Cinema e lavoro – Margin call

Un film di J.C. Chandor (Usa 2011)

Milano, 21.5.2020

Regia: J.C. Chandor – Sceneggiatura: J. C. Chandor – Fotografia: Frank G. DeMarco – Montaggio: Pete Beaudreau Musiche Nathan Larson – Interpreti: Kevin Spacey, Paul Bettany, Zachary Quinto, Simon Baker, Jeremy Irons, Demi Moore, Mary McDonnell, Aasif Mandvi, Stanley Tucci, Al Sapienza, Ashley Williams, Penn Badgley – Produzione: Benaroya Pictures, Myriad Pictures, Before The Door Pictures, Washington Square Films, Untitled Entertainment – Distribuzione: 01 Distribution – Durata: 107 min.

Wall Street, durante la crisi finanziaria internazionale del 2008. Negli uffici di una grande banca d’investimenti, durante le 24 ore decisive che precedono un annuncio di fallimento, il giovane analista Peter Sullivan, dopo aver esaminato i registri, si rende improvvisamente conto che le valutazioni su cui l’azienda ha basato il suo business sono difettose e l’hanno portata sull’orlo del collasso. Si sparge la voce che quella notte il top management avrebbe convocato una riunione per cercare di salvare la banca. Tra i presenti alla riunione c’è Sam Rogers, un esperto agente di cambio, il suo capo Jared Cohen e l’analista di rischio Sarah Robertson. Il capo dell’azienda, John Tuld, precipitatosi all’incontro in elicottero, è colui che propone un piano di salvataggio: al mattino, all’apertura della Borsa, devono essere pronti a sbarazzarsi di tutti i debiti ‘sporchi’. Una mossa che avrà conseguenze drammatiche, non solo per Wall Street…

Una lezione sulla crisi economica da vedere e rivedere. . Un film sull’ etica nel mondo della finanza.

LA CRITICA

Nel 2008, quel che era nell’aria da tempo – la crisi economica internazionale tuttora in corso – esplose apparentemente da un giorno all’altro nel suo epicentro, gli uffici delle banche di investimento di Wall Street. E di colpo fu sotto gli occhi di tutti. È la premessa alla base di Margin Call, opera prima di J.C. Chandor che ne firma anche la sceneggiatura, meritoriamente candidata agli ultimi Oscar. Il dramma collettivo, astratto, diventa individuale e plausibile: la notte in cui il terreno crolla sotto ai piedi di chi muove consapevolmente l’economia mondiale, creando fittizi mondi di benessere destinati ciclicamente a crollare. Non si salva nessuno: se il dio denaro fa gola a tutti, l’unico spiraglio di umanità che si può trovare è il rimorso, una consapevolezza tardiva e colpevole, perché figlia di un tracollo che colpisce in prima persona per la prima volta, col licenziamento in tronco. Chandor non è Mamet, ma i dialoghi sono brillanti, i personaggi restano impressi e la struttura è ariosa, al servizio di un falso thriller dove la lotta contro il tempo per salvare l’azienda dalla bancarotta è un pretesto per un amaro sguardo d’insieme. Non è facile star dietro alle spiegazioni sulle dinamiche della borsa, ma il cast in stato di grazia (con Jeremy Irons provvisto di licenza di eccedere) porta per mano lo spettatore. Manca forse un vero protagonista, in un film corale che accumula volti e personaggi memorabili senza portarli alle estreme conseguenze, con un finale su misura per Kevin Spacey forse troppo buonista. Tra Spacey, Irons, Demi Moore, Stanley Tucci (immenso) e Paul Bettany chi produce è Zachary Quinto, il Sylar di Heroes qui timido analista, forse troppo (e costretto in un cast stellare) per ritagliarsi il ruolo da main character che gli spetterebbe. Ma il suo personaggio è agghiacciante: la realtà dei fatti viene intuita da un impiegato, mentre manager e massimi sistemi sono totalmente incapaci di capire cifre e numeri su cui hanno vissuto ai danni altrui. (Gianluigi Ceccarelli – Cinematografo.it)

