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Cinema e lavoro – Placido Rizzotto

Milano, 1.2.2017
 
REGIA: Pasquale Scimeca SCENEGGIATURA: Pasquale Scimeca FOTOGRAFIA: Pasquale Mari MONTAGGIO: Babak Karimi  MUSICHE: Agricantus INTERPRETI Marcello Mazzarella, Vincenzo Albanese, Carmelo Di Mazzarelli, Gioia Spaziani, Arturo Todaro, Melino Imparato, Antonio Bevilacqua, Caterina Di Francesca, Liliana Abbene, Mario Rivera, Franco Catalano, Biagio Barone, Giuseppe Gennusa PRODUZIONE Arbash Film DISTRIBUZIONE Istituto Luce DURATA 110’.
 
Finita la seconda guerra mondiale, il giovane Placido Rizzotto fa ritorno al proprio paese: Corleone in provincia di Agrigento. I contadini traggono l’unico sostentamento dal lavoro duro nei campi, ma sui terreni le famiglie mafiose esercitano un controllo quasi totale, favorendo i grandi proprietari terrieri e impedendo ai lavoratori di gestire in proprio l’attività. Ben presto Placido capisce che è opportuno impegnarsi direttamente per cercare di cambiare qualcosa in questa situazione. Mentre il padre cerca di dissuaderlo e si fa accompagnare al lavoro nei campi, Placido comincia a frequentare la locale Camera del Lavoro e a spronare i contadini all’azione. Nel frattempo ritrova Lia, la ragazza che lo ha aspettato e che a sua volta, presa dalla paura, gli chiede di scappare insieme. Il 10 marzo 1948 Placido guida i contadini all’occupazione delle terre. Poi Luciano Liggio, detto lo sciancato, entra in casa di Lia e, con la complicità della madre di lei, la violenta. Quella sera stessa, mentre percorre le strade di Corleone, Placido scompare nel buio. A casa i genitori lo aspettano invano. La mattina dopo il vecchio padre Carmine va dai carabinieri a denunciare la scomparsa. Cominciano indagini difficili tra omertà e depistaggi. Altre morti violente si succedono. Finché Pasquale Criscione, un gregario, comincia a raccontare i fatti. Seguono altre confessioni, in seguito alle quali vengono arrestati alcuni colpevoli, tra cui Luciano Liggio. Poco tempo dopo, finito un comizio, Pio La Torre, sindacalista, vede il capitano dei carabinieri che ha condotto le indagini e va a ringraziarlo: è Carlo Alberto Dalla Chiesa
 
Il film vuole raccontare un sogno spezzato, nella certezza che ogni manifestazione di coraggio, ogni difesa dei deboli, ogni sentimento di dignità umana meriti di essere narrato ma anche  «la frattura che si determina tra le generazioni in certe particolari condizioni della storia (guerre, rivoluzioni, sommovimenti sociali)»
 
LA CRITICA
 
“Con una materia tanto incandescente poteva uscirne un’ennesima similpiovra o uno scontato docudrama alla Giuseppe Ferrara. Trappole che Pasquale Scimeca ha evitato, scegliendo una strada ardua e bellissima: raccontare la storia di Placido, ‘uomo dei sogni’, alternando le cadenze epiche del teatro dei pupi al cinema di poesia di Pasolini allo straniamento brechtiano. Ma senza ombra di intellettualismo e con uno straordinario lavoro su e con gli attori. Tutti, tranne il siculo-parigino Marcello Mozzarella, semisconosciuti”. (Sandro Rezoagli, ‘Ciak’, ottobre 2000)”
 
E’ una commistione indovinata di generi nostri che affondano le radici nelle favole vere dei cantastorie, nelle dolorose sceneggiate, nella denuncia del documentario, girato in interni ben visibili, come si usava una volta in tv (…) Scimeca ci offre una cronaca ma anche un ripensamento, perfino una metafora del povero che lotta, una ballata, un’opera tragica dei pupi fatta di realismo magico, ma anche di antropologia di quella terra, nell’arco espressivo che da Rosi arriva ai ‘bravi ragazzi’ di Scorsese”. (Maurizio Porro, ‘Il Corriere della Sera’, 28 ottobre 2000)
 
