Fuga dai lavori di pessima qualità

Nell’Ue cresce la carenza di manodopera, ma non è un problema di competenze

La carenza di manodopera è diventato un problema per i Paesi europei: il tasso di posti di lavoro vacanti ha raggiunto livelli record e oltre un quarto delle imprese dell’Ue segnala problemi di produzione per la difficoltà a trovare lavoratori disponibili. I rappresentanti delle imprese e i responsabili politici dell’Ue attribuiscono questa carenza a due elementi: da un lato la mancanza di competenze necessarie da parte dei lavoratori, che dovrebbe essere affrontata con più istruzione e formazione tecnica così da favorire upskilling e reskilling; dall’altro la scarsa possibilità di accesso a cittadini di Paesi terzi ai mercati del lavoro dell’Ue, cui consegue la necessità di favorire la mobilità per colmare le carenze.

Uno studio pubblicato recentemente dall’Istituto sindacale europeo (Etui) evidenzia però un’altra realtà, secondo cui le attuali carenze di manodopera segnalano soprattutto una crisi di posti di lavoro di bassa qualità. In sintesi, lo studio rileva come l’attuale carenza di manodopera sia peggiorata progressivamente nei settori che forniscono posti di lavoro relativamente peggiori. L’attuale penuria potrebbe rispecchiare in realtà una carenza di persone disposte a svolgere lavori faticosi e mal retribuiti, una riluttanza ad accettare lavori poco dignitosi che la pandemia potrebbe aver esacerbato. L’analisi svolta dall’Etui sposta dunque l’attenzione su una prospettiva diversa nell’attuale approccio alla carenza di manodopera: «Tali carenze riflettono anche il fatto che alcuni lavori hanno condizioni faticose e intense, non pagano abbastanza e sono di qualità troppo bassa per attrarre lavoratori». Migliorare le competenze o aumentare l’immigrazione e la mobilità non costituiscono quindi una soluzione in questi casi, perché non tutte le occupazioni carenti sono altamente qualificate. Anche la qualità dei posti di lavoro deve essere migliorata per attrarre e trattenere i lavoratori. Gli aumenti più rilevanti dei posti vacanti e la ripresa più lenta dalla pandemia si sono verificati infatti nei Paesi e nei settori con posti di lavoro relativamente meno retribuiti e di qualità inferiore.

«I datori di lavoro non riescono a trovare abbastanza lavoratori perché non offrono salari o condizioni di lavoro sufficientemente buoni. Come ha detto il presidente statunitense Joe Biden, la risposta è semplice: pagarli di più» ha dichiarato, commentando lo studio, la segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces), Esther Lynch, secondo la quale «è ora che i politici europei smettano di girare intorno al motivo della nostra carenza di manodopera e mandino un messaggio altrettanto chiaro ai datori di lavoro». L’Unione europea, ha aggiunto la responsabile della Ces, «dovrebbe seguire gli Stati Uniti nel rendere i finanziamenti pubblici per le aziende dipendenti dall’impegno a pagare salari dignitosi, fornire condizioni eque e migliorare le competenze dei lavoratori insieme a un chiaro obbligo in materia di contrattazione collettiva. L’Europa dovrebbe smettere di cercare di competere sulla base di salari e condizioni bassi e dovrebbe invece aumentare la produttività attraverso investimenti in posti di lavoro altamente qualificati, ad alta tecnologia e di alta qualità».

L’influenza della pandemia sui posti di lavoro

Lo studio dell’Etui mostra come i tassi di posti di lavoro vacanti siano aumentati costantemente mentre l’Europa si riprendeva dalla recessione del 2008, periodo in cui è diminuito progressivamente il tasso di disoccupazione nell’Ue. La pandemia ha poi temporaneamente annullato questo miglioramento, ma dalla seconda metà del 2020 in poi i posti vacanti sono nuovamente aumentati nella maggior parte dei settori. Secondo l’analisi, la pandemia «ha probabilmente esacerbato la carenza di manodopera in almeno tre modi». Intanto perché nella fase post-pandemica la domanda di manodopera nella produzione è aumentata molto rapidamente. In secondo luogo, per frenare la pandemia molti governi hanno chiuso le frontiere o scoraggiato la mobilità, mentre molte persone sono tornate nei loro Paesi d’origine. Inoltre, osserva l’Etui, «la pandemia sembra anche aver portato a uno spostamento fondamentale delle preferenze, con una ridotta tolleranza per lavori di bassa qualità o precari». Infatti, i settori che hanno avuto il maggior aumento di posti di lavoro vacanti dopo la pandemia avevano impiegato precedentemente quote più elevate di lavoratori vulnerabili, scarsamente qualificati, giovani e lavoratori stranieri. «In seguito, avendo più scelta, questi lavoratori potrebbero aver trovato posizioni migliori» commentano gli autori dello studio.

Necessario migliorare la vita lavorativa

La carenza di competenze non è l’unico problema, sottolinea l’Etui. Una recente analisi sulle tendenze delle carenze e della disoccupazione, infatti, ha mostrato che la maggiore crescita dei posti vacanti dopo la pandemia non è dovuta a una carenza di competenze. Naturalmente le competenze sono importanti, ma poiché quelle richieste cambiano rapidamente «c’è bisogno di formazione e istruzione lungo tutto l’arco della vita, sostenuta anche dai datori di lavoro e dalle imprese» afferma l’Istituto. Che però sottolinea come quella attuale non sia una crisi delle competenze generali, poiché le carenze di manodopera sono più elevate nei settori e nei profili poco qualificati, mentre il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale stima che il 39% dei dipendenti adulti dell’Ue è sovraqualificato. Quindi, sostiene l’Etui, «l’attuale attenzione alla mancanza di competenze all’interno dell’Ue, e la conseguente soluzione politica di consentire una maggiore mobilità o la migrazione da Paesi terzi per colmare le carenze, è miope e può danneggiare la qualità del lavoro. I migranti e persino i cittadini mobili dell’Ue sono spesso troppo qualificati e sottopagati e rischierebbero di esercitare una pressione al ribasso sulla qualità del lavoro e sui salari». La carenza di manodopera, invece, è chiaramente aumentata di più tra i lavori con retribuzione relativamente inferiore e maggior precarietà. Di conseguenza, conclude lo studio dell’Istituto sindacale, «in questa crisi bisogna sostenere sia le imprese che i lavoratori, ma è importante che si colga anche l’occasione per migliorare la vita lavorativa delle persone, non per mantenerle in pessime condizioni e retribuzioni basse. È fondamentale garantire che tutti i posti di lavoro offrano condizioni sufficientemente buone affinché i lavoratori possano vivere una vita dignitosa, il che a sua volta attirerà più lavoratori».