Euronote – Mediterraneo: un cimitero dimenticato

L’Oim documenta la strage delle migrazioni, chiedendo interventi a Ue e governi

Milano, 7.9.2021

Nell’ultimo anno e mezzo la pandemia da Covid-19 ha focalizzato tutta l’attenzione e concentrato tutti gli interventi, prima con misure per limitare i contagi e poi con contromisure per limitare i danni economici e sociali causati dalle prime. La maggior parte delle attività umane ha subito forti rallentamenti e blocchi, ma alcune sono inevitabilmente proseguite perché spinte da una disperazione più forte della paura del virus. È il caso delle migrazioni, con tutti i rischi connessi ai viaggi affrontati nel tentativo di raggiungere il territorio dell’Unione europea. L’emergenza Covid, oltretutto, ha causato una forte riduzione del monitoraggio, della raccolta dati e degli interventi di soccorso nel Mediterraneo, rendendo se possibile ancor più precaria e pericolosa la pratica migratoria verso l’Europa. Se da un lato sono indubbiamente diminuiti i viaggi migratori rispetto ai numeri record del 2015 e 2016, quando furono rilevati oltre 2,3 milioni di attraversamenti illegali delle frontiere, dall’altro sono aumentati i rischi secondo quanto emerge da un Rapporto pubblicato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim-Iom ). Nei primi 6 mesi del 2021, infatti, mentre il numero di persone che hanno tentato di raggiungere l’Europa è aumentato del 58% rispetto allo stesso periodo del 2020, coloro che durante questo tentativo hanno perso la vita sono stati almeno 1.146, cioè più del doppio delle 513 vittime dell’anno precedente.

La maggior parte delle vittime delle migrazioni verso l’Europa nei primi 6 mesi del 2021 ha perso la vita attraversando il Mediterraneo, con un aumento del 130% rispetto allo stesso periodo del 2020: l’Oim ha registrato un numero totale di 896 morti per le rotte mediterranee, di cui almeno 741 persone sono morte sulla rotta del Mediterraneo centrale, 149 persone hanno perso la vita attraversando il Mediterraneo occidentale e 6 sono morte lungo la rotta del Mediterraneo orientale, nel tratto di mare che separa la Turchia dalla Grecia. Sempre nei primi 6 mesi del 2021, poi, almeno 250 persone hanno perso la vita nel tratto di Mare Atlantico che separa le coste dell’Africa occidentale dalle Isole Canarie. I dati raccolti dall’Oim mostrano che delle 1.146 persone decedute sulle rotte marittime verso l’Europa nel primo semestre di quest’anno, 409 erano uomini, 104 donne e 50 minori, 139 erano cittadini dell’Africa settentrionale, 120 dell’Africa occidentale e 10 di altre regioni. Per tutte le altre vittime, cioè oltre la metà del totale, non esistono informazioni su sesso, età e nazionalità.

Il Mediterraneo continua così a essere l’area mondiale con il maggior numero di vittime delle migrazioni. Ai decessi dei primi 6 mesi dell’anno, riportati nel Rapporto Migrant deaths on maritime routes to Europe, vanno aggiunte altre 404 morti rilevate dall’Iom nei mesi di luglio e agosto, per un totale di 1.354 persone morte nel Mediterraneo a causa della migrazione verso l’Europa tra gennaio e agosto di quest’anno. Ma, osserva l’Oim, queste potrebbero essere tutte stime per difetto: «Centinaia di casi di naufragi invisibili sono stati segnalati da Ong che si sono messe in contatto diretto con le persone che lanciavano s.o.s. a bordo dei barconi o con le loro famiglie. Questi casi, che sono estremamente difficili da verificare, indicano che il numero di morti può essere molto più alto di quanto si pensi».

Meno soccorsi in mare durante la pandemia

Anche perché, sottolinea l’Organizzazione per le migrazioni, le misure correlate al Covid-19 hanno influenzato gli sforzi di ricerca e soccorso, con nuove restrizioni imposte alle operazioni di navi civili (gestite da Ong) e decisioni che hanno negato o ritardato lo sbarco in porti sicuri: «Nella prima metà del 2021, le operazioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo e sulla rotta atlantica per le Isole Canarie sono state insufficienti per porre fine alla continua perdita di vite umane nelle rotte migratorie marittime verso l’Europa. Organizzazioni civili di ricerca e soccorso hanno continuato a incontrare ostacoli significativi alle loro operazioni, con la maggior parte delle loro barche bloccate nei porti europei a causa di sequestri amministrativi e procedimenti penali e amministrativi in corso contro i membri dell’equipaggio». Al momento non esiste poi un’operazione guidata dall’Ue per la ricerca e il soccorso, mentre ai singoli Stati è stata lasciata la responsabilità di pattugliare le rispettive acque territoriali. Per questo l’Oim ribadisce l’invito agli Stati a prendere misure urgenti e proattive per ridurre le morti lungo le rotte migratorie marittime verso l’Europa e rispettare quelli che sono gli obblighi definiti dal diritto internazionale. «Per raggiungere questo obiettivo – sostiene il direttore generale dell’Oim, António Vitorino – occorre aumentare gli sforzi di ricerca e soccorso in mare (Sar), stabilire meccanismi di sbarco prevedibili e garantire l’accesso a canali migratori legali e sicuri».

Una strage continua, fallimento dell’Ue

Da quando nel 2014 l’Oim ha iniziato con il Missing Migrants Project a documentare morti e sparizioni durante la migrazione, almeno 23.720 persone hanno perso la vita nel Mar Mediterraneo e nel tratto atlantico tra Africa e Isole Canarie nel tentativo di raggiungere il territorio dell’Ue. Sono numeri inaccettabili, una strage infinita con una media di circa 8 morti al giorno, tutti i giorni dell’anno. Un grave fallimento per l’Ue. Almeno 3.165 sono morti dal marzo 2020, cioè da quando è iniziata la pandemia da Covid-19, ma pochi se ne sono accorti in un panorama comunicativo totalmente concentrato su altro. Molto utile, dunque, una raccolta e analisi dei dati come questa dell’Oim, necessaria per sollecitare l’Ue e i suoi Stati membri a predisporre risposte umane e dignitose al fenomeno della migrazione mediterranea verso l’Europa. Infatti, sostiene l’Oim, dati migliori possono aiutare gli Stati ad affrontare con urgenza il loro impegno nell’ambito dell’obiettivo 8 del Global Compact for Migration, per «salvare vite e stabilire sforzi internazionali coordinati in caso di scomparsa di migranti». Possono inoltre aiutare gli Stati a garantire l’obiettivo 10.7 di Sviluppo sostenibile, che invita gli Stati a «facilitare una migrazione ordinata, sicura, regolare e responsabile», in modo che le persone non siano costrette ad affrontare viaggi pericolosi per raggiungere altri Paesi