Cinema e lavoro nel 2005

Milano, 24.1.2018

Il 2005 è l’anno di approvazione della costituzione Europea mentre in Italia la Lega Nord spinge per il ritorno alla lira. Entra in vigore il protocollo di Kyoto, trattato internazionale in materia ambientale riguardante il surriscaldamento globale, non sottoscritto dagli Usa. E’ anche l’anno nel quale una serie di attentati sconvolge Londra e della morte di Papa Giovanni Paolo II al quale succede Benedetto XVI.

Il pubblico cinematografico premia film di buon livello come Harry Potter e il calice di fuoco di Mike Newell o La guerra dei mondi di Steven Spielberg ma anche il solito banale cinepanettone come Natale a Miami di Neri Parenti.

Dal punto di vista qualitativo si registra l’uscita di interessanti film. Citiamo a caso A History of Violence di David Cronenberg, L’Enfant dei registi belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne, Good Night and Good Luck di George Clooney ma anche documentari come Il cane giallo della Mongolia di Byambasuren Davaa. Il documentario, come già negli anni scorsi, si ritaglia uno spazio importante nella produzione cinematografica anche per quanto riguarda i temi del lavoro come vedremo più avanti con Workingman’s Death.

E veniamo al nostro giro del mondo in merito alla produzione di film che parlano di economia e lavoro partendo come al solito dagli Usa. Poco da segnalare dal mercato americano se non un film di animazione computerizzata 3D di Chris Wedge e Carlos Saldanha ed un documentario come Enron – L’economia della truffa. Il primo, dal titolo Robots, parla di tecnologia attraverso la vicenda di un giovane robot proletario che si trova alle prese con un piano di “pulizia tecnologica” teso a massimizzare i profitti. Il documentario sulla vicenda Enron espone i motivi dello scandalo finanziario Enron, uno dei più gravi che hanno turbato il mercato Usa negli anni 2000. Girato da Maryse Alberti è la cronaca del successo di una corporation Usa e successiva caduta, provocata da frodi, spericolati giochi di Borsa, falsificazioni e abusi dei bilanci ai danni dei risparmiatori e degli investitori. Il documentario porta allo scoperto la cupidigia dei manager mettendo sotto accusa anche la filosofia sociale dell’azienda.
Tra gli altri film Made in Usa da segnalare North Country – Storia di Josey di Niki Caro che denuncia i soprusi e le violenze sessuali sul lavoro da parte di Josey Aimes, che fu protagonista di una storica sentenza che migliorò la condizione femminile sul lavoro.

Dalla Gran Bretagna arriva Kinky Boots – Decisamente diversi di Julian Jarrold, piacevole commedia sull’uscita dalla crisi di un calzaturificio sull’orlo del fallimento. Si tratta di una commedia tipicamente inglese dal buon ritmo e dalla intelligente fotografia che si occupa anche della diversità sessuale e dell’integrazione sociale.

Dall’Australia un film sulla solidarietà e sull’indifferenza dal titolo Three Dollars per la regia di Robert Connolly. Un film sulla quotidianità di un uomo in stato di disoccupazione e la sua amicizia con un clochard. Interessante il tema, meno la realizzazione del racconto che vede al centro una coppia di docenti universitari che si trovano senza lavoro.

La storia, di alcuni operai cinesi trasferiti in una regione montana che sognano di tornare a Shangai, mentre i figli vorrebbero rimanere viene raccontata dal regista cinese Wang Xiaoshuai nel film Shanghai Dreams. Un film, vincitore del Premio della giuria al 58º Festival di Cannes, che parla di contrasto tra generazioni ma anche di crisi e di scelte politiche nel definire progetti di sviluppo dei territori per contrastare in questo caso l’influenza sovietica.

 

Sempre di crisi post-comunista parla anche Una cosa chiamata felicità prodotto dalla repubblica Ceca e diretto da Bodhan Sláma. In questo caso è importante l’ambiente nel quale si svolge la storia di alcuni giovani e della loro crescita in mezzo ai disagi: fabbriche, ciminiere, viadotti che rappresentano un passato inserito in un deserto esistenziale mentre l’ideologia neocapitalista si diffonde mentre la felicità del titolo continua ad essere un sogno.

