Piovono pietre

Milano, 16.6.2014
 
Regia Ken  Loach   Sceneggiatura Jim  Allen  Fotografia Barry  Ackroyd Musiche Stewart  Copeland   Montaggio Jonathan  Morris  Scenografia Martin  Johnson    Costumi Anne  Sinclair Interpreti  Bruce Jones, Julie Brown, Gemma Phoenix, Ricky Tomlinson, Tom Hickey, Mike Fallon, Ronnie Ravey, Lee Brennan, Karen Henthorn, Christine Abbott, Geraldine Ward, William Ash, Matthew Clucas, Anna Jaskolka, Jonathan James, Anthony Bodell, Bob Mullane, Jack Marsden. Produzione  Sally Hibbin per Parallax Pictures (Channel Four) Distribuzione Istituto Luce  Durata  93
 
Bob Williams ha grinta e vive alla giornata. Per integrare l’assegno di disoccupazione si adatta a svolgere qualunque mansione gli viene offerta, dal furto di pecore alla riparazione delle fogne. Qualunque cosa per dare da mangiare alla propria famiglia. Ma ora la sorte gli ha giocato un bruttissimo scherzo. Gli hanno rubato il furgoncino, e fra poco la figlia Coleen deve fare la prima comunione. Ha bisogno del tradizionale abito bianco da sposina, delle scarpe, del velo e dei guanti. Ma dove trovare i soldi?
 
Una drammatica rappresentazione della classe operaia inglese che tratta temi attualissimi come quello dalla condizione dei disoccupati. Il film uscì in un periodo caratterizzato da una grave crisi che vide anche da noi parecchie manifestazioni di piazza. Presentato al 46.o Festival Di Cannes ottenne il premio speciale della giuria.
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LA CRITICA
 
“Per rappresentare i ‘poveri e indifesi’ degli anni Novanta, Loach dà alla sua rabbia la forma di un percorso narrativo austero che cerca di alleggerire ogni tanto con situazioni da commedia. La lotta per la sopravvivenza di Bob si consuma in uno spazio circoscritto e tutte le necessarie tipologie dialettiche sono lasciate programmaticamente fuori campo. Nel cinema la metonimia non è sempre applicabile e quando manca una dimensione metaforica o simbolica, si riduce a una visione parziale o, come in questo caso, a un settarismo ideologico”. (Alberto Castellano, ‘Il Mattino’, 30 ottobre 1993)
 
“Questo film picaresco e allarmante, bizzarro e puntuto è un piccolo capolavoro della commedia neopopulista: di nuovo, rispetto ai classici del veteromarxismo, ha che non teme di sposare la causa di quel tipico eroe sottoproletario e mascalzoncello che ai tempi di Stalin sarebbe finito fra i reprobi in omaggio al mito dell’operaio cosciente. Nè Loach si tira indietro nel riconoscere che spesso il prete (proprio il prete, non la religione) diventa per forza, nelle situazioni di emarginazione, l’unico difensore degli ultimi. In questo senso non credo si sia mai visto sullo schermo un sacerdote come padre Barry che si assume la responsabilità di coprire un omicidio per la pace di tutti. In comune con il neorealismo d’epoca i film di Ken Loach hanno l’ostilità dei governanti e l’antipatia che gli dimostra il pubblico: proprio come accadeva da noi ai tempi di Andreotti sottosegretario e delle campagne dei bempensanti contro i ‘panni sporchi’. Però la presenza di una produzione televisiva d’avanguardia come Channel Four e il radicale abbattimento dei costi rendono possibile la realizzazione di un prodotto che ha valori sufficienti per affermarsi e ripagarsi sui mercati internazionali. Il miracolo sarebbe possibile anche in Viale Mazzini se avessimo Jim Allen, se avessimo Ken Loach e soprattutto se avessimo una direzione televisiva che anzichè gestire vetusti gattopardeschi cambi della guardia trovasse finalmente la volontà, la capacità e il coraggio di entrare nel vivo del discorso culturale riguardante la funzionalità artistica e sociale del cinema”. (Tullio Kezich,”Il Corriere della Sera”, 25 ottobre 1993)
 
Bob Williams, proletario disoccupato di Manchester, si dà da fare con lavoretti saltuari per mantenere la moglie e la figlia. L’imminente prima comunione della bambina mette questa famiglia, molto religiosa, in crisi. Bob vuole che la piccola Coleen non si senta diversa e svantaggiata rispetto agli altri ragazzini, ma il vestito per la cerimonia costa troppo. Come se non bastasse, gli rubano il furgone con il quale si procura lavoretti da manovale. Disperato ma deciso a non deludere la sua famiglia, Bob si mette nei guai, pur di regalare a sua figlia una giornata indimenticabile.
La poetica del cineasta inglese Ken Loach al servizio e al fianco degli ultimi è tutta scritta in questo suo lavoro del 1993, proseguimento ideale della filmografia dedicata al racconto delle condizioni di vita della classe operaia, avviata con Riff Raff e fortunatamente non ancora conclusa. Perché Ken Loach è un regista necessario. Uno dei pochi ad essersi dato la missione del cinema sociale e a perseguirla con un’onestà intellettuale che va al di là dell’arte e investe la vita stessa. Una missione qui pienamente compiuta – anche se non con i vertici di altri suoi film – con il consueto stile realista, che lo spinge ad avvalersi anche di attori non professionisti, provenienti dallo stesso contesto sociale indagato, e a non piegarsi alle logiche dello spettacolo. Il regista inglese non abbellisce, attraverso la macchina da presa, una realtà che deve essere mostrata così com’è. Una realtà che non può essere deformata neppure in funzione dell’ideologia. Non c’è, infatti, populismo demagogico nello sguardo di Loach, né l’adesione a una politica di fazione. Tanto il conservatorismo thatcheriano quanto il progressismo socialista sono presi di mira dall’acre e acuta ironia così cara al regista.

 

Ancora una volta, l’unica parte verso cui Loach si schiera è quella degli umili, di tutti coloro – siano immigrati come in Bread and Roses o membri della working class inglese – che il sistema politico e sociale condanna all’invisibilità, relegandoli in squallidi quartieri-ghetto e limitandosi a passare loro un sussidio che non basta a far fronte alle esigenze economiche quotidiane e soprattutto non può misurare la dignità di un essere umano. Quella dignità che i personaggi di Loach rivendicano con forza, proprio come fa il protagonista di Piovono pietre. I tentativi di Bob e del suo amico Tom, per quanto goffi, fuori misura e spesso mal riusciti, sono quelli di uomini che non si rassegnano all’inutilità. Uomini onesti, che mantengono la loro integrità anche quando spinti a gesti estremi dalla totale mancanza di prospettive. Il regista scruta nelle loro vite con amarezza e disincanto, certo, ma anche con la tenera partecipazione di chi non perde la speranza e non si stanca di rivendicare una necessaria e non utopica giustizia sociale. Tuttavia, l’urgenza e l’afflato drammatico di alcuni film successivi del regista – da Ladybird Ladybird a In questo mondo libero… passando per Bread and Roses – sono qui stemperati e mitigati dalla possibilità di riscatto offerta dalla solidarietà sociale tra ultimi – che in altri film si convertirà in una pessimistica guerra tra poveri – e dal rifugio consolatorio tra le braccia di una religione dal volto profondamente umano. (Annalice Furfari – MyMovies)