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Cinema e lavoro – L’eredità

Un film di Per Fly (Danimarca – Svezia, 2003)

Milano, 2.10.2017

Regia: Per Fly Soggetto: Per Fly, Kim Leona, Dorte Hogh, Morgens Rukov Sceneggiatura: Per Fly, Kim Leona, Dorte Hogh, Morgens Rukov Fotografia: Harald Gunnar Paalgard Musiche: Halfdan E. Montaggio: Morten Giese Scenografia: Soren Gam Costumi: Stine Gudmundsen-Holmgreen, Margrethe Rasmussen, Lotte Trolle Effetti: Peter Hjorth Interpreti: Ulrich Thomsen (Christoffer), Lisa Werlinder (Maria), Ghita Norby (Annelise), Karina Skands (Benedicte), Lars Brygmann (Ulrich), Lucy Andoraison Hansen (Mira), Diana Axelsen (Annida), Carsten Bjornlund (Henrik), Thorbjorn Lindstrom (Jonas), Ulf Pilgaard (Aksel) Produzione: Zentropa Entertainments Distribuzione: Teodora Film Durata: 107’

Dopo la morte del padre, Christoffer cede alle richieste della madre e si mette alla guida delle acciaierie Borch Moller, proprietà della sua famiglia, a Copenaghen. In realtà lui non se ne è mai interessato e fino a quel momento ha vissuto a Stoccolma con la moglie Marie, attrice svedese, gestendo un ristorante. Una volta a capo dell’azienda, Christoffer è costretto a prendere decisioni drastiche che lo metteranno a confronto non solo con la sua coscienza, ma anche con la sua famiglia.

Dramma della borghesia industriale aggiornato all’epoca dell’economia globale. Mostra le difficoltà nell’affrontare le crisi anche dalla parte padronale a partire dalla solitudine del potere. E’ anche un film sulla impossibilità di conciliare la privata con la pubblica quando il dovere legato al ruolo si impone.

LA CRITICA

A differenza del protagonista del film francese Risorse umane di Laurent Cantet, dove il giovane dirigente tagliatore di posti di lavoro era figlio “degenere” di un operaio della stessa fabbrica, il Christoffer del film nato da casa Zentropa (entourage Lars von Trier) è il primogenito di un magnate della siderurgia. Che si toglie la vita al culmine di una crisi depressiva e lascia la patata bollente delle acciaierie in crisi a questo figlio che aveva girato le spalle alla famiglia, costruendosi lontano da casa una vita felice di ristoratore e di marito della luminosa Maria. Il regista Per Fly e il suo protagonista Ulrich Thomsen disegnano con delicata sensibilità, con ricchezza di sfumature molto scandinave se così si può dire – molto è il “non detto” – il precipitare di questo giovane uomo nella perdita di sé e di ciò che più gli è caro per rispetto di un senso di responsabilità e del dovere che lo pone di fronte a un bivio inevitabile (viene in mente: che uomo era Gianni Agnelli prima di diventare l’Avvocato?). Il prezzo imposto, senza possibilità di compromesso o di conciliazione, è il sacrificio. Privilegiando questo aspetto il film lascia in ombra invece, libero di farlo ma anche noi di notarlo, la dimensione sociale, la crisi industriale, il dramma collettivo. E in virtù di una scelta narrativa che pone in primo piano il dilemma appena descritto, dimentichiamo che Christoffer mette pur sempre sul lastrico un sacco di famiglie. (Paolo D’Agostini – La Repubblica)

