Cinema e lavoro – Nuovomondo

Milano, 5.11.2018

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Emanuele Crialese Fotografia: Agnès Godard Montaggio: Maryline Monthieux Effetti speciali: Berengere Dominguez (L’E.S.T.) Musiche: Antonio Castrignanò Scenografia: Carlos Conti Costumi Mariano Tufano Trucco Thomas Dowling Interpreti Vincenzo Amato: Salvatore – Charlotte Gainsbourg: Lucy – Aurora Quattrocchi: Donna Fortunata – Francesco Casisa: Angelo – Filippo Pucillo: Pietro – Federica De Cola: Rita – Isabella Ragonese: Rosa – Vincent Schiavelli: Don Luigi – Massimo Laguardia: Mangiapane – Filippo Luna: Don Ercole – Ernesto Mahieux: Dottor Zampino Produzione Diana Frey, Alexandre Mallet-Guy, Fabrizio Mosca, Michael André, Luc Besson (non accreditato), Pierre-Ange Le Pogam (non accreditato), Laura Adriana Nicotra Distribuzione 01 Distribution Durata 114’

All’inizio del XX secolo, la famiglia siciliana dei Mancuso lascia Petralia Sottana alla volta dell’America. Salvatore, deluso da una terra poco generosa, si affida alla Madonna dell’Alto e, dopo averle offerto un sasso macchiato di sangue e portato in bocca in segno di sacrificio come da antica tradizione si usa fare a Petralia, le chiede quale strada prendere, se restare o partire. Il “segno” arriva: poco dopo Pietro, il figlio muto, porta le foto di un ortaggio tanto grande da dover essere trasportato su una carriola. Il protagonista si prepara allora a scoprire il Nuovo Mondo: dopo aver venduto i miseri averi per acquistare vestiti e scarpe buone, s’imbarca per l’America con i figli, la madre, Donna Fortunata e altri italiani. Tra gli umili popolani italiani, un’elegante donna inglese si distingue in tutto il suo candore aristocratico. Lucy, che viaggia inspiegabilmente con gli italiani, e pare essere stata respinta da uno di loro, è il simbolo dell’emancipazione femminile. Salvatore ne è colpito fin dal primo incontro, le offrirà la sua protezione e infine ne farà la sua fidanzata. La vita nel “nuovo mondo” inizia ad Ellis Island, dove la famiglia sbarca, e si rendono conto di come sia ben diverso da come Salvatore e i suoi si erano illusi di trovarlo. Appena sbarcata, la famiglia Mancuso deve sottoporsi a una serie di controlli medici, fisici e mentali; il mancato superamento di questi test porta al rimpatrio. Inoltre le donne, per poter entrare definitivamente in America, devono essere sposate, o diventarlo sul momento: e mentre le Mancuso, insieme ad altre, si ritrovano a conoscere e a dover accettare immediatamente mariti connazionali già residenti in America, che non hanno mai visto e che risultano anziani o sgradevoli, Lucy compila il modulo per Salvatore facendone il suo sposo (non per amore ma per convenienza in quanto lei non sposata non potrebbe stare in America). In conclusione, dopo il mancato superamento di alcune prove mentali, Donna Fortunata e Pietro si ritrovano ad affrontare il rimpatrio. Mentre coloro che sono riusciti a superare i controlli avranno la possibilità di condurre in America, una vita relativamente migliore.

Film importante che descrive l’emigrazione italiana quando il lavoro lo cercavamo noi nel nuovo mondo vivendo le problematiche ed i rifiuti che ora stiamo imponendo agli immigrati che arrivano nel nostro paese. Crialese per la realizzazione del film (leone d’argento a Venezia) ha raccolto una notevole documentazione e l’opera diventa quasi un documento storico

