REGIA E SCENEGGIATURA: Peter Mullan FOTOGRAFIA: Nigel Willoughby MONTAGGIO: Colin Monie MUSICHE:Craig Armstrong INTERPRETI: Eileen Walsh, Geraldine McEwan, Dorothy Duffy, Annie-Marie Duff PRODUZIONE: Pfp Films Ltd., Temple Films, Bord Scanan Na Heireann, Element Films, Film Council, Momentum Pictures, Scottish Screen DISTRIBUZIONE: Lucky Red DURATA: 119 Min
La storia ha inizio nel 1964, ed è incentrata su tre ragazze (Bernadette, Margaret e Rose) mandate presso il convento gestito da Madre Bridget (madre superiora dell’ordine) ad espiare i loro presunti peccati: Margaret viene violentata dal cugino durante un matrimonio; Bernadette, orfana, attraente e civettuola suscita l’attenzione dei ragazzi; Rose invece è una ragazza madre. Le ragazze, che nel frattempo legano con le altre già presenti, sperimentano sulla loro pelle l’emarginazione dalla società e i soprusi perpetrati dai rappresentanti religiosi che non devono rispondere a nessuno del loro operato. Una dopo l’altra le ragazze proveranno, con esiti diversi, la via della fuga e la denuncia di quanto hanno dovuto subire nel corso degli anni. Ci riusciranno: Margaret grazie all’intervento di un parente che la riporta a casa, Bernadette e Rose in maniera assai rocambolesca. Alla fine del film, apprendiamo che Margaret è diventata insegnante e non ha voluto sposarsi, mentre Rose e Bernadette si sono sposate e Rose ha potuto riabbracciare il figlio dato in adozione tanti anni prima. “Crispina”, disabile, schiava sessuale di un sacerdote che viene ignobilmente svergognato, viene rinchiusa in un ospedale psichatrico dove cade in stato di totale catatonia e muore rifiutando di mangiare.
Un film sugli istituti religiosi femminili che accoglievano le ragazze orfane, o ritenute “immorali” e le impegnavano in estenuanti lavori non retribuiti come momenti di redenzione. Un film di denuncia sullo sfruttamento del lavoro delle donne nelle lavanderie industriali durato quasi 150 anni in Irlanda.
LA CRITICA
Si ripropongono i temi e le atmosfere delle istituzioni totali – che siano carceri, o manicomi, o campi di concentramento o qualunque habitat che riproduca il sadismo dell’uomo sull’uomo: l’atemporalità’ (passano gli anni cosi’, attraverso giorni tutti uguali, fino alla morte delle vecchie che un giorno sono entrate e non piu’ uscite); l’abbrutimento morale, per cui anche tra le vittime manca la solidarietà’ (una ragazza ruba ad un’altra una catenina che e’ quanto di più’ caro abbia al mondo); l’identificazione con l’aggressore per cui O’ona, che tenta la fuga e viene rasata a zero, aderirà’ poi’ lei stessa all’ordine delle sorelle; la paura della libertà’, per cui di fronte ad un cancello rimasto per errore aperto, Margaret si paralizza e non riesce a fuggire. E cosi’ via. Pur essendo un film tutto al femminile, evoca ricordi cinematografici che si rifanno al filone carcerario, della guerra, dello sterminio degli ebrei, senza nulla concedere alla complicità’ tra donne, al riscatto dell’amicizia sull’umiliazione, alla speranza di amore futuro. Le ragazze del Magdalene non hanno futuro, sono come mosche in una stanza chiusa, imprigionate in un presente esiliato dal mondo, folle come lo sono le istituzioni totali, dove si perdono i confini del tempo, del Se’ e dell’altro, e diventa lecito quello che normalmente e’ abominevole. Reminiscenze che scorrono tra Primo Levi e il Salo’ di Pasolini, sono quelle che mi hanno attraversato la mente, anche se questo e’ un film per nulla disgustoso, ben sceneggiato e ben recitato, dove le ragazze sono belle e fiere anche nel degrado cui sono sottoposte. (Rossella Valdrè – Pol.it)
Uno sguardo di troppo può essere fatale. Nell’Irlanda anni 60, grettamente sessuofobica e perbenista, alle ragazze è in pratica vietato tutto: niente civetterie, niente scappatelle, la morale va difesa a ogni costo. E per chi, nonostante tutto, sgarra, ci sono pronte le “lavanderie”, agghiaccianti conventi-carcere nei quali si può finire rinchiuse per sempre, letteralmente murate vive. È una storia di violenze estreme, quasi inconcepibili, quella raccontata da Peter Mullan in Magdalene: le opere di bene che si tramutano nel loro esatto contrario, la carità cristiana che diventa, diabolicamente, uno strumento di tortura e oppressione (Luigi Paini – Il sole 24 ore)
La barbarie istituzionale, con la complicità di famiglie bigotte, allarga le sue ombre sulla “civilissima” cultura occidentale. Basato su storie incredibilmente vere. Mullan sa trattare il realismo con antirealistica crudezza. (FilmTv)
Tira l’aria del Dickens più cupo e realisticamente più visionario in questo film duro, crudo e sicuro _ che ha dell’incredibile se si pensa agli anni ’60. Il suo tema centrale è la trasformazione della carità cristiana in strumento di tortura, oppressione e annientamento della dignità, anzi dell’identità umana. Dice già tutto la sequenza d’apertura, la festa di nozze durante la quale Margaret (Duff) è violentata da un cugino e, perciò, espulsa dalla famiglia e dalla comunità. Nella crudezza della cronaca con cui descrive il microcosmo totalitario del convento, lo scozzese Mullan, anche sceneggiatore, si compiace talvolta della violenza e dei suoi rituali, trascinato dal suo programma polemico. Uno dei momenti alti del racconto è la scena in cui, inginocchiata davanti alla sua persecutrice, Margaret recita il Pater Noster. Ufficiali e non, le sdegnate proteste di parte cattolica o sono frutto di malafede o nascono da un errore: anticlericale non è sinonimo di antireligioso. Leone d’oro a Venezia 2002.(Morando Morandini)
Peter Mullan (gia’ attore di “My Name Is Joe”) dirige questa storia dai toni dickensiani dove tre ragazze vengono, per motivi diversi, rinchiuse in una delle case “Magdalene”.
