Cinema e lavoro nel 1998

Milano, 31.08.2015
 
Contradditorio il comportamento del pubblico nel 1998. Alcuni dei film più importanti dell’anno (The Truman Show, Train de vie, La sottile linea rossa, Buena vista social club, Salvate il soldato Ryan) godono di un buon successo di pubblico mentre altri sono totalmente snobbati (Dr. Akagi di Imamura, Kirikù e la strega Karabà di Ocelet, Racconto d’autunno di Rohmer, a Così ridevano di Amelio del quale accenneremo, od uno dei più interessanti film come Teatro di guerra di Martone). Alcuni addirittura non saranno distribuiti se non anni dopo o televisivamente (Su tutte le vette è pace di Yervant Gianikian ed Angela Ricci Lucchi, The General di John Boorman, Beloved di Jonathan Demme)
Il pubblico premia Armaggedon, Aldo Giovanni e Giacomo di Così è la vita e Shakespeare in Love.
 
Nasce l’euro e ci si prepara al 2000 ma di lavoro se ne parla poco nel cinema nostrano nonostante il tasso di disoccupazione sfiori l’11%. Se proprio vogliamo estrarre un tema ricorrente si affaccia quello della immigrazione e relativa integrazione. Dal punto di vista dei temi strettamente legati al lavoro l’anno comunque non presenta film memorabili.
 
Eccoci dunque ad un excursus tra le varie cinematografie iniziando come al solito da quella americana. Apparentemente si parla maggiormente di lavoro nelle storie di animazione come in A Bug’s Life – Megaminimondo o Z la formica.
Il primo, diretto da John Lasseter ed Andrew Stanton parla appunto di un popolo di formiche che grazie al loro lavoro raccolgono le provviste e di cavallette predatrici qui nelle parti dei cattivi. In particolare è un omaggio alla creatività del piccolo protagonista che cerca di inventare aggeggi sempre nuovi. Anche Z,  diretto da Eric Darnell e Tim Johnson, è ambientato nello stesso mondo dove la nostra protagonista è una ribelle in cura da uno psicanalista ma riuscirà a sventare un colpo di stato. Inoltre è una specie di ritratto della società attuale e della sua frenesia.
 
Più umani invece i problemi legati agli strapoteri delle grandi realtà che portano al fallimento le piccole. E’ ad esempio il tema della commedia C’è post@ per te della regista Nora Ephron, grande successo dell’anno, dove una catena di  megalibrerie è in grado di cancellare dal mercato tutte le librerie indipendenti nel raggio di chilometri. Il film è anche un aggiornamento sulle possibilità di  internet di indurre a sognare.
 
Sul controllo del mondo da parte delle multinazionali e sul tema dello spionaggio industriale si muove invece il film di Abel Ferrara New Rose Hotel.
Non parla direttamente di lavoro e di economia ma è una bella parabola sull’avidità il film di Sam Raimi Soldi sporchi
Sempre alla base della possibilità di profitti milionari sta la vicenda raccontata da La formula di David Mamet che introduce anche il tema della innovazione e del riconoscimento dei propri meriti.
 
Andiamo in oriente per segnalare un bel film che parla di un lavoro particolare: quello del liutaio e della sensibilità ai suoni da parte di un ragazzino apprendista cieco dalla nascita . Stiamo parlando dell’opera di Mohsen Makhmalbaf dal titolo Il silenzio che ci arriva dalla  cinematografia iraniana.
Per quanto poco riuscito vale la pena di segnalare l’opera di Amos Gitai Giorno per giorno dove si incrocia la figura di un panettiere che non si assume nessuna responsabilità lavorativa come esmplificazione della difficoltà di vivere in un paese come Israele.
 
Dall’Inghilterra arriva l’opera di Ken Loach che si occupa di operai emarginati e disoccupati alle prese col calcio e con la tossicodipendenza. Il film (My Name Is Joe) è reso ancor più veritiero dal momento che gli interpreti sono veri abitanti di Glasgow alcuni con i problemi dei quali si occupa la pellicola.
Conflitto culturale e religioso sono invece al centro di Mio figlio il fanatico, ritratto di un taxista pakistano totalmente integrato che ha trovato lavoro e relativo benessere in Inghilterra alle prese con il figlio votatosi al fondamentalismo. Il regista risponde al nome di Udayan Prasad.  
 
Un breve excursus tra il cinema tedesco  ci fa incontrare con il regista Joseph Vilsmaier che gira Comedian Harmonists ambientato durante la repubblica di Weimar nella Germania in piena depressione che racconta la costituzione di un complesso canoro nella nel quale vi sono alcuni ebrei coinvoltti poi nelle persecuzioni naziste.
 
Quasi inosservato passa invece un film (in realtà abbastanza mediocre) che proviene dalla Grecia e porta la firma di Constantinos Giannaris e si intitola Città nuda. Protagonista è un adolescente kazako che fa l’operaio edile ma con una doppia vita. E’ infatti il capogruppo di una banda di coetanei immigrati dalla Russia e con difficoltà  di integrazione.
 
Sulle ddifficoltà di integrazione (in questo caso degli zingari slavi) anche il film jugoslavo Gatto nero, gatto bianco, dove appaiono personaggi come un industriale ed un padrino che controlla le cave. Emir Kusturica ne fa dei personaggi simbolici per rappresentare un mondo contradditorio.
 
Bella rappresentazione dei problemi sociali in una zona ad alta  disoccupazione è invece quella offerta da Bertrand Tavernier nel film Ricomincia da oggi. Il regista francese segue l’attività di un direttore di una scuola materna alle prese con burocrazia e problemi sociali. Dalla Francia arriva anche Civilizzate della regista libanese Randa Chahal Sabbag  che racconta della situazione dei servi durante durante la guerra mentre i loro ricchi padroni sono fuggiti in Europa.
 
Della nostra cinematografia va segnalato il film vincitore del Festival veneziano Così Ridevano di Gianni Amelio. Anch’esso parla di emigrazione e di difficoltà di integrazione nella Torino dell’inizio degli anni ’60 dove sono arrivati due fratelli meridionali. Il primo,operaio analfabeta, capisce che solo lo studio potrà dare prospettive al fratello più giovane. Purtroppo il film non ebbe il  successo che si meritava.
Ancora di immigrazione parla il film, ccoprodotto da Italia, Francia e Grecia, L’eternità e un giorno di Théo Anghelopulos, trionfatore a Cannes. Qui il tema è metaforicamente rappresentato da un bambino albanese probabilmente clandestino che fa il lavavetri e fa riconsiderare la vita ad un poeta, protagonista del film.
Messaggi quasi segreti di Valerio Jalongo parla invece di differenze di classe attraverso la storia del figlio indolente di un ingegnere paracadutato a Dublino in una famiglia proletaria.

 

Per chiudere sul nostro cinema si segnala un ennesimo film sulla immigrazione. Si tratta di Ospiti di Matteo Garrone, film sulla estraneità sia individualee che sociale. Forse non una delle opere più riuscite di Garrone, tant’è che, a parte qualche sala d’essai, non ha circuitato, ma interessante per la tematica esistenziale.