Euronote – Aggiornare i sistemi di protezione sociale

La crisi pandemica ha evidenziato le gravi lacune di regimi non accessibili a tutti

Milano, 12.4.2021

«I sistemi di welfare in Europa sono rimasti indietro rispetto al ritmo del cambiamento dell’economia e la crisi del Covid-19 ha messo a nudo gli enormi divari che si sono creati». Così la Confederazione europea dei sindacati (Ces) commenta uno studio sulla protezione sociale durante la pandemia pubblicato dall’Istituto sindacale europeo (Ise). Ogni Stato membro dell’Ue è stato costretto dall’emergenza Covid ad attuare riforme di emergenza dei propri sistemi di protezione sociale, nota il Rapporto, secondo cui 24 Stati membri su 27 hanno aumentato il valore, la durata o le condizioni di ammissibilità delle indennità di disoccupazione o del sostegno al reddito, mentre 20 hanno anche modificato le condizioni relative all’indennità per malattia e al congedo parentale, riducendo il più delle volte i tempi di attesa per l’accesso ai benefici. Ma, sottolinea lo studio, «questa improvvisa crisi sanitaria ha evidenziato gravi lacune nei sistemi di protezione sociale». Infatti, nonostante le riforme realizzate durante la crisi siano state positive, si è trattato perlopiù di misure temporanee e alcune sono già terminate. Inoltre, osserva l’Ise, la tendenza è stata di beneficiare i lavoratori che avevano già accesso al sistema di protezione sociale, lasciando senza sostegno gran parte dei lavoratori non standard e autonomi, nonostante la raccomandazione del Consiglio europeo (del 2019) secondo cui i sistemi di protezione sociale devono estendere la copertura ai lavoratori atipici e autonomi, che ora costituiscono circa il 40% della forza lavoro europea.

«Le persone più povere e svantaggiate della società stanno cadendo a causa delle lacune della rete di sicurezza sociale, in particolare le donne, le persone appartenenti a minoranze etniche e i giovani» ha dichiarato la segretaria confederale della Ces, Liina Carr, secondo la quale le misure di emergenza hanno invece dimostrato che il cambiamento è possibile: «I governi hanno migliorato la protezione sociale durante la pandemia e ora possono rendere tali modifiche permanenti ed estese a tutti i lavoratori, compresi i lavoratori non standard e i lavoratori autonomi». La Ces ritiene infatti che le positive riforme attuate in emergenza dovrebbero portare a riforme permanenti e più approfondite, così da offrire a tutti i lavoratori una protezione sociale dignitosa.

Introdotte misure solo temporanee

Dalla mappatura delle misure relative a sussidi di disoccupazione, indennità di malattia e congedi speciali introdotti dagli Stati membri dell’Ue durante la pandemia, con focus specifico sui lavoratori atipici e autonomi, lo studio ha evidenziato due risultati chiave.

Innanzitutto, l’accesso formale ai regimi di protezione sociale è rimasto sostanzialmente lo stesso per i vari status dei lavoratori non standard e autonomi. La riduzione del periodo di qualificazione introdotta ha avuto qualche effetto positivo sull’accesso dei lavoratori temporanei e part-time, che generalmente hanno difficoltà a soddisfare le condizioni di ammissibilità. I regimi di indennità di disoccupazione sono rimasti invece benefici inaccessibili per alcune categorie di lavoratori atipici e autonomi e non sono stati rilevati cambiamenti significativi nelle regole di accesso. Per rimediare alla perdita di entrate delle categorie senza accesso ai sussidi di disoccupazione, spiega lo studio dell’Ise, i Paesi europei hanno proposto vari benefici temporanei, una tantum e forfettari, al fine di limitare i danni. Le indennità di malattia hanno costituito invece la misura più diffusa nei regimi di protezione sociale durante la pandemia. In generale, scrivono gli autori del Rapporto, «i vantaggi nei casi di malattia sono meno esclusivi dei regimi di disoccupazione; in molti casi, pertanto, i lavoratori non standard e i lavoratori autonomi hanno accesso formale a questi benefici». Tuttavia, a volte queste categorie di lavoratori non soddisfano le condizioni d’idoneità (periodi di occupazione e contribuzione) risultando escluse dall’accesso, anche in pandemia. Leggermente diversa la situazione del congedo parentale, per il quale la mappatura ha mostrato un diffuso approccio a creare nuovi accordi ad hoc durante la pandemia. Venti Stati membri hanno così fornito supporto genitoriale quando nessuno dei genitori occupati poteva fornire assistenza all’infanzia. Quasi due terzi degli Stati membri hanno incluso i lavoratori autonomi negli accordi di congedo e, nella maggior parte dei casi, concesso lo stesso tasso di retribuzione dei dipendenti. Qualche esempio è stato rilevato anche per categorie di lavoratori non standard. In generale lo studio non ha però registrato alcuna misura permanente che garantisca l’effettivo accesso ai benefici per i lavoratori che hanno problemi nell’accedervi.

Colmare le carenze dopo la pandemia

La seconda scoperta chiave dello studio riguarda le «gravi lacune nei sistemi di protezione sociale» emerse durante la crisi pandemica: «Il fatto che gli Stati membri abbiano dovuto affrontare con urgenza le condizioni di ammissibilità e creare nuovi sistemi dimostra che migliaia di persone sarebbero altrimenti rimaste senza alcun sostegno al reddito». La crisi, sottolinea l’Ise, «ha reso visibili e rafforzato le disuguaglianze di accesso alla protezione sociale nei mercati del lavoro». Ad esempio i lavoratori autonomi, maggiormente a rischio se la recessione si protrae perché hanno accesso limitato ai regimi di protezione sociale. Soprattutto i “lavoratori autonomi dipendenti”, molti dei quali non hanno scelto di essere autonomi e quindi la più scarsa copertura di protezione sociale inerente al lavoro autonomo.

In questa fase di crisi, conclude lo studio dell’Ise, gli Stati membri hanno affrontato le esigenze di alcune specifiche categorie di lavoratori atipici e autonomi solo mediante l’attuazione di regimi di sostegno ad hoc, mantenendo inalterato l’accesso agli schemi per la disoccupazione: «Sarà interessante osservare se questa crisi, insieme ai progressi nella valutazione della raccomandazione del Consiglio, stimolerà il dibattito politico sulla possibile inclusione di alcune categorie di lavoratori atipici e lavoratori autonomi nei regimi di indennità di disoccupazione». È quindi necessaria una riflessione più ampia sulle implicazioni sociali della crisi per alcune condizioni lavorative, nonché per i sistemi di protezione sociale, al fine di colmare le lacune all’indomani della pandemia.