Milano, 24.1.2017
Forti critiche all’accordo di libero scambio Ue-Canada
Mobilitazione contro il Ceta in vista del voto di febbraio al Parlamento europeo
Gli accordi commerciali transatlantici di libero scambio negoziati dall’Ue continuano a suscitare forti discussioni e contrapposizioni. Così, mentre la commissaria europea per il Commercio, Cecilia Malmström, e il rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, Michael Froman, presentavano lo scorso 17 gennaio una Relazione congiunta Ue-Usa sui progressi compiuti nei negoziati per il partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip), la Campagna internazionale Stop Ttip rilanciava la giornata europea di mobilitazione decentrata del 21 gennaio “Stop Ceta”, contro il trattato di libero scambio Ue-Canada. Se infatti il Ttip è oggetto di una difficile negoziazione ormai da tre anni e i rapporti che si andranno a creare tra l’Ue e la nuova amministrazione statunitense non fanno pensare a un accordo imminente, il Ceta è invece stato siglato da Ue e Canada il 30 ottobre 2016 ed è prevista la sua ratifica da parte dell’Europarlamento il prossimo 14 febbraio. Per entrare completamente in vigore dovrà ancora essere approvato anche da tutti i Parlamenti nazionali degli Stati membri dell’Ue, ma certo si tratta di un iter in fase molto avanzata.
Così, «per aumentare la pressione sugli europarlamentari in vista della ratifica», è in corso da mesi una mobilitazione che intende fermare l’accordo «dannoso per i diritti e per l’ambiente», da cui deriverebbe una deregolamentazione che «aumenterebbe le soglie di tolleranza su Ogm, pesticidi e sostanze nocive, faciliterebbe le privatizzazioni e la compressione dei diritti del lavoro», sostengono i promotori della Campagna. Secondo gli aderenti a Stop Ttip e Stop Ceta, i due trattati «disegnano una prospettiva di sviluppo che rischia di impattare negativamente sulla filiera agroalimentare, sulla tutela ambientale e persino sulle prerogative degli organismi democraticamente eletti, attraverso l’istituzione di un sistema per la risoluzione delle controversie potenzialmente lesivo delle prerogative costituzionali. Il tutto senza offrire garanzie esigibili per le condizioni e i diritti dei lavoratori», come ricordato dai sindacati europei e canadesi e come sottolineato in dicembre dalla commissione europarlamentare Occupazione e Affari sociali.
Sindacati europei: «Il Ceta così non va»
Anche la Confederazione europea dei Sindacati (Ces) ha chiesto all’Europarlamento di respingere il Ceta. In una dichiarazione adottata il 15 dicembre 2016 dal comitato esecutivo della Ces, i sindacati europei hanno rilevato «alcuni miglioramenti» dettati dal fatto che i nuovi impegni per la tutela su servizi pubblici, i diritti del lavoro e l’ambiente sono racchiusi in una dichiarazione interpretativa allegata al testo dell’accordo. Tuttavia, osserva la Ces, «mancano rassicurazioni vincolanti sulla tutela dei servizi pubblici e l’implementabilità di misure a sostegno dei diritti del lavoro». Secondo i sindacati europei, inoltre, la corte internazionale che dovrebbe dirimere le controversie tra investitori e Stati (Ics), privilegia ancora le grandi multinazionali e può essere utilizzata come strumento di intimidazione delle istituzioni democratiche. «Per questo – ha dichiarato il comitato esecutivo della Ces – in linea con il parere adottato dalla commissione Occupazione e Affari sociali l’8 dicembre 2016, raccomandiamo al Parlamento europeo di rinunciare a dare il suo consenso alla proposta di una decisione del Consiglio sulla conclusione del Ceta finché queste criticità non saranno sanate».
Pareri negativi dalle commissioni europarlamentari
Come ricordato dalla Ces, qualche settimana prima (l’8 dicembre 2016) era stata la commissione Occupazione e Affari sociali del Parlamento europeo (Empl) a chiedere di rigettare l’accordo. La commissione europarlamentare ha così motivato tale richiesta: «Per quanto concerne la creazione di posti di lavoro dignitosi, i dati empirici basati su modelli reali indicano, nella migliore delle ipotesi, aumenti complessivi marginali per l’occupazione dell’Ue non superiori allo 0,018% in un periodo di attuazione da 6 a 10 anni. Inoltre, studi recenti sulla base di tali modelli hanno previsto perdite effettive di 204.000 posti di lavoro per l’Ue nel suo complesso, tra cui 45.000 in Francia, 42.000 in Italia e 19.000 in Germania. Oltre a ciò, la valutazione d’impatto sulla sostenibilità condotta nel 2011 mostra turbamenti settoriali significativi, che potrebbero portare, in ultima analisi, a un aumento della disoccupazione a lungo termine». In materia di retribuzioni poi, ha osservato ancora la commissione, «l’accordo contribuirebbe ad approfondire il divario retributivo esistente tra lavoratori qualificati e non qualificati, aumentando in tal modo le disparità e le tensioni sociali». Il Ceta non prevede nemmeno un capitolo contenente misure volte specificatamente a sostenere le piccole e medie imprese (Pmi), ha rilevato la commissione europarlamentare, ricordando come attualmente dei 20,9 milioni di Pmi esistenti nell’Ue (il 93% delle quali con meno di 10 dipendenti), solo 619.000 esportano al di fuori dell’Unione: «Nel contesto liberalizzato creato dal Ceta, tali Pmi saranno completamente esposte alla forte concorrenza delle imprese transnazionali nordamericane, il che metterà a rischio i 90 milioni di posti di lavoro che esse forniscono (il 67% dell’occupazione totale)». Infine, nonostante il Ceta contenga un capitolo sul commercio e il lavoro, la commissione Empl ha rilevato come vi sia «una chiara disparità tra i livelli di protezione previsti per gli investitori e per gli interessi e i diritti dei lavoratori. Lo status privilegiato accordato agli investitori tramite il sistema giudiziario per la protezione degli investimenti (Ics) si contrappone al meccanismo di consultazione previsto per la protezione degli interessi e dei diritti dei lavoratori».
Anche la commissione europarlamentare Ambiente, Sanità pubblica e Sicurezza alimentare (ENVI) ha adottato recentemente, il 12 gennaio scorso, un documento molto critico sul Ceta, segnalando con preoccupazione che il Canada ha già fatto causa all’Ue, in ambito Wto, per le leggi sugli Ogm, il divieto di somministrazione di ormoni ai bovini, i prodotti ricavati dalla caccia alle foche e perfino sull’amianto, mentre ha sempre avversato il regolamento europeo Reach sulle sostanze chimiche e la normativa sui pesticidi.