Cinema e lavoro nel 1971

L’anno si caratterizza, dal punto di vista cinematografico, per il debutto di due registi che diventeranno poi dei veri e propri
artefici della trasformazione del cinema americano. Essi rispondono ai nomi di Steven Spielberg (che si impone con "Duel",
bel film che riesce a trasformare in thriller una situazione banale come un sorpasso tra un’auto e una cisterna) e George Lucas
che esordisce, con minor successo di pubblico, dirigendo "L’uomo che fuggì dal futuro". "LocandinaAmbedue i film, nati come cortometraggi o film per la televisione, sono poi stati poi "gonfiati" per il
grande schermo. Il cinema americano registra anche alcune opere importanti quali "L’ultimo spettacolo" di Peter Bogdanovich,
film nostalgico sulla fine di certo cinema generazionale, e il western antiromantico "I compari" diretto da Robert Altman. La produzione
inglese si impone con Arancia meccanica di Stanley Kubrick,
"Domenica, maledetta domenica" per la regia di John Schlesinger e due opere di Ken Russell quali "Il boy friend"
e "L’altra faccia dell’amore", bel film sulla tormentata vicenda di Piotr Ilic Cajkovskij. "LocandinaLe vicende di una famiglia raccontate attraverso una serie di cerimonie sono alla base del giapponese "La cerimonia" di Nagisa
Oshima
, film fondamentale per comprendere il dopoguerra in quella nazione. Film apparso in sordina ma decisamente affascinante
è "Il paese del silenzio e dell’oscurità" del tedesco Werner Herzog, viaggio nel mondo dei sordo-ciechi. Lanciato come risposta
a "2001, Odissea nello spazio", appare un film decisamente anomalo nel genere fantascientifico come il russo Solaris
di Andrej Tarkovskij che narra di un pianeta pensante come un grande cervello
spaziale. La Francia ci consegna la sempre rigorosa opera di Bresson: questa volta si tratta de "Quattro notti di un sognatore". Nel
nostro paese ha un grande successo di pubblico "Il Decameron" di Pier Paolo Pasolini, che darà inizio ad una serie di epigoni
che inaugurano, naturalmente con risultati ben diversi, la commedia boccaccesca. Ma l’opera più importante della nostra cinematografia
nel corso dell’anno è forse un gioiellino come "L’udienza" di Marco Ferreri, riflessione politico-religiosa sul papato con
echi kafkiani. Veniamo invece al nostro tema: il lavoro. "LocandinaLa cinematografia svedese è particolarmente prolifica nell’anno considerato con l’opera di due registi
quali Jan Troell e Bo Widerberg. Il primo firma due opere ambientate nella metà
dell’ottocento e tratte da due romanzi sull’emigrazione scritti da Wilhelm Moberg. Si tratta di "Karl e Kristina" e La
nuova terra
che raccontano della miseria dei contadini svedesi che sono costretti a emigrare negli Stati Uniti fino
a stabilirsi nel Minnesota. "LocandinaE’ una saga fluviale nella sua durata (oltre 3 ore il primo film e circa 2 il secondo) che rappresenta
però una grande esperienza cinematografica, come ha testimoniato lo stesso Igmar Bergman. Bo Widerberg
invece racconta di un altro emigrato negli Usa, Joe Hill (all’anagrafe Josef Hillström),
uno dei primi sindacalisti del paese che all’inizio del ‘900 finirà condannato a morte e giustiziato per omicidio e rapina a mano armata
con una storia che ricorda la vicenda del nostro "Sacco e Vanzetti" girato nello stesso anno (non a caso Joan Baez dedicherà anche
a questo episodio una sua canzone che diventa tema del film). Un certo schematismo per quanto riguarda buoni e cattivi caratterizza
l’opera ma la pellicola si fa apprezzare, oltre che per la sua fotografia, per il sentimentalismo che la pervade. L’America dal canto
suo produce qualche film meritevole di segnalazione come il ritratto della violenza che scatena la grande depressione nel racconto
