Cinema e lavoro – Liam

Milano, 12.12.2016

REGIA: Stephen Frears SCENEGGIATURA: Jimmy McGovern FOTOGRAFIA: Andrew Dunn MONTAGGIO: Kristina Hetherington  MUSICHE: John Murphy  INTERPRETI: Anthony Borrows, Claire Hackett, Ian Hart, Julia Deakin, Russell Dixon, David Hart, Bernadette Shortt, Megan Burns, Andrew Schofield, Anne Reid PRODUZIONE: Liam Films Production, Road Movies, Mida, Diaphana, Bim DISTRIBUZIONE: BIM  DURATA: 90 Min
 
Negli anni Trenta a Birkenhead, quartiere di Liverpool, Liam è un bambino di sette anni che cresce in una comunità irlandese prevalentemente cattolica. Dopo un periodo di tranquillità, la situazione si è fatta all’improvviso difficile. La crisi economica incombe. Il padre resta disoccupato, prova a cercare un nuovo lavoro ma passa molto tempo al pub a bere e ubriacarsi, discutendo di politica con gli amici. Teresa, la sorella più grande di Liam, entra a servizio dagli Abernathy, ricca famiglia borghese ebrea, e in quella casa è bene accolta. Liam intanto, nonostante soffra di dislessia, comincia a frequentare la scuola elementare. I ritmi di studio sono scanditi dalla presenza di padre Ryan, sacerdote dai modi rigidi e severi che vigila anche sui comportamenti delle famiglie del quartiere. Passano i giorni, e di fronte al peggiorare della situazione, il padre di Liam si lascia convincere a seguire i movimenti più estremisti che gridano rivolta e odio contro stranieri e persone non gradite. Anche gli Abernathy cominciano ad essere guardati con sospetto. Teresa, anche in seguito ad un rapporto consumato nella casa, vorrebbe licenziarsi. Ma ormai il furore ha preso il sopravvento. Insieme agli altri esagitati, il padre arriva al palazzo degli Abernathy e getta dentro una bomba carta. Teresa, ancora dentro, rimane ustionata. Il padre la raggiunge, sconvolto. Ma lei gli dice ‘perdonami’.
Un discreto film sulla vita di una famiglia operaia con tutte le contraddizioni del caso nell’Irlanda cattolica e repressiva vista con gli occhi di un bambino.
 
LA CRITICA
 
… al di là dell’analisi un po’ semplicistica e didascalica dell’intolleranza proletaria, il film, che ha il sapore di una storia autobiografica e una dimensione vecchiotta e parecchio televisiva, vive per lo humour e la grazia di un personaggio, il bambino Liam, intelligente, buffo, tartaglione, colto nel momento in cui sta scoprendo i misteri della vita e i rituali repressivi del cattolicesimo, il peccato, la ribellione, la tenerezza: quella per la madre che lui calma pettinandole i capelli, quella per la sorellina, a cui cerca di dar pace, dopo un incidente che travolge le vite di tutti, con la stessa dolcissima attenzione. (Irene Bignardi, ‘la Repubblica’, 6 settembre 2000)
Il film, ricavato da un romanzo di Jimmy McGovern, è di destinazione televisiva. Dovendo lavorare senza grossi budget, Frears si è sentito più libero, più autonomo. E con precisione di tratti, con pieno consenso ha ricostruito un bello squarcio di giovinezza risalente a anni più bui dei nostri ma, pur nella modestia dei mezzi che li distinguevano, a loro modo sereni. (Francesco Bolzoni, ‘Avvenire’, 6 settembre 2000)
Il ritratto della miseria inglese nel Trenta è efficace, proposto spesso anche con modi risentiti, figurativamente ispirati a un realismo solido. L’occhio del bambino, però, che osserva soprattutto le repressioni a scuola e quelle, quasi caricaturali, in chiesa, deforma a tal segno le vere prospettive da far pensare che Frears abbia voluto addirittura cimentarsi con l’humour nero. Senza equilibrio, però, e in più momenti con scarse motivazioni narrative. Approdando a una cronaca che rischia a tratti di scivolare nel libello. Priva, alla fine, anche di vere conclusioni. (Gian Luigi Rondi, ‘Il Tempo’, 15 marzo 2001)
Dopo la brillante divagazione nella commedia ‘Alta fedeltà’, Frears mette in immagini minimaliste un romanzo semi-autobiografico di Jimmy Mc Govern, alternando con lodevole senso dell’equilibrio i toni allegri e quelli amari. Se i fatti sono tristi, dolorosi o addirittura disperati, il film non rinuncia a una certa leggerezza di tocco, ottenuta filtrando gli eventi con gli occhi di un piccolo umorista senza saperlo. La sceneggiatura, scritta bene, articola la progressione degli eventi in un crescendo efficace: anche se scivola nel didascalismo quando s’impegna a dimostrare la genesi della paranoia del disoccupato. Tutto il cast è perfettamente all’altezza del compito: dal versatile Ian Hart alla giovanissima Megan Burns, da Claire Hackett a Anthony Borrows, bimbetto dalla faccia di gomma che inciampa nelle parole ma sa guardare la vita con l’ottica giusta. (Roberto Nepoti, ‘la Repubblica’, 19 marzo 2001)
E’ bello il modo in cui Frears descrive la famiglia ebrea nella sua casa borghese, inutilmente gentile e generosa; è delicata la sapienza con cui racconta la disgregazione per paura della fame, dello sfratto, l’ostilità che annebbia i sentimenti intorno a una tavola dove il pane scarseggia; l’umiliazione della ragazzina che ruba la carne che la famiglia ebrea butterebbe via, il vestitino bello portato al banco dei pegni. E la capacità, che Liam malgrado tutto conserva, di guardare alla vita come a una grande meraviglia. (Lietta Tornabuoni, Io Donna, 27 marzo 2001)

