Cinema e lavoro nel 1990

Milano, 14.12.2012

 

Forse nessun capolavoro cinematografico ma tanti bei film nell’anno che stiamo prendendo in considerazione. E’ infatti il 1990 che ci fa scoprire una regista come Jane Campion grazie al leone d’argento di Venezia ad Un angelo alla mia tavola, che dimostra come Bertrand Tavernier fosse un regista intimista con Daddy Nostalgie, che Kevin Costner, oltre che attore, sia un regista da oscar con Balla coi lupi e David Linch da visionario com’è conquista Cannes con Cuore selvaggio. Naturalmente vi sono anche i registi che confermano le loro qualità: basti pensare a Fellini che dà l’addio al cinema con La voce della luna ed a Scorsese che continua a descrivere la mafia italo-americana con Quei bravi ragazzi.

Poi anche qualche novità fresca come  Edward mani di forbice di Tim Burton o In compagnia di signore perbene della canadese Cynthia Scott.

 

Sul fronte del lavoro invece qualche conferma (Ymou, Kaurismaki, Leigh) ma poco altro.

 

"CinemaDagli Usa arriva un solo film degno di attenzione e non parla direttamente di lavoro ma dell’importanza dell’istruzione per conservare il posto. Si tratta di Lettere d’amore di Martin Ritt; la vicenda relativa ad un cuoco analfabeta che impara a leggere ed a scrivere grazie ad una operaia vedova. Un film ambientato nel mondo proletario che si avvale di due belle prove d’attore di Robert De Niro e Jane Fonda.

 

L’Australia, oltre ad averci dato il bel film della Campion, si mette in evidenza con Ultimi giorni da noi di Gilian Armstrong, film femminista su una scrittrice in crisi anche dal punto di vista del lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

"CinemaZhang Yimou continua a raccontare la Cina attraverso la vicenda di Ju Dou, una contadina comprata in sposa dal proprietario di una tintoria che la opprime fino a quando con il suo amante, decide di sopprimerlo. Un film dove il rosso della tintoria caratterizza il melodramma ed i risvolti sociali hanno disturbato il regime cinese tanto che non fu mai distribuito nel paese.

 

Dalla Russia invece arriva un film sulle lotte operaie nel periodo zarista. Si tratta de La madre, tratta come il capolavoro di Pudovkin, dal romanzo di Gorki. Qui però il regista è Gleb Panfilov e la produzione è italo russa. Un film permesso dalla rivoluzione Gorbacioviana che mette l’accento sui valori democratici ed antiautoritari. Film di oltre 3 ore ma tutt’altro che kolossal che indaga il mondo degli umili.

 

 

 

 

 

"Cinema

 

 

 

 

La provocazione arriva dalla Finlandia con l’opera di Aki Kaurismäki Ho affittato un Killer. L’autore di tale iniziativa è un impiegato francese che dopo 30 anni di lavoro viene licenziato. Caduto in depressione, non avendo il coraggio di suicidarsi,  assume appunto al killer per la sua esecuzione… Peccato che poi ci ripensi quando oramai il contratto è stato definito. Un film grottesco e provocatore come al solito ben girato che ha conquistato anche il pubblico italiano.

 

 

 

 

 

Altra conferma di un regista rigoroso arriva dall’Inghilterra ma questa volta con meno successo di pubblico. Si tratta  di Dolce è la vita di Mike Leigh. E’ il ritratto di una famiglia della classe lavoratrice nel periodo Tacheriano girato con graffiante ironia pur nel dramma esistenziale.

Dallo stesso paese arriva invece un dramma contadino sul legame quasi morboso con la terra. Lo gira l’autore de Il mio piede sinistro Jim Sheridan e si intitola Il campo. Forse meno riuscito del film precedente ha però il merito di offrire un bello spaccato dell’Irlanda nella quale è ambientato.

 

Dal Festival di Berlino arriva invece la sorpresa di un film cecoslovacco rimasto bloccato dalla censura per oltre vent’anni dopo la "primavera di Praga". Si tratta di Allodole sul filo di Jirí Menzel ambientato in un campo di rieducazione dei borghesi costretti a fare i conti con il lavoro manuale. Film satirico che se la prende con la burocrazia, oltre che con il potere, e che evidentemente non poteva piacere al regime stalinista dell’epoca.

 

Ed arriviamo al nostro cinema che brilla per pochezza sul tema in questione. Troviamo solo  operette deboli come Basta! Adesso tocca a noi di Luciano Emmer, ritratto di una generazione che, finita la scuola, è alle prese con l’ingresso nel mondo del lavoro. Per quanto solo parzialmente riuscito l’unico film che denuncia le condizioni di sfruttamento degli immigrati è Pummarò di Michele Placido al suo esordio registico.

Esile, anche se animato da buone intenzioni, il ritratto di certa emigrazione italiana in Canada operato da Carlo Liconti con La famiglia Buonanotte. Si tratta di una commedia con qualche spunto divertente mentre non lo è l’altra commedia che si occupa della scalata finanziaria all’interno di una azienda da parte del nipote del titolare in coma a seguito di un incidente. Si tratta di Miliardi di Carlo Vanzina.

Forse, anche se di lavoro ne parla poco, va segnalato un film che vede protagonista due fidanzati ed un impiegato tratto da un testo teatrale portato in giro con successo. Si tratta de La stazione di Sergio Rubini.

Comunque, come si diceva, poco dal nostro cinema.