I classici del cinema – Ladri di biciclette

Milano, 29.3.2018

REGIA: Vittorio De Sica SOGGETTO: Cesare Zavattini, dall’omonimo romanzo di Luigi Bartolini; SCENEGGIATURA: Oreste Biancoli, Suso Cecchi d’Amico, Vittorio De Sica, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Gerardo Guerrieri, Cesare Zavattini; FOTOGRAFIA: Carlo Montuori; MONTAGGIO: Eraldo da Roma; SCENOGRAFIA: Antonio Traverso; MUSICA: Alessandro Cicognini. INTERPRETI: Lamberto Maggiorani, Lianella Carell, Elena Altieri, Enzo Staiola, Vittorio Antonucci, Memmo Carotenuto, Gino Saltamerenda, Giulio Chiari, Mario Meniconi, Ida Bracci Dorati, Fausto Guerzoni, Carlo Jachino, Sergio Leone, Massimo Randisi, Checco Rissone, Michele Sakara, Peppino Spadaro, Nando Bruno, Giovanni Corporale, Giulio Battiferri, Eolo Capritti, Umberto Spadaro, Emma Druetti. PRODUZIONE: Vittorio De Sica per PDS.

Roma, pochi anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Antonio Ricci, disoccupato, vive in un quartiere periferico della città con la moglie Maria, il figlioletto Bruno e una figlia neonata. Finalmente trova lavoro come attacchino municipale, impiego per il quale è necessaria la bicicletta, che Antonio e Maria riescono a riscattare dal monte di pietà. Ma già il primo giorno di lavoro la bicicletta di Antonio viene rubata. Avvilito, l’uomo chiede consiglio a Baiocco, un netturbino che gli promette di aiutarlo. Il giorno seguente Antonio, insieme a Bruno, Baiocco e altri spazzini, inizia a battere i mercati romani dove i ladri vendono la refurtiva. La ricerca è infruttuosa; Antonio e il bambino rimangono soli a Porta Portese, sotto un violento nubifragio. Antonio intravvede il ladro in sella alla sua bicicletta e si lancia all’inseguimento, ma il ragazzo si dilegua. Ormai disperato, Antonio decide di rivolgersi a una veggente cui la moglie è devota: l’incontro è inutile, ma uscendo dalla casa della santona di nuovo Antonio e Bruno si imbattono nel ladro e lo inseguono sino a casa sua, dove vengono accerchiati dalla folla ostile dei vicini. Bruno chiama un carabiniere, che però, senza prove, dichiara di non poter far nulla. Antonio e Bruno se ne vanno umiliati e, dopo un lungo pellegrinare casuale, finiscono di fronte allo stadio, dove si sta disputando una partita. Antonio afferra una delle tante biciclette dei tifosi e scappa, ma viene subito acciuffato dal proprietario e da alcuni passanti: questi vorrebbero denunciarlo, ma, di fronte al pianto del piccolo Bruno, il proprietario decide di lasciar perdere. Padre e figlio si incamminano verso casa, mischiandosi alla folla.

Si tratta dell’opera più rappresentativa del neorealismo per la scelta degli attori non professionisti, il racconto di un dramma delle classi popolari e l’utilizzo di ambienti reali e non di studi cinematografici. Inoltre, vincendo l’Oscar come miglior film straniero, ha dato il via ad un riconoscimento internazionale del movimento cinematografico italiano.