LA CRITICA

Credevamo di sapere tutto sulla grande emigrazione che ai primi del ‘900 portò milioni di italiani in America, invece non sapevamo quasi nulla. Credevamo di sapere cosa li muoveva, come erano fatti, come vivevano, parlavano, pensavano. Grazie al cinema, ai libri e alle canzoni conoscevamo le immense difficoltà materiali e morali che dovettero affrontare; a forza di racconti la distanza incolmabile che separava il Vecchio continente dal Nuovo era diventata accessibile, intellegibile, addirittura familiare. Ed ecco che un film insolito e coraggioso sconvolge tutte quelle false certezze ricreando sotto i nostri occhi la sostanza profonda di quell’esperienza con una precisione e un’inventiva che sono insieme opera di antropologia e di poesia.  Non un gesto o una parola di Nuovomondo sembrano infatti arbitrari o fuori posto. Tutto è storico, autentico, documentato, dal dialetto dei protagonisti agli ingenui fotomontaggi primo ‘900 che a forza di ortaggi giganti dipingevano l’America come la terra del Bengodi. Eppure la minuziosa ricostruzione d’epoca scompare di fronte al respiro mitico di quello che, come dice giustamente il suo stesso autore, «non è un film politico, non è un film storico, non è un film sociale». Anche se si è documentato per anni e rievoca pagine poco note, vedi le spose comprate a Ellis Island come bestiame, o i test attitudinali praticati in massa sugli immigrati «per proteggere gli americani dal contagio di intelligenze inferiori», primi esperimenti di eugenetica su larga scala, Crialese non fa polemica storica perché non perde mai di vista il vero centro del film. Che non è, malgrado il titolo, il nuovo mondo (del quale non vedremo, intelligentemente, neanche un fotogramma), ma il vecchio. Il mondo che Salvatore e i suoi parenti saliti sul piroscafo perderanno per sempre. Quel mondo contadino e ancora magico che la nostra letteratura e la nostra etnografia hanno raccontato a fondo, ma che il cinema forse non aveva ancora saputo avvicinare con tanta forza poetica e insieme con tanta solida, commovente semplicità (Crialese: «L’uomo che parte è un uomo che porta con sé pochi oggetti e tutti i suoi morti»). Ed ecco il rapporto viscerale con la terra e con gli animali, che sono asini e capre, compagni di vita e di lavoro, ma anche serpi e lumache, creature dell’inconscio, del disagio, del mistero. Ecco quei rapporti familiari oggi quasi incomprensibili, le gerarchie, il sistema degli affetti e dei doveri, restituiti in uno sguardo o una battuta. Ecco i sogni ingenui e irresistibili, tuffo in un mondo di archetipi che si intona magicamente alla voce di Nina Simone: un anacronismo musicale che è quasi la cifra di questo film nitido e sapiente, potente e insinuante, destinato a “lavorare” dentro lo spettatore per giorni e giorni. (Fabio Ferzetti – Il Messaggero 22 /9/2006)

Eccolo qua, il film-rivelazione di Venezia 2006. Ci riferiamo, con un po’ di sana ironia, al Leone speciale che la giuria veneziana si è inventata per premiare Nuovomondo, il film di Emanuele Crialese. Giunto al terzo lungometraggio, il regista italiano non è una rivelazione per noi e non dovrebbe esserlo nemmeno per gli stranieri, visto che il primo film Once We Were Strangers era stato realizzato negli Usa e il secondo, Respiro, aveva ottenuto più successo in Francia che in Italia. Ma tant’è: festival e giurie passano, i film restano, e Nuovomondo resterà, perché è davvero un’opera notevole. In un certo senso Crialese ritorna ai temi dell’esordio: Vincenzo Amato, il suo attore-feticcio, è nuovamente un emigrante, e il film rievoca i tempi in cui noi italiani eravamo gli «str nieri» che andavano in giro per il mondo a procurarsi il pane. Stavolta, anziché nella New York moderna, siamo nella Sicilia del primissimo ‘900 dalla quale parte per le lontane Americhe l’intera famiglia Mancuso: madre, figlio e due nipoti già adulti, uno dei quali è – o almeno pare – sordomuto. Il film si apre in un tempo senza tempo, segnato da riti preistorici: padre e figlio scalano un monte tenendo un sasso in bocca (allusione a vecchi rituali mafiosi?) per chiedere alla Madonna se sia il caso o meno di partire, mentre la vecchia matriarca estrae il malocchio da una fanciulla assatanata. Presa la decisione di emigrare, i Mancuso raggiungono il porto dal quale una nave li porterà in America. Si aggrega loro, nel viaggio, una donna inglese dall’oscuro passato, che all’arrivo a New York chiederà a Mancuso di sposarla per poter entrare negli States. La seconda metà del film è una ricostruzione scrupolosissima, a metà fra il documentario etnografico e il Castello di Kafka, delle procedure complicate e surreali che i viaggiatori debbono affrontare a Ellis Island, l’isola-lager a poche miglia di mare dalla statua della Libertà. Test attitudinali e analisi cliniche che sconfinano nel razzismo, e che hanno come scopo – ben prima di Hitler – la selezione degli «eletti» al fine di creare una presunta «razza» americana perfetta. I Mancuso e gli altri disperati che hanno viaggiato con loro non vedono mai, almeno nel film, l’America: debbono limitarsi a sbirciarla dalle vetrate di Ellis Island, osservando esterrefatti i grattacieli e domandandosi dove diavolo staranno le bestie, in quelle case «che toccano il cielo». Nuovomondo è un film volutamente claustrofobico, che restituisce perfettamente l’ansia di un viaggio verso l’ignoto e l’esclusione di fronte a un nuovo mondo ricco, chiuso e feroce. Al tempo stesso, Crialese si concede fughe nell’onirico – come la nuotata finale in un oceano lattiginoso – che scavano nell’inconscio collettivo dell’emigrazione italiana. Il film è bello e importante. (Alberto Crespi – L’Unità 22/9/2006)