Ed eccoci al documentario austro-tedesco Workingman’s Death di Michael Glawogger. E’ forse il più importante documentario sulla classe operaia nel mondo e sulla sua invisibilità. Racconta di uomini che lavorano in miniere abusive in Ucraina, in quelle di zolfo in Indonesia, di un mattatoio in Nigeria, di lavoratori con la fiamma ossidrica pakistani e della mancanza di futuro di alcuni mestieri in Cina e di una fonderia trasformata in attrazione turistica. Un film sulla dignità del lavoro girato in modo splendido con immagini di rara potenza che restano nella memoria. Sempre di produzione austro-tedesca un secondo documentario sulla produzione industriale del cibo in Europa con gli animali programmati non più come esseri viventi ma come una catena di produzione in serie per soddisfare il mercato ed il profitto. Il documentario si intitola Nostro pane quotidiano ed è diretto da Nikolaus Geyrhalter.

Passiamo in Francia per segnalare il secondo episodio di Kirikù dal titolo Kirikù e gli animali selvaggi, il film animato di Michel Ocelot e Bénédicte Galup. Questa volta il nostro piccolo eroe impara dal nonno la vita del villaggio africano con il lavoro della terra e la costruzione di vasellame. Dai cugini francesi arriva anche Tutti i battiti del mio cuore per la regia di Jacques Audiard. Protagonista un giovane speculatore immobiliare senza scrupoli che sfrutta gli immigrati e la povera gente che vede però messa in discussione la sua scelta di vita da parte della musica e delle scelte artistiche.

 

L’immigrazione affrontata con i toni della commedia è invece oggetto di Travaux – Lavori in casa per la regia di Brigitte Roüan. E’ l’allegra rappresentazione di una ristrutturazione di un appartamento da parte di immigrati irregolari; un’occasione per ragionare su una società che mentre accoglie gli stranieri nello stesso momento si trova al centro delle problematiche in bilico tra diritti e doveri dei clandestini. Chiudiamo il panorama francese con Cacciatore di teste di Costa-Gavras. Anche se il titolo cita un mestiere ben preciso (la ricerca di dirigenti per posti di responsabilità) in realtà parla della caccia come eliminazione fisica dei possibili concorrenti per un posto dirigenziale da parte di un quadro disoccupato in cerca di lavoro. Un film estremo per raccontare la degenerazione della competizione sfrenata.

 

 

 

 

 

Approdiamo infine in Italia per segnalare anzitutto un film anomalo come Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti che, mentre racconta la vita di un piccolo paese di montagna apre una serie di notazioni sociali e psicologiche sulle difficoltà dell’accoglienza in una comunità chiusa dove invidie e sospetti nei confronti dei vicini sono all’ordine del giorno.
Il film ha rappresentato un caso distributivo dal momento che grazie alle sue forze senza doversi appoggiare alla grande distribuzione è arrivato al successo nei circuito d’essai e non solo.

Del rapporto tra lavoro e criminalità organizzata tratta invece Sulla mia pelle di Valerio Jalongo. Tratta la vicenda di un reduce dal carcere che ottiene un lavoro in uno stabilimento caseario in mano ad un camorrista. Un film di una certa violenza ma ben ambientato nella realtà sia carceraria che industriale. Lo sfruttamento del sud italia da parte del nord sta sotto le righe della storia che Pupi Avati racconta ne La seconda notte di nozze. Si tratta della vicenda, ambientata nel secondo dopoguerra, di un truffatore bolognese che scende in Puglia per approfittare di un parente considerato lo scemo del paese ed acquisire la sua azienda agricola. Interessante anche Nessun messaggio in segreteria di Paolo Genovese e Luca Miniero che partono da un presunto dato sociologico secondo il quale per ogni giovane che lavora c’è un anziano in pensione che lo mantiene indirettamente. Per questo il pensionato protagonista del film cerca l’impiegato suo alter ego portandolo ad una metamorfosi.

Una simpatica commedia che parla non solo di lavoro ma anche di solitudine di chi il lavoro lo ha oramai lasciato. Altri film e documentari parlano di lavoro: La stoffa di Veronica (regia di Emma Rossi Landi e Flavia Pasquini) sul lavoro in carcere di una ragazza rumena condannata per traffico di clandestini oppure Apnea di Roberto Dordit sul lavoro nelle concerie del nordest da parte di immigrati, morti bianche comprese. Quest’ultima pellicola è stata distribuita in accoppiamento con Trevirgolaottantasette, un corto di Valerio Mastrandrea sulle morti sul lavoro. Ancora da segnalare, seppur non sempre riusciti, L’orizzonte degli eventi di Daniele Vicari sulla smania del successo tra i ricercatori di astrofisica o Provincia meccanica di Stefano Mordini, presentato al Festival di Berlino, che segue le vicende di un carrellista con turni di notte. Nel complesso anche se mancante di veri capolavori la produzione italiana sul lavoro si dimostra attenta ai fenomeni dello sfruttamento e dell’immigrazione.