LA CRITICA

Antonio si imbatte in una serie di situazioni e personaggi rappresentativi del clima sociopolitico dell’epoca: la stazione di polizia, con il reparto Celere che parte alla volta di un comizio; la riunione della cellula sindacale; le dame di carità che offrono un pasto ai poveri, ma solo dopo che questi hanno ascoltato la messa; i ricchi del tavolo accanto nella trattoria, il cui lauto banchetto, innaffiato dallo spumante, lascia esterrefatti Antonio e Bruno. Attraverso la lunga ‘passeggiata’ romana alla ricerca della bicicletta emerge uno spaccato ricchissimo della vita italiana del dopoguerra, con i suoi drammi e suoi piccoli eroismi, tra i segni del conflitto da poco terminato e i segnali di una rinascita che sta per arrivare. E la vicenda di Antonio è tanto più tragica, quanto più il personaggio sembra essere incapace di far parte di quel ‘miracolo italiano’ che sta per avere luogo. Il film fu salutato con particolare entusiasmo da André Bazin: agli occhi del padre spirituale della Nouvelle vague Ladri di biciclette rappresenta un modello di cinema ‘senza cinema’, capace di far passare la realtà sullo schermo senza mediazioni: “Ladri di biciclette è uno dei primi esempi di cinema puro. Niente più attori, niente più storia, niente più messa in scena, cioè finalmente, nell’illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema”. Certo Ladri di biciclette, nel contesto del cinema iperstilizzato degli anni Trenta-Quaranta, presenta inediti elementi di realismo: inoltre, sul piano della costruzione drammaturgica il film obbedisce alla teoria zavattiniana del ‘pedinamento’, per cui la macchina da presa segue i personaggi come in tempo reale (l’ultima mezz’ora del film è quasi completamente priva di salti temporali). Lo stesso soggetto è di una banalità disarmante, apparentemente materia insufficiente a un film; la grandezza di De Sica e Zavattini è proprio qui, nella loro capacità di conquistare lo spettatore con una vicenda minimale. Ma a ben guardare, Ladri di biciclette non è affatto ‘film senza film’: se lo spettatore ne viene conquistato è perché dietro c’è un lavoro sapiente di scrittura, una scrittura che ‒ come sempre in ogni forma di arte realista ‒ punta a negare la propria presenza, a travestire l’artificio stilistico da ‘realtà’. Dunque l’opera di De Sica, momento nodale dell’esperienza neorealista, è anche un film che preannuncia una svolta. Alcuni personaggi secondari del film (la santona, gli amici di Baiocco) anticipano quell’ibrido tra farsa e tragedia, tra riso e denuncia sociale, che rappresenterà il tratto distintivo della futura commedia all’italiana. (Giaime Alonge – Enciclopedia del cinema Treccani)

“Ladri di biciclette” non è solo un film, è un vero e proprio viaggio nella Roma postbellica. Nel film si ritrovano infatti due linee di racconto sovrapposte ma ben separate: quella della narrazione pura, ossia la vicenda di Antonio e di suo figlio, e quella documentaria suscitata dal contesto scenico in cui il film è ambientato. Questa commistione fa di “Ladri di biciclette” una delle pellicole più importanti della stagione del neorealismo italiano. Con “Ladri di biciclette”, che arriva nelle sale in un momento in cui il movimento neorealista non sembra riscuotere più il favore del pubblico, De Sica si trova all’incrocio tra la prospettiva di una carriera all’insegna del dramma sociale e le aspirazioni individuali di un Autore dallo spirito umanitario come lui era. Il pessimismo tipico dei registi neorealisti, spesso solo maschera per nascondere la pochezza delle loro idee, gli sta stretto, e De Sica si dimostra capace di riempire con le risate e le lacrime che i suoi film suscitano la distanza che separa i sogni degli italiani dalla difficile realtà. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Bartolini, “Ladri di biciclette” fu un progetto al quale De Sica credette molto ma che non fu di semplice realizzazione. Semplicemente non riusciva a trovare i soldi per girarlo, nonostante il soggetto si prestasse al meglio per la sua tipica ricerca del drammatico all’interno del quotidiano. E infatti, De Sica seppe realizzare una pietra miliare della cinematografia italiana di tutti i tempi, una pellicola che venne però accolta malissimo dal pubblico. Ma mentre alla prima romana gli spettatori protestavano e chiedevano indietro i soldi del biglietto, la critica tesseva inedite lodi al film e gli intellettuali di tutta Europa lo celebravano già come capolavoro.( Alberto Cassani)