“Tutto suona autentico in ‘Placido Rizzotto’. E tutto sa al contempo di mito: l’amore impossibile di Rizzotto e di una nipote di Liggio; la bara del pastorello ucciso, portata a spalla dal padre gigantesco; il rapimento stesso del protagonista. ‘I film di mafia sono i nostri western’, dice Scimeca. E come i western, o le fiabe della tradizione orale, dovrebbero far parte della nostra memoria collettiva. Anche se a raccontare certe favole oggi si resta soli, come si vede nell’ultima, struggente inquadratura”. (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 20 ottobre 2000)
La condanna a morte di Placido è eseguita con tutta la truculenta dell’odio personale da Lucio Liggio, detto lo sciancato, che desiderava Lia da molto tempo e, prima del delitto, l’ha violentata. E’ a proposito di questo episodio che si affaccia la prima riserva sul film – bello, potente e ben diretto – di Scimeca. Con un’inattesa ambiguità, la sequenza dimostra la ragazza che prova piacere allo stupro, secondo un vecchio pregiudizio che speravamo sepolto. Gli altri appunti che si devono muovere al film sono il commento musicale, invadente e pompieristico al punto da togliere drammaticità all’immagine, anziché aumentarla, e l’ingenua coda didascalica”. (Roberto Nepoti, ‘la Repubblica’, 22 ottobre 2000)
 
 
LA PAROLA AL REGISTA
 
Dalle note di regia: “Da ragazzino, frequentando la camera del lavoro del mio paese, ascoltavo le storie dei vecchi che citavano spesso il nome di Placido Rizzotto e di Salvatore Carnevale. E’ stato normale, per me, dopo molto tempo, ricostruire quei fatti in un film. Avevo cinque o sei anni e nella campagna vicino al mio paese i fratelli Taviani e Valentino Orsini stavano girando ‘Un uomo da bruciare’. Andai a vedere il set e rimasi colpito dalla grande quantità di proiettori che servivano per illuminare il giorno”.
 
Padri e figli che non si parlano e non si capiscono più. Sconvolgimenti sociali (e politici) che scuotono dalle fondamenta ordini secolari costituiti, fin dentro le stesse famiglie, fin dentro l’anima delle persone che “recitano” in questo film.
E così Corleone diventa il palcoscenico, il grande teatro dell’umanità deleritta. E la recita non può che finire in tragedia. Tragica sarà la fine del giovane Placido Rizzotto, ucciso selvaggiamente e buttato in un fosso. Tragica la sua fine, a più tragico ancora l’oblio che l’accompagna (i suoi miseri resti non hanno mai conosciuto una tomba e giacciono tra scartoffie e cianfrusaglie nei sotterranei del palazzo di giustizia di Palermo).
Tragica la fine del capomafia Michele Navarra, che verrà ucciso a sua volta, e il suo corpo sarà crivellato da centinaia di colpi di mitra.
Tragica la fine del capitano Dalla Chiesa e di Pio La Torre.
Ma tragica sarà anche la fine del capo mafia, Luciano Liggio, morto in galera, malato e abbandonato da tutti.
Tragica l’esistenza del vecchio Carmelo Rizzotto, ossessionato dalla morte del figlio, e dalla volontà di smascherare i suoi assassini. O quella di Lia, emigrata nel nord dell’Italia, prigioniera dei suoi ricordi (e rimorsi) in un appartamento popolare nella sterminata periferia di una grande città.

 

E in questa tragedia si stempera la vita, la passione, l’amore, l’amicizia e la morte, che raccontiamo nel film sul sindacalista di Corleone, Placido Rizzotto, scomparso il 10 marzo del 1948 e mai più ritrovato. (Pasquale Scimeca)
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