Margin Call è un film da rivedere per capire la crisi finanziaria che devastò nel 2008 il sistema finanziario americano. Un tema che non smette di attirare l’attenzione di Hollywood. La ferita è profonda, e ad anni di distanza non si è ancora rimarginata. Oliver Stone ha addirittura tirato fuori di prigione il suo Gordon Gekko (protagonista di Wall Street, del 1987), Re della rapacità dell’era reaganiana, facendogli spiegare, con parole semplici, il significato autentico di bolla speculativa, titoli tossici, titoli spazzatura e derivati, nel recente Wall Street. Il danaro non dorme mai (2010). Così come lo stile di Oliver Stone era rapido e incalzante, quello dell’esordiente J.C. Chandor, scelto per Margin Call (2011), è lento, riflessivo e compassato. La storia prende avvio dall’alto. Ultimi piani di un grattacielo di New York. Lì, a contatto con le nuvole, i flussi finanziari decollano. In uno spazio limitato di una banca che specula sul credito, con brutale freddezza vengono messi alla porta un bel po’ di dirigenti. Gli vengono concessi pochi minuti per raccogliere gli effetti personali, passare in cassa a ritirare il cospicuo assegno, a tornarsene a casa. Bisogna limare i costi. Fra i licenziati, uno sta studiando lo stato di salute della banca. Ha intuito che non è più florido. Anzi, è sull’orlo del collasso. Ma deve mollare. Riesce però a passare la palla (la chiavetta con i dati) ad un giovane analista. Questi, un genio dei numeri, ingegnere spaziale prestato alla finanza, ci mette poco a disegnare il quadro da coma profondo. All’apertura della giornata di lavoro ci sono stati i licenziamenti. Verso le undici di sera l’analista ha scoperto il mare di guai sul quale è seduto. Allertati i superiori, alle tre di notte i proprietari della banca sono tutti seduti, ben vestiti e pronti ad intervenire. Bisogna fare in fretta. Alle prime luci dell’alba verrà dato l’ordine. Vendere. Vendere tutto, al miglior prezzo di realizzo. Tanto ciò che si vende per l’ora di pranzo non varrà più niente. Al massimo il corrispettivo della spazzatura. La banca si salva dalla bancarotta: il resto è lacrime e sangue. Ne escono distrutti non solo i risparmi (e i risparmiatori), ma l’intero sistema economico. È uno storia esemplare quella di Margin Call. Innanzitutto per come è scritta. Non rimanda ai tanti nomi concreti della cronaca. Non ci sono politici da tirare per la giacchetta. Né ministri o sottosegretari da consultare. Si deve operare, in fretta: e basta. L’azienda va salvata. Il resto va buttato a mare. E non ci sono pentiti, né titubanti, né indignati. Alla fine tutti in marcia compatti, verso il successo o la rovina. Tutti, anche i perdenti, hanno qualcosa di grosso da guadagnare: un bell’assegno di liquidazione. Non è detto che storicamente la devastante crisi di Wall Street del 2008 sia cominciata davvero così. Ma il significato degli eventi raccontati in Mergin Call è davvero prossimo alla realtà. L’avidità ha causato il disastro. Poi, come la storia insegna, a salvarsi nel disastro sono sempre in pochi. Racconto dunque scritto benissimo, senza mai una parola fuori posto. Attori appropriati e misurati: una carrellata di volti, stupefacenti quanto credibili, del panorama hollywoodiano, da Demi Moore a Stanley Tucci, da Geremy Irons a Kevin Spacey. Margin Call, film che per budget a disposizione deve considerarsi piccolo, ha una ambientazione claustrofobica che sta lì a dimostrarlo. È difficile persino ricordare la presenza o meno del commento musicale. Ma sullo schermo non sono mai i mezzi la questione determinante. E la credibilità di un racconto non si raggiunge certo con cast stellari, costumi e scenografie sontuose, effetti speciali. Il mondo finanziario (e Wall Street ne è il tempio, non sappiamo ancora se il più potente, visto che la globalizzazione ne ha creati altri) è retto da pochi individui. Ciò implica una riconsiderazione della democrazia, poiché le istituzioni democratiche possono poco con soggetti che operano nella legalità.
La lezione appresa in Margin Call è sin troppo istruttiva. Non c’è il Grande Fratello, né il Grande Apparato. Ci sono uomini, in carne e ossa. Fanno un lavoro sporco, che rende molto. Se le cose vanno bene si guadagnano le copertine delle riviste.Volano a velocità troppo alta e, quando l’aereo sta per precipitare, prendono il paracadute e si lanciano. Cosa succederà dopo, non è più affare loro. (Claudio Siniscalchi – L’occidentale)

Il termine “margin call” si riferisce a quei livelli di prezzo di un titolo ai quali scatta l’escussione di un collaterale (una garanzia, in genere in denaro) messo a garanzia di un finanziamento. Nel mercato finanziario spesso quando si compra un titolo l’acquirente non fornisce il completo valore del titolo ma solo una quota (per esempio il 10% del valore) e il denaro rimanente viene fornito tramite un finanziamento bancario. Se però il titolo si deprezza sotto la soglia di denaro fornita dall’acquirente (nell’esempio il 10%) il broker vende il titolo. L’acquirente perde il capitale investito ma il finanziamento bancario viene ripagato; è l’acquirente che sceglie di effettuare l’acquisto e quindi è l’unico che deve sopportare l’onere del rischio. Il termine margin call si riferisce alla chiamata (“call”) che il broker effettua per comunicare al cliente che il proprio margine (“margin”) è stato azzerato.
Il film si svolge nell’arco di 24 ore presso una banca d’investimento e si concentra sulla grande recessione. La trama è incentrata sui meccanismi della creazione e diffusione dei cosiddetti mutui subprime, ovvero di quei titoli di finanza a reddito fisso prevalentemente legati al mercato immobiliare che hanno innescato la crisi 2008-2009. La lavorazione del film inizia il 21 giugno 2010 a New York City, e viene girato nel distretto finanziario di Manhattan durante la metà dello stesso anno. La pellicola è stata presentata in concorso alla 61ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino. (Wikipedia)