Cinema e lavoro – I lunedì al sole

Milano, 10.04.2017
Sceneggiatura: Fernando Leon da Araona, Ignacio del Moral Fotografia: Alfredo F. Mayo Montaggio: Nacho Ruiz Capillas Musica: Lucio Godoy Interpreti:  Javier Bardem (Santa), Jose’ Angel Egido (Lino), Luis Tosar (Jose’), Serge Riaboukine (Serguei), Nieve De Medina (Ana), Joaquín Climent (Rico), Celso Bugallo (Amador), Enrique Villen (Reina), Aida Folch (Nata), Laura Dominguez (Angela), Fernando Trejero (Lazaro) , Antonio Mourelos (Giudice), Antonio Duran Morris (Direttore di banca), Maria Luisa Martinez (Impiegata del collocamento), Belen Lopez (Figlia di Lino), Pablo De La Fuente (Figlio di Lino), Luisa Merelas (Moglie di Lino), Monica Garcia (Monica), Casilda Garcia (Proprietaria pensione), Pablo Vazquez (Bambino), Isabel Cervino (Segretaria giudiziaria), Luis Castro (Impiegato cantiere navale), Lois Seaxe (Collega di Anna), Cesar Cambeiro (Procuratore), Andres Lima (Avvocato), Pepo Oliva (Samuel) Produzione: Elias Querejeta Distribuzione: Lucky Red Durata  113′
Un gruppo di disoccupati, ex operai dei cantieri navali di una cittadina del Nord della Spagna, trascorrono le loro giornate in un bar o sugli scogli del porto. Ormai per loro i giorni passano tutti uguali e ognuno reagisce a modo suo alle angoscie ed alle umiliazioni di una situazione così precaria
Uno di loro si suicida e gli altri per gettare le sue ceneri in mare, rubano un battello. Ma quando sono a largo si accorgono di aver dimenticato l’urna nel bar.
 
Nord della Spagna, Galizia per la precisione, porto di Vigo. Un gruppo di disoccupati, ex operai dei cantieri navali, trascorrono le loro giornate in un bar o sugli scogli del porto. Ormai per loro i giorni passano tutti uguali e ognuno reagisce a modo suo alle angosce ed alle umiliazioni che la situazione comporta. Siamo dalle parti dei film che potremmo definire dei “crimini di pace”, di quei crimini quotidiani che portano alla depressione ed alla incapacità di reagire se non rifugiandosi in un bar. Eppure, partendo da queste storie, Fernando Leòn de Aranoa, 35enne di Madrid, regista di “I lunedì al sole”, ha costruito un film che ha vinto l’Oscar spagnolo, il premio Goya, ed ha conquistato pubblico e critica al festival di San Sebastian, oltre ad aver ottenuto molti altri premi. Un film che racconta bene la rovina umana della cassa integrazione, il più crudele fenomeno economico dei nostri anni quando colpisce in una realtà senza occupazione. Un fenomeno al quale si può sopravvivere solo con la solidarietà e l’amicizia. Ma anche le storie di ciascuno ha sbocchi diseguali; qualcuno cerca altri lavori, magari aprendo il bar dove i compagni si ritrovano, qualcun altro vegeta fino ad arrivare al suicidio. Sembrerebbe quindi un film drammatico, invece è una delle commedie più riflessive ed, a modo suo divertenti, che il cinema spagnolo ha prodotto negli ultimi anni. Una commedia sociale che parla di frustrazione ma anche di complicità maschile, che affonda la sua graffiante ironia nelle migliaia di storie di tutti i giorni. Un film che aiuta a capire come a volte siano difficili i rapporti umani e che, senza forzature ideologiche, descrive lo sforzo per mantenere alta la dignità umana. La descrizione di quella che può essere una certa società post-industriale è puntuale. Una società dove anche le partite di calcio vengono viste di straforo e solo su una sola porta. La porta della propria squadra (lo Sporting Gijòn) che nel frattempo è finito in serie B. Un film comunque recitato benissimo da una squadra di attori sui quali domina Javier Bardem, nella parte di Santa, protagonista delle lotte contro la chiusura dei cantieri navali. Ma soprattutto un film non vittimista, con dialoghi divertenti, con personaggi vitali. Un film affettuoso ed amaro insieme. (Enrico Zaninetti – dalla scheda utilizzata durante il corso cinema e formazione )
  
