I classici del cinema – Aleksandr Nevskij

Un film di Sergej Michajlovič

Milano, 25.11.2020

Regia: Sergej Michajlovič Ėjzenštejn e Dmitrij Vasilyev – Aiuto-registi: Boris Ivanov, Nikolaj Maslov Soggetto: Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Pëtr Pavlenko Sceneggiatura: Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Pëtr Pavlenko Fotografia: Ėduard Tissė Aiuto operatore: Sergej Uralov Montaggio: Esfir Tobak Musiche: Sergej Sergeevič Prokof’ev Testi delle canzoni: Vladimir Lugoskij Scenografia: Isaak Špinel Costumi: Konstantin Eliseev Interpreti: Nikolaj Cherkasov, Nikolaj Oklopkov, Andrei Abrikosov, Dmitri Orlov, Vasili Novikov, Nikolaj Arskij, Varvara Massalitinova, Vera Ivashova, Aleksandra Danilova, Vladimir Ersov, Sergej Blinnikov, N. Aparin, Lev Fenin, A. Gul’kovskij, L. Judov, Ivan Klyukvin, Ivan Lagutin, Ljan-Kun, P. Paskov, Naum Rogozin, N. Vitovtov Casa di produzione: Mosfil’m Durata: 111 min.

Le gesta del principe Nevskij si svolgono intorno al 1240, durante il cosiddetto periodo di dispersione allorché, caduta Kiev, la Russia subisce ripetuti attacchi dai mongoli e conseguentemente si smembra. Intanto, sul fronte occidentale, preme un’altra minaccia: l’espansione germanica. Ad appoggiare la spinta tedesca e a tutelare la sua minoranza si stabilisce in Livonia l’Ordine dei Portaspada, cavalieri cattolici di nobile lignaggio, ex crociati, legati dal giuramento di fedeltà al papa di Roma e nemici irriducibili dei pagani slavi. Lituania, Polonia e Russia sono il loro territorio di caccia e di crimini spaventosi. Si congiungono poi con il potente Ordine Teutonico dei Cavalieri della Croce, che esercita la propria autorità dalla Prussia a S. Giovanni d’Acri: la più grande forza militare d’Europa.
Quando i Teutoni puntano su Novgorod, le città minacciate si rivolgono all’uomo considerato il maggior guerriero di Russia: il principe Aleksandr, detto Nevskij, del Granducato di Suzdalia. Questi, che era dedito ad opere di pace con i pescatori e i cacciatori degli innumerevoli laghi della regione, raccoglie attorno a sé un’armata molto composita, di cavalieri e contadini, e la guida verso le frontiere occidentali, salvando Novgorod dal saccheggio. Sul lago dei Ciudi dà prova della sua sapienza strategica sbaragliando d’astuzia le possenti armate dei Teutoni nella storica battaglia del lago ghiacciato

Ricostruzione storica e di propaganda antinazista in chiave epica rappresenta il ritorno di Ėjzenštejn alla regia cinematografica, dopo quasi dieci anni di lontananza dopo essere stato esonerato con la liquidazione della avanguardia. Accetta quindi di allinearsi alla restaurazione del “realismo socialista” girando un film che fa riferimento al culto della personalità di Stalin. Ma non perde la capacità di uno sguardo incantato che si trasfigura nei primi piani dei personaggi, nella natura della madre Russia ed in un montaggio ritmico che alterna momenti di lirismo a scene di battaglia.

LA CRITICA

Il Nevskij, l’opera di Eisenstein che più forse ha destato disparità tra i critici al tempo della sua realizzazione oggi tende a diventare invece quella su cui più unanime è il giudizio positivo, tanto dei “contenutisti” quanto dei formalisti, è indubbiamente un’opera fondamentale nello sviluppo dell’arte cinematografica (Paolo Gobetti – Cinema Nuovo. 1958)


