Cinema e lavoro – Freakonomics – Le divertenti verità sulla crisi

Milano, 18.3.2020

DocumentarioRegia Heidi Ewing, Alex Gibney, Seth Gordon, Rachel Grady, Eugene Jarecki, Morgan Spurlock Sceneggiatura Heidi Ewing, Alex Gibney, Seth Gordon, Rachel Grady, Eugene Jarecki, Morgan Spurlock Fotografia: Junji Aoki, Derek Hallquist, Tony Hardmon, Darren Lew, Daniel Marracino, Rob VanAlkemade Interpreti: James Ransone, Melvin Van Peebles, Greg Crowe, Alisha Nagarsheth, Sammuel Soifer Produzione Chad Troutwine Durata 93′.

Alcuni dei più importanti e innovativi documentaristi esplorano il lato nascosto della natura umana, attraverso le scienze dell’economia.

Ci si poteva aspettare di più da un documentario che puntava a divertire raccontando in modo semplice la crisi economica pur sostenendo teorie astruse ma interessanti. E’ comunque uno dei pochi film che racconta il rapporto tra nuova economia e dinamiche sociali.

LA CRITICA

“Freakonomics” è innanzitutto un caso letterario firmato a quattro mani dall’economista Steven D. Levitt e dal giornalista Stephen J. Dubner, una collezione di saggi non specialistici dove il pensiero economico si asservisce ad un’indagine a largo spettro di alcuni fenomeni delle società contemporanee. Ponendo domande banali, ma non scontate, i due raggiungono soluzioni inaspettate a problemi quotidiani indagando l’incidenza del nome di battesimo di un individuo sulla sua realizzazione socio-economica, andando a investigare il mondo del Sumo giapponese e alle ragioni per cui la corruzione che vi si cela dietro rimane spesso taciuta, fino al più interessante e riuscito saggio che indaga il rapporto tra aborto e criminalità. Il libro divenne bestseller e istant cult. Come ogni potpourri che si rispetti anche il collage di documentari intitolato “Freakonomics – Le divertenti verità sulla crisi”, che esce ora in Italia con tre anni di ritardo rispetto agli Stati Uniti, è un profumato bouquet di fiori secchi: diretto a più mani dai documentaristi Heidi Ewing, Alex Gibney, Seth Gordon, Rachel Grady, Eugene Jarecki e Morgan Spurlock ripropone gli aromi del testo di Levitt e Dubner aggiungendo le fragranze tipiche degli stili dei registi, ma non riuscendo nel complesso ad animare la pellicola con una propria vita. Il film è articolato in episodi scollegati tra loro in stile e contenuto da registi che sembrano lavorare separatamente senza una comune e forte idea di fondo se non l’intervista frammentaria agli autori del libro. La carenza di un tessuto connettivo appesantisce la visione che si trova dispersa nei singoli segmenti a partire da quello firmato da Morgan Spurlock (“Super Size me”), il peggior lavoro del documentarista americano, che già lascia intuire l’abbondanza di freak(ness) e la carenza di ‘nomics che durerà per l’intera pellicola. Come un insieme di assaggi non fanno una cena dei brevi elzeviri di celluloide non fanno un documentario: passando di segmento in segmento, seguendo l’economia fuzzy di Levitt (e Dubner) arriviamo alla sconvolgente rivelazione che le statistiche non dicono tutto, che c’è qualcosa di ineffabile ascrivibile al fattore umano spesso imprevedibile. Così andando contro al senso comune con ragionamenti controintuitivi si aprono rivelazioni di ordinario sconvolgimento. La sensazione che accompagna la visione del film è che i tanti talenti dei registi (che in passato hanno raccolto in totale 5 nomination agli Oscar) non si sommino tra loro come il complesso di un opera non si riduca ad essere la mera somma delle sue parti. A fine visione ci rendiamo conto che di verità ce ne è una ed è triste: la distribuzione italiana sta provando, ancora una volta, a farsi beffe degli spettatori con il ruffiano titolo di lancio della pellicola che suona “Le divertenti verità sulla crisi”: posto che di divertente ci sia ben poco, dobbiamo chiederci a quale crisi si riferisca il sottotitolo (il libro di Levitt e Dubner è stato pubblicato nel 2005). Attendiamo delucidazioni. In ultima analisi non possiamo dire che sia un lavoro riuscito questo “Freakonomics”, slegato nelle sue parti, riesce solo a restituire la catchiness che contraddistingue il lavoro di Levitt e Dubner con divertenti soluzioni visive, ma perdendo un’unità narrativa forte non si mette mai seriamente in discussione il lavoro dei due scrittori che vengono evangelicamente assunti come dispensatori di assolute verità del contro-senso-comune. A tratti divertente, a tratti anche interessante, nel complesso un documentario che non documenta (Simone Pecetta – Ondacinema).

Quanto conta un nome nello sviluppo della personalità e come sta cambiando in America la distribuzione e la scelta dei nomi di battesimo? Com’è possibile provare la corruzione di uno sport tra quelli, in teoria, più puliti come il sumo e quanto questo ha a che vedere con l’etica nipponica? La legalizzazione o meno dell’aborto ha un impatto sulla delinquenza? E infine, è possibile convincere gli adolescenti a studiare promettendogli denaro in cambio? Mettendo insieme alcuni dei documentaristi più interessanti degli ultimi anni Freakonomics porta al cinema parti dell’omonimo libro di grande successo mantenendone intatta la formula vincente, ovvero spiegare alcuni fenomeni con i numeri e al tempo stesso mostrare il risvolto “strano ma vero” di questi anni di crisi economica. Il risultato non è certo un film coerente e godibile dall’inizio alla fine, i contributi non sono solo di valore differente ma anche di taglio e ritmo molto altalenanti. Per un Alex Gibney che lavora di numeri, interviste e precisione, c’è un Morgan Spurlock che si muove sul terreno del difficilmente comprovabile dando sempre l’impressione di concedersi diverse libertà rispetto alla realtà; per un Heidi Ewing che sembra mettere in scena un articolo dell’Economist c’è un Rachel Grady che invece sembra raccontare una storia molto poco in linea con lo spirito del libro. Il risultato, alla fine, sono piccole nozioni spicciole, spesso eccessivamente legate al contesto che le ha generate e solo più raramente indagini appassionate. Totalmente latitante è il senso di una narrazione filmica adeguata alla materia. Perchè in realtà quello con cui Freakonomics avrebbe a che vedere è la possibilità di guardare il mondo e ciò che ci circonda da un punto di vista diverso, sfruttando non solo i principi dell’economia ma quella maniera di leggere la realtà per svelare fenomeni che altrimenti non sarebbero percepibili, che poi in un certo senso è il lavoro del cinema. Le potenzialità di un film tratto dal libro di Steven Levitt e Stephen Dubner erano di doppiare se non ricalcare ciò che il documentario classico riesce a rappresentare: una maniera di usare le immagini e il montaggio per raccontare la realtà in maniera nuova e dunque anche comprenderla diversamente. Invece quel che fa è un resoconto chiaro, ben esposto e a tratti anche curioso di fatti che hanno a che vedere con la matematica (anche se non sempre) aiutato da infografiche da inizio anni 2000. Ottimo per passare 90 minuti ma non abbastanza per fare un film serio (Gabriele Niola – MyMovies).