Il figlio di Saul

Milano, 28.1.2016
 
Durante la Giornata della Memoria il cinema sforna sempre delle opere che ricordano la Shoah. Quest’anno due sono state le opere dedicate al genere: una, rimasta solo tre giorni in programmazione, sul processo ad Adolf Eichmann, responsabile del traffico ferroviario che trasportava gli ebrei nei campi di concentramento, porta la firma di Paul Andrew Williams  e si intitola The Eichmann Show. La seconda è Il figlio di Saul dell’esordiente  regista ungherese László Nemes vincitore del premio della giuria a Cannes. Ci concentriamo su quest’ultimo film che parla di un ebreo reclutato come sonderkommando (gli ebrei che nei campi di concentramento dovevano ripulire le camere a gas dai corpi dei loro fratelli) che un giorno scopre come il corpo di un ragazzo sia quello di suo figlio e vuole dargli una sepoltura dignitosa togliendolo dai forni crematori. Ad Auschwitz nel 1944 i sonderkommando organizzarono una rivolta (raccontata nel film La zona grigia) ma in questo contesto il regista si concentra su una singola vicenda che diventa però significativa dal punto di vista della sacralità della vita e della dignità umana. E su un ruolo, fino a 30 anni fa sconosciuto dal momento che i nazisti li sterminavano alla fine del loro compito per non lasciare prove, che rappresenta il maggior degrado di tale dignità e che Primo Levi, nel suo “I sommersi ed i salvati” definisce come “il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo” perchè era il tentativo di spostare sulle vittime il peso della colpa. Una vicenda angosciante al limite dell’orrore dato il realismo messo in atto nel racconto,  ma nello stesso tempo da non perdere visto che rappresenta  uno dei modi per ricordare un incubo della storia che non bisognerebbe mai dimenticare.