Famiglia e fabbrica sono i binari convergenti su cui viaggiò la vita di Ettore Schmitz alias Italo Svevo, che a causa dei relativi obblighi fu costretto per vent’ anni a rinunciare alla letteratura. Il precedente esistenziale torna in mente di fronte al film L’eredità, dove Christoffer ha abdicato al ruolo di delfino di una grande acciaieria di Copenhagen sposando Maria giovane attrice del Dramaten e aprendo un ristorante a Stoccolma; ma la scomparsa del padre e la crisi della ditta, auspice la madre vedova Annalise, lo riporta all’ovile con le amare conseguenze del caso. Uno dei più bei film che si possono vedere in questi giorni sugli schermi non è americano, né appartenente alle cinematografie di abituale consumo. Targato Danimarca, L’eredità ha totalizzato in patria quasi 400mila spettatori e sta facendo il giro del mondo delle premiazioni festivaliere. L’ha importato la piccola società di Vieri Razzini, un critico divenuto distributore di pellicole solitamente ignorate dal mercato. Scritto e diretto dal 44enne Per Fly, questo dramma rivela il rigore e la crudeltà dei migliori ascendenti nordici a cominciare da Bergman. Si comincia con la visita del padre agli sposi di Stoccolma, tutti e tre palesemente a disagio soprattutto quando il discorso tocca il gran rifiuto di Christoffer. Poco dopo, a interrompere un duetto di amore coniugale, arriva la telefonata che annuncia il suicidio del genitore, incapace di affrontare la crisi della ditta e i connessi licenziamenti. A Copenhagen la madre impone al figliol prodigo di prendere in mano la situazione per tentare il salvataggio attraverso la fusione con un gruppo di Lyon. Ben presto Christoffer, obbligato a fronteggiare un cognato infido, capisce che oltre a rinunciare alla felicità personale dovrà anche assumere la spietatezza del capitalista; e non è detto (e qui sta l’ambigua finezza del film) che l’esercizio del potere gli dispiaccia. Tornando al paragone con il caso Svevo, nella tremenda Annalise di Ghita Nørby sembra di veder rivivere la matriarca Olga Veneziani che dominò il genero per tutta la vita. Ma anche gli altri interpreti, da Ulrich Thomsen a Lisa Werlinder, imprimono il loro segno. Il “kammerspiel” è efficacemente contrappuntato dalle scene di fabbrica: le assemblee degli operai inquieti per il loro destino, la lavorazione dell’acciaio, la visita dei potenziali soci francesi. Tutto palpitante e verosimile. (Tullio Kezich – Il Corriere della sera)

“Prodotto dalla Zentropa di Lars Von Trier ma girato in uno stile severo, controllato, arciclassico, lontanissimo dall’estetica Dogma, ‘L’eredità’ del danese Per Fly aggiorna temi della grande letteratura europea fra le due guerre ai tempi dell’euro e delle grandi fusioni . (…) Anche se Fly, ribaltata la prospettiva abituale dei film sul lavoro (padroni anziché operai; tragedia anziché humour), non scava crudelmente fino in fondo ai suoi personaggi, mantenendosi nei binari di un realismo solido e motivato, ma un poco avaro di sorprese. Gran successo in patria comunque: pioggia di premi e 380.000 spettatori. (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’)

“È raro che venga eletto protagonista d’una storia drammatica non un operaio disoccupato o una lavoratrice licenziata o un ragazzo senza posto, ma un giovane potente industriale: accade ne ‘L’eredità’ di Per Fly, film molto bello che, oltre al destino infelice di un ricco, analizza le forme del capitalismo famigliare europeo, i metodi della gestione industriale contemporanea. Opera originale, molto interessante. (…) Come in ‘Festen’ di Thomas Vintenberg, alla famiglia viene attribuita una funzione corruttrice e mortifera. Nello stile pacato e forte del film molto ben recitato, momenti particolarmente belli sono il fronteggiarsi di famiglia padrona e assemblea operaia, le bianche lettere di licenziamento palpitanti tra le dita dei lavoratori disperati. E le vane invocazioni d’aiuto rivolte dal protagonista alla madre: ‘Mamma, non ce la faccio’, ‘Su, non facciamo gli emotivi’.” (Lietta Tornabuoni, ‘La Stampa’)

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