Ladybird Ladybird

Milano, 13.10.2014
 
REGIA: Ken Loach SCENEGGIATURA: Rona Munro FOTOGRAFIA: Barry Ackroyd MONTAGGIO: Jonathan Morris MUSICHE: George Fenton INTERPRETI: Crissy Rock, Vladimir Vega, Sandie Lavelle, Mauricio Venegas, Ray Winstone PRODUZIONE: Parallax Pictures, Channell Four Films DISTRIBUZIONE: Mikado DURATA: 102’
Maggie ha avuto da quattro uomini diversi quattro figli che le sono stati tolti dai Servizi Sociali. Quando incontra Jorge, un rifugiato politico latinoamericano, Maggie intravede una possibilità di essere felice accanto a quest’uomo gentile, che, poco a poco, conquista il suo amore, dimostrandole che è possibile spezzare un circolo vizioso di relazioni violente. Ma agli occhi della burocrazia, Maggie rimane un soggetto inaffidabile e le risulterà difficile liberarsi di questa “condanna” sociale.
 
Film esemplare che mostra l’ambiente proletario con le logiche di sopravvivenza come unica etica ma anche un atto di accusa verso una società che istituendo i servizi sociali dovrebbe difendere i più deboli ma attraverso la burocrazia li fa diventare vittime.
 
CRITICA
 
“Tanto dolore a tratti sembra quasi ricattatorio, come se fossimo di fronte a un docu-dramma pantografato. Ma è una falsa pista. Loach non spiega, non da giustificazioni narrative o sociali o morali, e con il suo stile ellittico e convulso scavalca a pié pari la tv. Com’è scoppiato l’incendio? Dove sono finiti gli altri mariti? Perché Maggie è così? Non avremo la consolazione di saperlo. Suo padre la violentò, si sente dire in una scena, ma è appena una traccia. Tocca allo spettatore risalire, se crede, alle cause. E stabilire dove finiscono i doveri dello Stato e dove cominciano i diritti invalicabili dell’individuo.” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 16 aprile 1994)
“Tutto aspro, tutto gridato, con un racconto – scritto dalla sceneggiatrice esordiente Rona Munro – che sa abilmente evocare il passato incastonandolo nel presente, frammentando la struttura narrativa in modo tale da renderla anche più affannosa e concitata, mentre la regia di Ken Loach riesce a trarre da quella periferia londinese dove l’azione si colloca e da tutti quegli scontri sempre violenti fra i personaggi dei climi aridi e tesi che, in contrasto, arrivano se non ad addolcirsi almeno un po’ a quietarsi quando, in primo piano, si fa avanti quel disperato e contrastato amor materno tenuto in cifre di emozione quasi lacerante: con modi però sempre secchi e risentiti. Un film degno delle prove migliori di Ken Loach, soprattutto in quegli anni Settanta in cui il cinema inglese aveva riconosciuto in lui l’unico legittimo successore degli “arrabbiati.” (Gian Luigi Rondi, ‘Il Tempo’, 18 aprile 1994)
“Senza compiacenze né vittimismi, senza facilità sentimentale, il film non si schiera con la donna né con la burocrazia sua antagonista, ma contro una società che prima produce individui alterati da squilibri, poi ne aggrava la condizione negando loro il diritto alla normalità. La commozione nasce dall’interpretazione di Crissy Rock: sono indimenticabili le sue torpide depressioni e le allegrie alcoliche, il suo amoroso calore materno e l’incancellabile senso di colpa, soprattutto la sua ira di persona che si sente nel giusto ma non riesce a comportarsi in modo da veder riconosciute le sue ragioni, la sua disperazione di se stessa.” (Lietta Tornabuoni, ‘La Stampa’, 23 aprile 1994).
 
Maggie, proletaria londinese, ha avuto quattro figli da quattro uomini diversi. I Servizi sociali glieli tolgono: per la legge è una madre inaffidabile. Incontra finalmente l’uomo giusto (Vega), un gentile esule politico dal Paraguay, e ne ha due bambine. Gliele tolgono. Storia inverosimile? Lo sono spesso le storie vere come questa. Film di violenza insostenibile che ti fruga dentro: c’è la violenza fisica, c’è quella fredda e burocratica della legge e dell’ordine. È violenza anche formale: col suo strepitoso dinamismo stilistico Loach riesce a caricare d’emozione, fin dall’inizio, il racconto. Non fa denunce demagogiche. Costringe lo spettatore a mettersi dalla parte di Maggie senza nascondergli nulla della sua sgradevolezza, e gli pone domande: che cos’è una buona madre? chi ha il diritto di stabilire che cosa è una buona madre? che limiti bisogna imporre alla comunità nei suoi servizi sociali? dove finisce l’amore e dove comincia la responsabilità? Il film sconvolge anche perché fa pensare. Premio della migliore attrice a Berlino 1994 per la cabarettista Rock. (M. Morandini)