Euronote – I rischi degli accordi di libero scambio

 
Milano, 6.6.2016
 
 
 
 
 
 
 
 
I rischi degli accordi di libero scambio
Forti preoccupazioni per CETA e TTIP, gli accordi transatlantici dell’Ue
 
In occasione dell’European Business Summit, svoltosi a Bruxelles nei giorni 1 e 2 giugno scorsi, la Campagna Stop TTIP Italia ha chiesto agli europarlamentari partecipanti di farsi promotori delle preoccupazioni sollevate dalla società civile in merito all’accordo sul commercio e gli investimenti tra Ue e Canada (Comprehensive Economic and Trade Agreement – CETA), di cui è prevista la ratifica nell’autunno prossimo. Il CETA è un trattato di libero scambio tra Canada e Unione europea che prevede la soppressione di oltre il 90% delle barriere tariffarie e, secondo la Campagna, «è il naturale preludio al TTIP», cioè il Transatlantic Trade and Investment Partnership tra Ue e Usa lanciato nel 2013 e ancora in negoziazione, oggetto di forti critiche da parte della società civile e su cui lo stesso Europarlamento ha espresso molte preoccupazioni. In pratica, il CETA tratta gli stessi punti controversi del TTIP che, secondo la Campagna Stop TTIP, «rappresentano concrete minacce per la sicurezza alimentare, l’architettura democratica dell’Ue e dei suoi Stati membri, i servizi pubblici, la qualità dell’ambiente e gli impegni climatici». Contiene cioè disposizioni che possono incidere direttamente sugli standard e i diritti dei cittadini europei ma, a differenza del TTIP che è ancora in fase negoziale, il CETA è ormai in dirittura d’arrivo.
 
Accordi che minacciano sicurezza e qualità
 
Secondo le ampie e diffuse critiche, questi accordi cosiddetti “di nuova generazione” ufficialmente giustificati dalla necessità di facilitare gli scambi commerciali e la crescita economica, in realtà mirano ad altro, come sostengono i promotori della Campagna: «Obiettivo principale non saranno tanto le barriere tariffarie, già abbastanza basse, ma quelle non tariffarie, che riguardano gli standard di sicurezza e di qualità di aspetti sostanziali della vita di tutti i cittadini: l’alimentazione, l’istruzione e la cultura, i servizi sanitari, i servizi sociali, le tutele e la sicurezza sul lavoro. Con l’alibi di un’omogeneizzazione delle normative e la falsa illusione di risollevare l’economia dell’Europa, si assisterà ad una progressiva corsa verso il basso in cui saranno i cittadini e l’ambiente a farne principalmente le spese in un processo che porterà alla progressiva mercificazione di servizi pubblici e di beni comuni».
 
Segretezza ed eccessiva tutela del profitto
 
Uno dei principali problemi legati a questi negoziati è la loro segretezza, che ha provocato la mobilitazione e la protesta internazionale e portato oltre tre milioni di cittadini a firmare una petizione. Azioni che hanno ottenuto qualche risultato, con la pubblicazione di documenti in un’apposita sezione del sito web della Commissione europea e, più di recente, l’apertura in Italia di una sala presso il ministero dello Sviluppo economico in cui sarà possibile visionare i documenti del TTIP: consultazione però limitata solo a parlamentari e funzionari governativi, che potranno leggere ma non divulgare i testi dei documenti riservati.
Altra questione al centro delle critiche è l’eccessiva tutela dell’investitore e della proprietà privata, con la costituzione di un organismo di risoluzione delle controversie a cui le aziende potranno appellarsi per rivalersi su governi colpevoli, a loro dire, di aver ostacolato la loro corsa al profitto. «Qualsiasi regolamentazione pubblica che tuteli i diritti sociali, economici ed ambientali, con la scusa della tutela della competizione e degli investimenti, rischierà di soccombere dinanzi alle esigenze delle aziende e dei mercati, tutelate da sentenze che saranno a tutti gli effetti inappellabili» denuncia la Campagna Stop TTIP.
 
Conseguenze negative sui posti di lavoro
 
Anche per quanto concerne la creazione di posti di lavoro, poi, i risultati di questi negoziati non sono affatto certi. Secondo un Rapporto di recente pubblicazione commissionato dal Parlamento europeo, infatti, il trattato transatlantico «porterà ad una sostanziale riallocazione di posti di lavoro», con un impatto negativo nel breve termine e un ipotetico impatto positivo sul lungo termine, ancora però da definire e contabilizzare. Il Rapporto evidenzia come l’ipotesi di impatti positivi nel lungo termine contrasti con gli effetti che le liberalizzazioni dei mercati hanno spesso causato sui sistemi economici e occupazionali: collasso di interi settori ed espansione di altri che però non sono in grado di riassorbire le persone espulse dal mercato del lavoro. Le conseguenze del TTIP sui mercati del lavoro saranno diverse nei vari Paesi dell’Ue, osserva il Rapporto, secondo cui l’Italia potrebbe subire effetti pesanti e potrebbe essere seconda solo alla Germania per la perdita di posti di lavoro (quasi 300.000), con guadagni di reddito procapite che non supereranno lo 0,5%.
Per affrontare le ripercussioni negative del TTIP lo studio ritiene che potrebbero essere necessari «programmi speciali di assistenza per gli aggiustamenti legati al commercio». Insomma, osserva la Campagna Stop TTIP, «il combinato disposto degli effetti negativi del TTIP con i piani di austerità e di taglio dei costi sociali potrebbe far diventare il trattato transatlantico ancor più indigeribile di quanto già non sia».
 
Ces: negoziati sulla strada sbagliata
 
«I negoziati per il TTIP sono sulla strada sbagliata» sostiene la Confederazione europea dei sindacati (Ces), secondo cui sia il CETA che il TTIP dovrebbero «favorire l’occupazione, il rispetto del processo decisionale democratico, l’interesse pubblico e l’identità culturale, la protezione dei servizi pubblici e l’ambiente, e comprendere i diritti dei lavoratori in base alle Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro».
Questi accordi, prosegue la Ces, devono altresì essere oggetto di negoziati democratici e trasparenti, «in mancanza dei quali la Confederazione europea dei sindacati inviterà i politici progressisti a respingere il Trattato a titolo definitivo, insieme a qualsiasi altra misura o disposizione dall’Europa che non riconosca la priorità agli interessi sociali».