Bernardette (l’esordiente Nora-Jane Noone) è un’orfana che, secondo la sua direttrice, ha il destino dell’ammaliatrice e per questo deve essere “raddrizzata”, Rose (l’irlandese Dorothy Duffy) ha invece avuto un bambino senza però avere un marito, peccato mortale, il padre decide quindi di dare in adozione il piccolo (per evitare che sia un bastardo – sostiene lui) e di seppellire la figlia nell’istituto ed infine Margaret (Anne Marie Duff / “Enigma”), che è stata violentata da un cugino, sarà anche lei destinata alla “correzione”.
Le ragazze vengono spogliate di ogni identità, a cominciare dai nomi, e costrette ad una serie di soprusi fisici e psicologici che minerebbero anche la volontà più forte. Sotto la sadica e rapace guida della Sorella Bridget (Geraldine Mc Ewan / “Enrico V”) percorreranno tutti gli abissi della disperazione e dello sconforto, incapaci di reagire in alcun modo, ormai plagiate dalla volontà delle suore.Di contro l’opulenza della vita di queste dedite all’accumulo di denaro alle spalle delle loro “protette”. Alla fine se deve essere fatta una scelta sarà sempre il Dio Denaro a vincere. Risulta chiaro che l’unico modo di uscire da questa prigione di una vita senza speranza può essere solo la morte o, peggio ancora, la presa dei voti che trasformerà le ragazze nel loro peggiore incubo: le suore stesse. Ben diretto e ben giarato, senza gli artifici di effetti particolari e con l’utilizzo della camera a mano o al limite su cavalletto, il film riesce a colpire lo spettatore lasciandolo attonito. Anche la crudezza del commento musicale ben si adatta al clima della pellicola (indimenticabile, però, la musica d’apertura del matrimonio irlandese).
(Valerio Salvi – FilmUp)
Si chiamano Margaret, Rose, Bernadette, tre ragazza che vivono nella contea di Dublino: una è stata violentata da un amico durante una festa nuziale, una ha avuto un bambino senza essere sposata e la terza ha scambiato alcune parole con dei coetanei fuori dalla cancellata dell’orfanotrofio nel quale vive. Considerate peccatrici, tutte e tre vengono rinchiuse in uno dei conventi Magdalene gestiti dalle suore della Misericordia per conto della chiesa cattolica. In quei conventi, almeno 30.000 donne sono vissute come ai lavori forzati, lavando e stirando per conto terzi, per 364 giorni all’anno (tranne Natale, quando ricevevano un’arancia a testa), frustate, umiliate, letteralmente deprivate, quasi sempre dall’adolescenza alla morte. Poteva anche andargli peggio, come accade alla quarta protagonista del film, Crispina, una povera ritardata (anche lei ragazza madre) che viene rinchiusa in manicomio quando rivela pubblicamente i servigi sessuali resi al prete pastore del convento. Non siamo nei secoli bui della rivoluzione industriale o negli oscuri sobborghi dell’anima dickensiani. Magdalene comincia nel 1964, quando a Dublino le ragazze portano la minigonna e i capelli cotonati, e gli ultimi conventi Magdalene (il nome veniva da Maria Maddalena, che espiò i suoi peccati nella miseria e l’autoflagellazione) sono stati chiusi nel 1996. La barbarie istituzionale, con la complicità di famiglie bigotte e benpensanti, allarga le sue ombre sulla civilissima cultura occidentale. Ci voleva uno scozzese pazzo, coraggioso e visionario come Peter Mullan per fare questo film, uno che aveva già scoperchiato una chiesa verso il finale di Orphans (il suo primo lungometraggio, premiato alla Sic di Venezia nel 1998) e che non si é lasciato intimorire dagli ostacoli che ha opposto al suo progetto la Chiesa cattolica irlandese. Magdalene é duro e appassionato come un feuilleton, e altrettanto incredibile. Ma é tutto vero. Mullan sa trattare il realismo con un trionfale antirealismo; montaggio, ossessione, paura, orrore riflesso in una pupilla insanguinata (Emanuela Martini)