Euronote – Sentieri di guerra

Ancora nessuna decisa azione diplomatica per fermare il conflitto in Ucraina

Milano, 12.4.2022

Tutti pronosticano quella appena iniziata come la settimana decisiva per la guerra in Ucraina con lo scontro campale nella regione contesa del Donbass, ma nessuno fa qualcosa per evitarlo, anzi. Le due parti direttamente interessate, russa e ucraina, dichiarano entrambe di ritenere necessario confrontarsi militarmente per meglio posizionarsi al successivo tavolo negoziale, situazione assurda se si pensa che già nel settembre 2014 con il Protocollo di Minsk era stato siglato un accordo per porre fine alla guerra dell’Ucraina orientale, mai rispettato però. Alle posizioni intransigenti delle autorità politico-militari dei due Paesi contendenti si aggiunge poi un clima generale che sembra soffiare sul fuoco piuttosto che ricercare soluzioni diplomatiche.

L’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Josep Borrell, ha dichiarato che «l’Ucraina vincerà la guerra sul campo di battaglia», anche grazie a «consegne di armi calibrate secondo le necessità ucraine», annunciando che il fondo di sostegno militare dell’Ue all’Ucraina sale a 1,5 miliardi di euro, inasprendo di fatto ulteriormente gli animi e lo scontro, cioè l’unica cosa di cui non c’è affatto bisogno. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha sottolineato che «l’Unione europea sta inviando armi all’Ucraina» e che «gli Stati membri dell’Ue stanno fornendo equipaggiamento militare su una scala senza precedenti». A margine del Consiglio europeo dei ministri degli Esteri, la ministra tedesca, Annalena Baerbock, ha affermato: «L’Ucraina ha bisogno di altro materiale militare, innanzitutto di armi pesanti». Sul lato diplomatico europeo, invece, è difficile capire il senso (forse simbolico, certamente inutile) della visita a Mosca da parte del cancelliere austriaco Karl Nehammer, primo leader europeo a incontrare Putin dall’inizio della guerra.

Intanto il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha pronosticato che «questa guerra durerà a lungo» e per questo si deve «continuare a fornire all’Ucraina le armi necessarie per continuare a combattere».

In un simile clima politico internazionale, totalmente improntato alla guerra, spicca un’unica voce in controtendenza, quella di Papa Francesco: «Si depongano le armi! Si inizi una tregua pasquale; ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, no!, una tregua per arrivare alla pace, attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente. Infatti, che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?».

Sanzioni europee ed esclusione dal Consiglio per i diritti umani

Nel tentativo di indebolire il regime di Putin, oltre ad avere allo studio una strategia per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili russi, l’Ue ha adottato una quinta serie di misure restrittive, sanzioni che vanno ad aggiungersi a quelle già in vigore e che nelle intenzioni europee dovrebbero aumentare la pressione economica sul Cremlino.

Il pacchetto di nuove misure prevede: il divieto di importare carbone; il divieto di effettuare operazioni con quattro banche russe che detengono circa un quarto del settore bancario nazionale; il blocco delle attività degli operatori russi e bielorussi di trasporto merci su strada che lavorano nell’Ue, con alcune eccezioni per categorie essenziali quali i prodotti agricoli e alimentari, gli aiuti umanitari e l’energia; divieti mirati di esportazione in settori in cui la Russia ha grande dipendenza dalle forniture europee (informatica quantistica, semiconduttori avanzati, macchinari di precisione, trasporti e sostanze chimiche); ampliamento dei divieti di importazione riguardanti cemento, prodotti di gomma, legno, liquori e prodotti ittici di lusso; esclusione della Russia dagli appalti pubblici e dai finanziamenti europei.

Anche l’Onu ha preso posizione contro le autorità russe, con l’adozione da parte dell’Assemblea generale di una risoluzione per la sospensione della Russia dal Consiglio per i diritti umani. Risoluzione approvata da due terzi dei votanti, con 93 Paesi a favore, 24 contrari (tra i quali Russia, Cina, Cuba, Corea del Nord, Iran, Siria, Vietnam) e 58 astenuti (che includevano India, Brasile, Sudafrica, Messico, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Qatar, Kuwait, Iraq, Pakistan). In passato era stata esclusa dal Consiglio la Libia nel 2011, in seguito alla repressione voluta dall’allora presidente Muammar Gheddafi, mentre la votazione si è svolta nell’anniversario del genocidio avvenuto in Ruanda nel 1994.

Il Consiglio per i diritti umani dell’Onu è composto da 47 membri, la Russia è entrata a farne parte nel gennaio 2021 come uno dei 15 Paesi eletti dall’Assemblea generale per un mandato di tre anni. In base alla risoluzione del 2006 che ha istituito il Consiglio, l’Assemblea può sospendere un Paese se commette violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani.

Chiusi a Mosca gli uffici di Amnesty e Hrw

Pochi giorni dopo la sospensione della Russia dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu, le autorità russe hanno ordinato la chiusura a Mosca degli uffici di Amnesty InternationalHuman Rights Watch e di altre 13 organizzazioni e fondazioni straniere non governative. «La chiusura del nostro ufficio è solo l’ultimo provvedimento punitivo preso contro organizzazioni che difendono i diritti umani e dicono come stanno le cose. In uno Stato dove attivisti e dissidenti vengono imprigionati, uccisi o esiliati, dove il giornalismo indipendente è sospeso o costretto all’autocensura e dove i gruppi della società civile sono messi fuorilegge, se il Cremlino cerca di chiuderti vuol dire che stai facendo la cosa giusta» ha dichiarato Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International, aggiungendo: «Le autorità si sbagliano se pensano che, chiudendo il nostro ufficio di Mosca, fermeranno le nostre ricerche e denunce: raddoppieremo i nostri sforzi per denunciare le gravi violazioni dei diritti umani commesse dalla Russia sia in casa che all’estero».

A marzo le autorità russe avevano introdotto leggi che criminalizzano la cronaca di guerra indipendente e le proteste contro la guerra, provvedimenti che sono solo i più recenti di una serie di misure repressive adottate negli ultimi 10 anni per decimare la società civile e che hanno costretto all’esilio centinaia di attivisti, giornalisti, critici e avvocati per i diritti umani.