Euronote – Alla deriva nel Mediterraneo

Milano, 23.1.2019

«All’inizio del 2019, i governi europei hanno impiegato quasi tre settimane per decidere cosa fare con 49 persone – compresi bambini – soccorse in mare. Le hanno lasciate tra le onde per 19 giorni. Questa non è la prima volta che succede, ed è improbabile che sia l’ultima. Sempre all’inizio del 2019, le autorità spagnole hanno vietato alla Ong Proactiva Open Arms di svolgere le sue attività di salvataggio nel Mediterraneo centrale. Cosa sta succedendo con la migrazione e cosa sta facendo l’Europa al riguardo?». Inizia così un Rapporto pubblicato recentemente da Amnesty International con il titolo Alla deriva nel Mediterraneo, in cui l’organizzazione per i diritti umani analizza e critica l’attuale sistema europeo di accoglienza di migranti e richiedenti asilo nel Mediterraneo, perché pone queste persone «in una situazione di incertezza e pericolo abbandonandole al loro destino, ossia alla deriva in mare».

Due le cause principali, secondo Amnesty: l’affidamento dei controlli di frontiera alle autorità libiche e l’assenza di un sistema di condivisione equa delle responsabilità sull’accoglienza dei richiedenti asilo in Europa. Il risultato è il protrarsi di una situazione inaccettabile, con continue gravi violazioni dei diritti umani in Libia ai danni dei migranti in transito verso l’Europa e il ripetersi di naufragi che continuano ad accrescere il numero delle vittime delle migrazioni nel Mediterraneo: 2.275 nel 2018 e già 170 presunti morti e dispersi nelle prime tre settimane del 2019 secondo le stime dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur-Unhcr). «Non si può permettere che la tragedia in corso nel Mediterraneo continui – ha dichiarato l’Alto commissario Filippo Grandi -. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte all’elevato numero di persone che stanno perdendo la vita alle porte dell’Europa. Nessuno sforzo deve essere risparmiato, o precluso, per salvare le vite di quanti sono in pericolo in mare». L’Unhcr ritiene necessari sforzi per impedire che rifugiati e migranti intraprendano viaggi disperati, ma anche la creazione di «vie sicure e legali di accesso alle procedure d’asilo in Europa per quanti fuggono da guerre e persecuzioni, in modo che nessuno sia costretto a credere che non esista altra possibilità se non quella di affidarsi a trafficanti senza scrupoli».

La delocalizzazione dei controlli

Il Rapporto di Amnesty ricorda che, secondo il diritto internazionale, le persone in difficoltà in mare devono essere soccorse e portate in un luogo sicuro, cioè un Paese dove siano trattate umanamente e sia offerta loro l’opportunità di chiedere asilo. Così, fino a poco tempo fa chiunque fosse stato salvato nel Mediterraneo centrale durante il viaggio dalla Libia veniva portato in Europa, poiché in Libia rischiava detenzione arbitraria e torture. Si è peròcreato «un dilemma» per i governi europei, sostiene Amnesty: «Desiderosi di bloccare la migrazione attraverso il Mediterraneo centrale, poiché non vogliono che la gente arrivi in Europa, ma nell’impossibilità di rimandare le persone in Libia senza violare la legge. Hanno allora iniziato a sostenere la Guardia costiera libica perché intercettasse le persone in mare e le riportasse in Libia».

La guerra alle Ong

Inoltre, osserva Amnesty, per ridurre il numero degli approdi nei loro porti alcuni Stati membri dell’Ue hanno azzerato o ridotto i pattugliamenti da parte delle proprie navi, mentre le Ong che si sono attivate per porre rimedio a questa situazione si sono viste a loro volta rifiutare sistematicamente l’ingresso nei porti, soprattutto quelli di Italia e Malta. «Alcuni governi europei hanno persino impedito alle Ong di portare avanti le loro azioni di salvataggio di vite umane, attraverso indagini penali infondate e ostacoli burocratici» nota il Rapporto, citando ad esempio l’ordinanza con cui le autorità marittime della Spagna hanno impedito all’organizzazione Proactiva Open Arms di svolgere attività di soccorso nel Mediterraneo centrale. La settimana precedente, 49 migranti erano stati fatti sbarcare a Malta dopo essere rimasti per 19 giorni in mare a bordo di due navi di ricerca e soccorso delle Ong Sea Watch e Sea Eye.

«Non dovremmo più assistere al vergognoso spettacolo offerto da esponenti politici in gara per dimostrare di essere più cattivi nel negare assistenza e rifiutare l’approdo a terra di uomini donne e bambini rimasti per settimane a bordo delle navi di soccorso» denuncia Amnesty International, secondo cui «i leader europei devono adottare misure urgenti per correggere un sistema che non aiuta né gli Stati della frontiera marittima né le persone in cerca di salvezza, che vengono lasciate in mare o che languono negli Stati membri, sopraffatti da procedure d’asilo inefficaci o estenuanti».

Le soluzioni possibili

Per affrontare una situazione così complessa, sostiene l’organizzazione internazionale per i diritti umani, i governi europei devono lavorare insieme su una soluzione congiunta che funzioni per tutti gli Stati interessati e, soprattutto, per le persone coinvolte: «Se vogliono che meno persone facciano viaggi irregolari in Europa, devono essere offerte opportunità legali e sicure per cercare asilo, cercare un impiego o ricongiungersi con i parenti. Ciò non significa rimuovere i controlli alle frontiere, ma piuttosto espandere percorsi sicuri e regolari e migliorare la governance della migrazione». Pur diminuendo i “viaggi delle disperazione”, questo non eliminerà però totalmente le traversate in mare in barche fragili e per questo l’Europa deve approntare un meccanismo di risposta, propone Amnesty: «Ciò comporta il possesso di sufficienti navi di salvataggio, ma anche l’istituzione di un meccanismo di sbarco rapido e affidabile in linea con il diritto internazionale e un sistema equo per condividere la responsabilità dei richiedenti asilo tra i Paesi dell’Ue». Inoltre, sottolinea il Rapporto, il sostegno e l’assistenza europei in Libia «dovrebbero contribuire a porre fine alla dipendenza dalla detenzione, assicurare la pronta liberazione di tutti coloro che sono detenuti arbitrariamente e garantire che i rifugiati possano essere reinsediati in un Paese sicuro».