di Robert Aldrich sul rapimento della figlia di un miliardario da parte dei Grissom (Grissom Gang – Niente orchidee per Miss
Blandish). Anche la commedia satirica contribuisce a illustrare la disorganizzazione di certi posti di lavoro come l’ospedale di New
York nel film di Arthur Hiller "Anche i dottori ce l’hanno". La storia d’amore come antidoto alle solitudini di un operaio
e di una impiegata è il tema trattato da John Cassavetes in "Minnie e Moskowitz". Anche una fiaba, riportata sugli schermi
recentemente ma già proposta da Mel Stuart nel 1971, come "Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato" serve per illustrare,
seppur in modo fantastico, il lavoro. Nel clima creato da uno sciopero dei boscaioli è invece calata la storia della famiglia Stamper
portata sullo schermo col titolo "Sfida senza paura" da Paul Newman. Colpevole di qualche evasione sessuale è invece
il lavoro stressante nel meno riuscito film "Il divorzio è fatto per amare" di Lawrence Turman. Sempre presente nel descrivere
il disagio sociale in un sobborgo londinese è il Free Cinema con l’opera di Mike Leigh, "Bleak Moments". Questa volta è una
impiegata piuttosto timida la protagonista di un film premiato a Locarno ma che non ha trovato riscontro di pubblico in Italia. Sempre
tagliente la satira britannica sulla classe dirigente locale nel film di Peter Medak intitolato "La classe dirigente". Ci
spostiamo in Ungheria per registrare un’opera, anch’essa passata più nei cineforum che nelle sale, come "Salmo rosso" di Miklós
Jancsó
che racconta della repressione nel sangue di un gruppo di braccianti in lotta per i propri diritti. Dalla Francia tre segnalazioni:
Il film di Jacques Tati "Monsieur Hulot nel caos del traffico", geniale come sempre nelle notazioni sulla società moderna
(licenziamento del protagonista compreso); "L’evaso tratto" da uno scritto di Georges Simenon portato sullo schermo da Pierre Granier-Deferre
che racconta dell’amore tragico tra un anarchico fuggito dalla galera e una donna che gli offre il lavoro e infine la storia, piuttosto
leggera, di tre operai che vogliono festeggiare da nababbi lo sposalizio di uno di loro in "3 dritti a Saint-Tropez" diretto da Claude
Lelouch
. Una delle novità dell’anno è invece l’affermazione di un nuovo cinema svizzero con l’opera di Alain Tanner "La salamandra"
che mette in scena uno scrittore operaio che prende le difese di una ragazza madre ginevrina accusata di aver attentato alla vita di
uno zio benpensante. In Italia poche novità invece anche se alcune pellicole di successo si impongono ed una qualche nota di interesse
meritano questi film: "Hanno cambiato faccia" su un padrone che condiziona la qualità della vita delle persone girato dell’esordiente
Corrado Farina; "In nome del popolo italiano" di Dino Risi sulla persecuzione di un giudice nei confronti di un industriale
senza scrupoli; "Bubù" di Mauro Bolognini sulla trasformazione di una operaia in prostituta da parte del suo bello e lo sgangherato
"Il potere" di Augusto Tretti sui meccanismi dello stesso attraverso i secoli. Hanno successo di pubblico, oltre al citato
film di Risi, la versione di Giuliano Montaldo sulla ricordata vicenda di "Sacco e Vanzetti", i due immigrati anarchici italiani
accusati di rapina ed omicidio e ingiustamente messi a morte negli anni ’20 in America ma soprattutto una commedia sulle illusioni
dell’emigrazione come "Bello onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata" di Luigi Zampa. Il bilancio dell’anno,
sotto il versante cinema e lavoro quindi non è negativo pur in un contesto che privilegia le rievocazioni storiche rispetto alla attualità;
ma questa è l’eredità di una stagione come quella della contestazione che ora vuole fare i conti con il passato anche a costo di qualche
forzatura ideologica.