommossa contadina antiamericana motivata da una campagna di sterilizzazione
è al centro di "Sangue di condor" del boliviano Jorge Sanjines, uno dei registi militanti più noti dell’epoca che con quest’opera
raccoglie parecchi premi in vari festival. Altro regista militante è il cileno Miguel Littin che esordisce con la storia di
un condannato a morte nel film "El chacal de Nahueltoro". Si affaccia anche il cinema africano nel panorama internazionale con l’opera
dell’egiziano Shadi Abdessalam, "La mummia", pellicola che tratta del rapporto tra tradizione e modernità. Il cinema europeo
dell’Est si afferma con due opere cecoslovacche e due ungheresi. Nella Cecoslovacchia viene girato da Jirí Menzel "Allodole sul filo",
storia di un campo di rieducazione stalinista che viene censurata e rieditata solo nel 1990 quando viene presentata a Berlino vincendo
l’Orso d’oro. Passa la censura invece "Fantasie di una tredicenne" di Jaromil Jireš, pieno di simbolismi sul potere anche
se tratta del passaggio di una ragazza dalla fanciullezza all’adolescenza. Altra metafora sul potere è l’ungherese "I falchi" di István
Gaál
su un centro di addestramento degli uccelli diretto come un campo paramilitare. Un prete che predica il cristianesimo delle
origini è invece protagonista del drammatico "La domenica delle Palme" diretto dall’ungherese Imre Gyöngyössy. In Inghilterra,
invece, è al lavoro Ken Russell che gira un film sulla omosessualità (Donne in amore) che lo lancia fuori dal suo paese. Dalla
Francia pochi film politici (se si esclude la coproduzione "Z – L’orgia del potere" di Costa-Gavras) ma molti racconti morali
sia nel genere commedia ("La mia notte con Maud" di Eric Rohmer) che drammatico, come i film di Chabrol "Il tagliagole" ed
"Ucciderò un uomo". Il genere drammatico attira anche Truffaut che si esprime al meglio con "La mia droga si chiama Julie"
(La sirène du Mississippi) ma soprattutto con la ricostruzione storica di una vicenda ottocentesca sul ritrovamento nella boscaglia
de "Il ragazzo selvaggio". E’ quest’ultimo un film di grande sensibilità che colpisce per la critica a certi metodi pedagogici. Jean-Pierre
Melville
a sua volta rende omaggio alla resistenza con "L’armata degli eroi", film comunque complesso e tutt’altro che demagogico.
Dall’Italia arriva una delle opere più importanti di Marco Ferreri, "Dillinger è morto", ed il Fellini "Satyricon"
tratto da Petronio Arbitro. Ferreri gira anche una favola apocalittica come "Il seme dell’uomo". Dopo il successo de "La battaglia di Algeri"
ritorna Gillo Pontecorvo con "Queimada", film che risente delle vicende internazionali pur essendo ambientato nelle Antille
durante una ipotetica rivoluzione di stampo marxista. Stessa ideologia è alla base di "Sierra Maestra" di Ansano Giannarelli
che parla della guerriglia latino-americana. "LocandinaSono queste le maggiori suggestioni dell’epoca
che arrivano dal cinema nostrano. Film comunque datati come datato è il film della Cavani "I cannibali" sul mito di Antigone
trasferito nella società moderna. Molto più moderna risulta invece l’opera di Pier Paolo Pasolini
che realizza nel 1969 un documentario che riprende i temi del passaggio dalla tradizione alla modernità in alcuni paesi africani (Appunti
per un’Orestiade africana) ed un film duro sulla società odierna come Porcile. Interessante
anche il film di Franco Rossi "Giovinezza, giovinezza", che rievoca le vicende socio-politiche attraverso
la storia di un’amicizia tra i figli di un proprietario terriero e di un sarto durante il fascismo. Il quadro delle produzioni del
1969 va completato con i film che mettono in scena storie di lavoro. "LocandinaDagli Usa niente di particolarmente significativo. Forse va segnalato un film che Mark Rydell trae da un racconto
di William Faulkner: "Boon il saccheggiatore", storia del viaggio di un bracciante con un amico nero ad inizio secolo. Solo
di passaggio si può segnalare un western sul lavoro dei cow-boy, "Monty Walsh, un uomo duro a morire" di William A. Fraker
ed un film anarchico sul presidente di una agenzia pubblicitaria che licenzia tutti i dipendenti bianchi per assumere i neri ("Putney-Swope"
di Robert Downey). Un interessante film sui contadini arriva dalla Russia: si tratta di "Strana gente" del regista Vasilij
Šukšin
, film ad episodi ricco di fantasia anche se malinconico su un mondo che sta cambiando. Più importanti le opere di "Bo Widerberg",
il già ricordato "Adalen 31", una eccellente ricostruzione di uno sciopero in una cartiera svedese, e "Kes" sulla
vita di un ragazzino in una città industriale, opera matura del regista inglese Ken Loach. Lo svizzero Alain
Tanner
segue invece le vicende del direttore di una fabbrica di orologi in Charles
mort ou vif
, mentre nel nostro paese si registrano alcuni film interessanti in tema di lavoro e di vicende economiche.
"LocandinaPartiamo da "Un certo giorno" di Ermanno Olmi sulla crisi di un pubblicitario di successo ma
non più giovane. Film malinconico ma anche critico sulla vita dedicata al lavoro. La saga di una famiglia industriale tedesca che ricorda
i Krupp ed i loro rapporti con il nazismo è alla base dei film di Luchino Visconti
La caduta degli dei. Una realtà sociale difficile legata alla disoccupazione è invece alla
base di "Fuoco!" di Gian Vittorio Baldi, ambientato nella provincia di Viterbo sull’assedio ad un disoccupato omicida barricato
in casa. "UnaLa cultura contadina ed il suo rapporto
col banditismo è invece trattata da Carlo Lizzani nel film "Barbagia" (La società del malessere). E veniamo
al film simbolo delle lotte di quell’anno. Si tratta di Apollon, una fabbrica occupata
che Ugo Gregoretti realizza in collaborazione con un collettivo di tecnici ed
operai. Girato in poco più di una settimana risulta però una cronaca efficace, anche se difficile da rendere con una tensione costante.
Un’opera comunque meno velleitaria di altri film di critica sociale del periodo. Cinema militante operaio dunque ed opera che resta
a testimonianza di un periodo che ha visto il movimento dei lavoratori protagonista.