“ Aleksandr Nevskij, girato nel 1938, dopo il ritorno di Ejzenštejn dal Messico e dopo Il prato di Bezin ” scrive ŠkIovskij, “ venne considerato da molti come un compromesso. Meravigliò il carattere storico del tema, e venne rimproverato al film di tendere all’opera. La vita dell’uomo si fissa nelle matrici dell’arte, il passato continua a esistere come un dato storico che può innestarsi nella nuova tappa della vita. ” Di fatto, il film era un compromesso e aveva un carattere epico-lirico che lo apparentava alla grande opera russa. In una Russia aperta alle invasioni mongole e alle incursioni dei Cavalieri teutonici, le città di Novgorod e di Pskov sono riuscite a mantenere una relativa indipendenza grazie ai loro ordinamenti interni e a un cauto equilibrio nella composizione dei ceti sociali. Il film (3000 metri, circa due ore di proiezione) si apre con la visione di scheletri e teschi, presenza e simbolo della morte sempre incombente. Sulle rive di un lago i pescatori sono intenti al lavoro. Il principe Aleksandr Nevskij riceve, nella sua residenza di Perejaslav, una missione mongola. Lo invitano a unirsi a loro, ma Nevskij rifiuta. Intanto, a Novgorod le campane chiamano a raccolta il popolo. Si annuncia che la vicina Pskov è caduta nelle mani dei Cavalieri teutonici che stanno avanzando verso oriente. Che fare? I boiari e i mercanti non vogliono la guerra, preferiscono pagare un tributo all’Ordine Teutonico, così come già lo pagano ai mongoli. I piccoli commercianti e gli artigiani intendono resistere: per loro la presenza tedesca significa la perdita della libertà, forse della vita. Il fabbro Ignat è fra i più convinti sostenitori della lotta. Altri due – i cavalieri Vaška Buslaij e Gavrilo Oleksic – levano la loro voce contro i tedeschi.
A Pskov, i Cavalieri hanno dato tutto alle fiamme. Schierato intorno a von Balk, il Gran Maestro dell’Ordine, l’esercito teutonico è un blocco di ferro (elmi, armature, corazze) e di mantelli bianchi con la croce. Un vescovo sta celebrando la Messa e incita gli abitanti a sottomettersi a Roma. Un monaco nero benedice due bambini prima che i Cavalieri li gettino tra le fiamme.
A Perejaslav, Nevskij riceve la delegazione di Novgorod. Va in città e riunisce l’assemblea popolare. Incita tutti a unirsi. Sa che, se i mercanti e i ricchi non lo appoggeranno, gli altri e soprattutto i contadini non esiteranno ad accorrere al suo appello. Così è, infatti. Contadini e pescatori, tutti coloro che abbiamo visto all’inizio intenti in opere di pace, si presentano al principe. Ignat prepara le casacche di maglia di ferro che i guerrieri indosseranno, Gavrilo e Vaška trascurano la loro contesa d’amore per gli occhi della bella Olga e si preparano al combattimento (nella loro vicenda non mancano gli spunti comici: sono gli eroi di una fiaba che si svolge su due livelli, quello alto e nobile del principe e quello popolare, dove ogni infrazione del codice epico è lecita).
In due lunghe sequenze parallele si mostrano i campi delle forze contrapposte. Dapprima il regista descrive il campo teutonico, dominato dal bianco dei mantelli, dalla ferrigna solidità dei ranghi, dai simboli religiosi (si sta celebrando la Messa). A contrasto, ora, il campo russo. I guerrieri, armati alla meglio, sono accanto ai fuochi: prevalgono i toni scuri, la familiarità degli atteggiamenti, l’assenza di ogni simbolo.
È la mattina del 5 aprile 1242. Imponente massa di ferro, avanzano i Cavalieri Teutonici sulla superficie gelata del lago. Si muovono i russi. La battaglia si sviluppa in una serie di feroci corpo a corpo. Attacca ora la cavalleria del principe. Nevskij affronta von Balk, chiuso nella sua corazza. Lo abbatte. Le sorti volgono a favore dei più agili russi. Il ghiaccio del lago comincia a scricchiolare. I Cavalieri Teutonici, impacciati dalle loro pesanti armature, finiscono in acqua e annegano miseramente. A Pskov si celebra il trionfo di Nevskij.
Ejzenštejn, tornato dal lungo viaggio all’estero dalla esperienza deludente di iQue viva Mexico! aveva girato Bezin lug, fra il 1935 e gli inizi del 1937, costretto più volte ad apportarvi modifiche. Alla fine, la lavorazione era stata sospesa, e il progetto giudicato inconciliabile con la politica cinematografica sovietica. La crisi personale del regista era solo una parte infinitesima della grande crisi che stava attraversando il paese. Il 23 febbraio 1937 si apriva la sessione del Comitato Centrale del Partito che avrebbe liquidato l’opposizione di sinistra e aperto la serie dei grandi processi destinati a eliminare una intera classe dirigente. Per le arti, era la fine senza appello di ogni avanguardia. Il “socialismo in un solo paese” esigeva la massima compattezza intorno ad alcune idee-guida: era necessaria la mobilitazione di tutto il popolo, sia dinanzi ai pericoli interni che potevano mettere in forse il piano di industrializzazione accelerata del paese, sia dinanzi alla pressione crescente del fascismo alle frontiere. Occorreva recuperare tutta la tradizione russa, riscoprire i valori nazionali e le figure che quei valori avevano incarnato. Il cinema fu chiamato a contribuire con tutte le sue energie.
Anche il regista del Potëmkin fu invitato al lavoro. Ejzenštejn si impegnò con immenso scrupolo. Si documentò sull’epoca, studiò la pittura storica e di genere del Sette-Ottocento russo, predispose con cura estrema l’apparato figurativo, fissò con esattezza le differenze e le opposizioni che attraverso la metafora avrebbero potuto sostenere la concezione ideologica del film (i bianchi e i neri, i volti coperti dal ferro e i volti scoperti, la simbologia religiosa e il realismo della vita quotidiana), si assicurò la collaborazione di Sergej Prokofev e raccolse ogni elemento in una rigorosa visione unitaria: la minaccia oscura e potente del nemico esterno, la molteplicità degli interessi interni che poteva essere superata dalla forza e dalla lungimiranza di un eroe degno di fede. Nevskij non è Stalin (Ejzenštejn non poteva essere così grossolano), ma certo Aleskandr Nevskij – accolto trionfalmente a Mosca il 23 novembre 1938 – è un film coerentemente stalinista. Un film che produce profonda emozione per la sua forma imponente e suggestiva, per il suo ritmo incalzante. (Fernando Di Giammatteo – 100 film da salvare)