Euronote novembre 2023 | Molti dubbi sull’accordo Italia-Albania

Un’analisi critica svolta dal Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati (Ecre)

Poche idee, ma confuse e difficilmente realizzabili: potrebbe essere definito in questo modo l’accordo annunciato dai responsabili dei governi italiano e albanese in materia di migrazioni, secondo il parere espresso dai principali osservatori competenti, a livello nazionale ed europeo.

Lo scorso 6 novembre, infatti, Giorgia Meloni e Edi Rama, in rappresentanza dei rispettivi governi di Italia e Albania che presiedono, hanno firmato un protocollo di intesa sul “rafforzamento della collaborazione in materia di migrazione” costituito da 14 articoli. Secondo l’accordo, della durata di 5 anni, rinnovabile, l’Albania consentirà all’Italia di gestire sul suo territorio centri per migranti dove potranno essere trattenuti 3000 migranti al mese, con un flusso complessivo annuale che potrà arrivare fino a 36.000 persone, all’interno di proprietà fornite gratuitamente dall’Albania. Si dovrebbe trattare di persone soccorse in mare dalle agenzie governative italiane, ma non è escluso che possano esservi trattenute anche altre tipologie di migranti trasferiti dall’Italia. Sono previste due aree, in territorio albanese ma sotto la giurisdizione italiana: a Shengjin, per le procedure di sbarco e di identificazione, e a Gjader con un sito che dovrebbe funzionare come un Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr), luoghi dove si prevede l’applicazione delle leggi italiane. Secondo l’accordo, l’Italia fornirà i servizi interni, compresa l’assistenza sanitaria, e sarà responsabile del mantenimento di ordine e sicurezza all’interno, mentre l’Albania dovrà garantire la sicurezza all’esterno dei centri. Le persone da trasferire in Albania potranno entrare nel Paese solo per essere collocate nei centri, se qualcuno uscirà sarà fatto riportare indietro dalle autorità albanesi su mandato italiano.

Dubbi di natura giuridica, legale e operativa

Mentre la Commissione europea non ha ancora espresso un parere sui contenuti dell’accordo e si riserva di pronunciarsi dopo averne analizzato i dettagli, quando saranno messi a disposizione, a livello europeo si è pronunciato invece il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati (Ecre), un’alleanza paneuropea di 117 organizzazioni non governative in 40 Paesi che proteggono e promuovono i diritti dei rifugiati, dei richiedenti asilo e degli sfollati.

L’Ecre osserva che «il testo dell’accordo contiene pochissimi dettagli sullo scopo dei centri proposti e sulle procedure che vi verranno applicate», così come sono al momento «disponibili informazioni limitate sulla portata dell’accordo e su quali categorie di persone ne saranno coperte». Pertanto, premette il Consiglio per i rifugiati, «i commenti possono essere solo preliminari e l’analisi potrebbe cambiare una volta fornite ulteriori informazioni». Sulla base di quanto annunciato dai due governi, però, esistono dubbi di natura giuridica, legale e operativa. Secondo l’Ecre, il fatto che i centri siano previsti in territorio albanese, ma sotto giurisdizione italiana, riporta ad un assetto «simile al “modello australiano” piuttosto che all’accordo Regno Unito-Ruanda», con vari problemi legali potenziali. Intanto non è consentita l’applicazione extraterritoriale del processo di screening e delle procedure di asilo e rimpatrio alle frontiere: «Non è sufficiente che si applichi la giurisdizione. Secondo l’attuale diritto dell’Ue e le attuali versioni delle proposte di riforma, il processo e le procedure si svolgono sul territorio». In secondo luogo, «non sarà possibile il rispetto delle garanzie procedurali richieste al di fuori del territorio dello Stato» sostiene l’Ecre, mentre tale modello «probabilmente viola una serie di diritti» contenuti nella Carta europea dei diritti fondamentali.

Il Protocollo fa poi riferimento alla “permanenza” delle persone nei centri, per cui osserva l’Ecre «si presume che si tratti di un ricorso automatico alla detenzione, che non è lecito». Dalla descrizione infatti, spiega l’organismo europeo, «non vi è alcun dubbio che i centri siano di detenzione e saranno considerati tali dalla giurisprudenza nazionale e dalla Corte di Giustizia dell’Ue. Al di là della necessità di una valutazione individuale, è improbabile che sussistano le altre condizioni per l’uso legittimo della detenzione». Inoltre, «è probabile che le condizioni nei centri siano illegali» aggiunge l’Ecre: «Oltre all’uso della detenzione, le condizioni all’interno potrebbero violare il diritto dell’Ue e quello internazionale. Sorgono questioni relative all’accesso ai diritti, compresi i diritti all’assistenza sanitaria, alla dignità, alla giustizia, a un processo equo, ecc.». E infine, il dirottamento delle operazioni di ricerca e soccorso (Sar) verso l’Albania «costituirà spesso una violazione del diritto internazionale del mare» in merito al luogo sicuro più vicino, mentre «non è chiaro in che modo le persone vulnerabili saranno esentate»: dovranno essere valutate su navi italiane e poi trasferite in Italia prima che il salvataggio sia completato in Albania, cosa che «genera problemi giuridici e pratici».

Unhcr: assicurare il rispetto dei diritti

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur-Unhcr), dal canto suo, comunica di non essere stato informato o consultato sui contenuti dell’accordo e sui suoi dettagli. Tuttavia precisa che la posizione dell’Agenzia Onu «da sempre stabilisce che i rimpatri o i trasferimenti verso Paesi terzi sicuri possono essere considerati appropriati solo se vengono rispettati determinati standard, in particolare se tali Paesi rispettano pienamente i diritti derivanti dalla Convenzione sui rifugiati e gli obblighi in materia di diritti umani, e se l’accordo contribuisce a condividere equamente la responsabilità per i rifugiati tra le nazioni, anziché trasferirla». La responsabilità primaria sulla valutazione delle richieste di asilo e sulla concessione della protezione internazionale, ricorda l’Unhcr, «spetta allo Stato in cui il richiedente asilo arriva, alle frontiere terrestri o marine, e chiede tale protezione». Un obbligo che «rimane inalterato anche in seguito al trasferimento dei richiedenti asilo o alla valutazione delle domande di protezione al di fuori del territorio nazionale».

Riconoscendo «le sfide poste dall’aumento dei flussi migratori misti», l’Unhcr si dice pronto a lavorare con gli Stati «su misure legittime che rispondano più efficacemente al flusso di arrivi, sulla base della condivisione delle responsabilità e in conformità con gli standard internazionali, nello spirito della cooperazione internazionale con adeguate salvaguardie e garanzie per assicurare il rispetto dei diritti».