 

E’ il 1930: Liam, sette anni, sta crescendo in un quartiere irlandese cattolico al di là del Mersey River a Liverpool. I tempi sono duri ma la sua famiglia è felice: ha una madre amorevole, un padre capofamiglia responsabile, suo fratello e sorella maggiore sono affettuosi e servizievoli. Ben presto la serena compagine, però, verrà sconvolta dalla Depressione e nulla avrà più l’aspetto di prima.  Attraverso lo sguardo di un bambino, innocente ma consapevole, Stephen Frears racconta uno spaccato di vita inglese con naturalezza e competenza…….Tratto dall’omonimo romanzo di Jimmy McGovern (ispirato da “The back crack Boy” di Joseph McKeown), LIAM si pone su un innovativo piano narrativo ben diverso dagli schemi classici dominanti questi film di genere; la Storia si intreccia ai sentimenti e alle passioni umane in un continuo alternarsi. Gli occhi acuti e perspicaci di un bambino (un bravissimo Anthony Abernathy) guidano lo spettatore nella focalizzazione di ogni singolo particolare, il piccolo Liam sembra indicare allo stesso Frears i tempi e i modi per presentare una storia ricca di umanità e humor nero. Le ricostruzioni sceniche e storiche creano una equilibrata impalcatura per una pellicola sapientemente concepita ed elaborata; il “cineocchio” dell’autore crea suggestivi movimenti di macchina quasi a voler suggerire un punto di vista convincente: tutto viene osservato con discrezione e compostezza. La narrazione non appare mai forzata e i personaggi si muovono armonicamente attratti da una forza centripeta verso un unico punto di riferimento: Liam. Al contempo il piccolo uomo ordina e riorganizza le trame del tessuto narrativo attraverso l’innocenza di un bambino che si affaccia alla vita prima del tempo. I suoi occhi si aprono al mondo avidi di conoscenza, gioie e dolori costituiscono territori da esplorare così come il corpo femminile e la sfera della fede. Una ricostruzione, quella di Frears, che sembra aver assimilato del tutto la lezione dei padri della letteratura realista inglese (primo tra tutti Dickens) ma che mostra, però, i caratteri di una rielaborazione personale tipica per innovazione e sensibilità. Un tenero abbraccio virtuale ad un essere che nella sofferenza scoprirà i misteri dell’esistenza e che, attraverso la spensieratezza e l’innocenza, suggerirà l’unica via possibile verso il ritorno alla serenità. (Sara Fronda – Kinematrix)