LA CRITICA
 
Con Javier Bardem, il dramma sociale post-industriale segue in Galizia, nel Nord della Spagna, un gruppo di amici rimasti disoccupati dopo la chiusura del cantiere navale, analizzando le conseguenze della condanna all’ozio forzato. Chi cerca testardamente un impiego, chi litiga con la moglie lavoratrice, chi affonda nella solitudine, chi ha aperto un bar dove gli altri si ritrovano, Bardem tenta di non rinunciare alla propria personalità. Il film spagnolo che ha vinto il festival di San Sebastian e molti premi racconta bene la rovina umana del più crudele fenomeno economico dei nostri anni.
Lietta Tornabuoni   La Stampa (2/4/2003)
 
Si può sorridere senza avere un lavoro? Santa, José, Lino e Amador ci provano. Nel bar di Rico, ex compagno di fabbrica costretto a reinventarsi la vita dopo il brutale licenziamento. Gijón, Asturie, nord della Spagna: i lunedì non sono più i primi giorni di settimane spese intorno a un tornio o con un trapano in mano: sono i nuovi incipit di nuove, “inutili” esistenze bighellonate e bighellonanti. Santa, “leader” quasi suo malgrado, è incazzato nero perché, oltre a essere stato cacciato, i padroni glI chiedono pure il risarcimento di un lampione mandato in frantumi durante i giorni della lotta e degli scioperi: vive solo, in una modestissima stanzetta di una pensione, ogni tanto una prostituta, quando capita qualche espediente (fa il babysitter sostituendo di nascosto la figlia di Rico in una lussuosa villa con piscina: una delle scene più felici del film). José è sposato con Ana ed è lei ora che porta i soldi a casa, umiliandosi a tempo determinato in una ditta che inscatola pesce (e infatti è ossessionata dal suo odore). Lino non si dà per vinto e partecipa a numerosi colloqui tentando di rilanciarsi “travestendosi” da giovane, ma il mondo del lavoro che ipocritamente lo accoglie non è più in grado di ascoltarlo. Amador è quello che sta peggio: non rassegnato, intinge la sua sconfitta nell’alcol, vivendo tra i rifiuti accumulati in casa. Santa sogna gli “antipodi” («Lì c’è il lavoro qui no, lì si scopa qui no»), José gioca al superenalotto, Lino si tinge i capelli e Amador si getta dalla finestra: di queste “risorse umane” il neocapitalismo ingordo e rampante non sa più che farsene. Al giovane e talentuoso Fernando León de Aranoa (premi a valanga per ciascun’opera realizzata, sia corta, lunga o documentaria), preferito in patria e agli Oscar all’Almodóvar di Parla con lei interessano le piccole grandi sporcizie che si insinuano nelle intercapedini delle società occidentali postindustriali (ma vien voglia di dire, viste le brutture, post-atomiche), tanto è vero che i “fatti” o sono fuori campo (il suicidio di Amador, i colloqui di Lino…) o sono già accaduti (i licenziamenti, la più che probabile storia d’amore tra Ana e un collega). Interessano la capacità di resistenza umana, il valore etico dell’unità («Abbiamo perso, dice Santa, perché non siamo rimasti uniti; e perdendo il lavoro abbiamo ucciso il futuro dei nostri figli»). Con un linguaggio tradizionale ma scarno, che si tiene alla larga dalla retorica, realizza così un film militante-ideologico senza il linguaggio della militanza e dell’ideologia. Più che a un fratello arrabbiato di Ken Loach, si pensa a Guédiguian e alla sua Marsiglia (ma anche al dimenticato film di Pozzessere, Padre e figlio). Si canta Volare di Modugno, si intercettano alcune note di Tom Waits e Trenet e si vedono le partite allo stadio di straforo. Sapida metafora: solo una porta, proprio quella in cui lo Sporting Gijón (finito nel frattempo anch’esso in serie B) non segna mai (Aldo Fittante – FilmTv)