Euronote – Fermare l’escalation militare

Reti italiane ed europee chiedono soluzioni negoziali e denunciano il riarmo

Milano, 8.2.2022

La crescente tensione tra Russia, Stati Uniti e Nato in merito alla questione dell’Ucraina deve essere risolta in via negoziale, per scongiurare i rischi di guerra ai confini dell’Europa. È quanto chiesto dalla Rete italiana pace e disarmo, che riunisce decine di associazioni e organizzazioni della società civile italiana, in un appello rivolto alle autorità politiche italiane ed europee. «Stiamo assistendo ad una preoccupante escalation della tensione ai confini dell’Europa, escalation nella quale nessuno dei contendenti esclude l’eventualità del ricorso alle armi e rispetto alla quale nessun osservatore esclude che possa evolvere in conflitto armato, anche nucleare, che potrebbe coinvolgere la stessa Europa» osserva la Rete pace e disarmo, che per queste ragioni chiede all’Europa di «prendere iniziative urgenti e significative da una posizione di neutralità attiva, per ottenere una de-escalation immediata della tensione e avviare la ricerca di un accordo politico negoziato nel rispetto della sicurezza e dei diritti di tutte le popolazioni coinvolte, chiarendo la propria indisponibilità a sostenere avventure militari». L’appello della Rete è chiaro: «A tutti i Paesi coinvolti diciamo: fermatevi. Deponete le armi e le minacce e trattate».

La preoccupazione è particolarmente forte e motivata perché questa disputa internazionale avviene in un clima di generale riarmo. Come riportano infatti le rilevazioni dell’autorevole Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri), le spese militari mondiali sono in costante aumento (+9,3% nell’ultimo decennio), per una stima complessiva di 1.981 miliardi di dollari. Gli Usa sono in testa con il 39% della spesa globale, seguiti dalla Cina col 13% (+76% nel decennio 2011-20, col 2020 che ha fatto segnare il 26° anno consecutivo di aumento della spesa) e subito dopo dall’Unione europea con il 12%: nel 2020 la spesa complessiva dei 27 Paesi membri dell’Ue è stata di 232,8 miliardi di dollari, in crescita del 4,6% rispetto al 2019 e del 24,5% rispetto al 2014.

Spesa militare aumentata con la pandemia

L’aumento del 2,6% della spesa militare mondiale registrato dal Sipri nel 2020 è arrivato in un anno in cui il Pil globale si è ridotto del 4,4% (secondo il Fondo monetario internazionale), in gran parte a causa degli impatti economici della pandemia. Di conseguenza, spiega il Sipri, la spesa militare in percentuale del Pil – denominato “carico militare” – ha raggiunto una media globale del 2,4% nel 2020, rispetto al 2,2% nel 2019. Si è trattato del più grande aumento anno su anno del carico militare dall’inizio della crisi economico-finanziaria mondiale del 2009. I dati sull’aumento delle spese militari sono confermati da quelli relativi alle vendite di armi e servizi militari da parte delle 100 maggiori società del settore, che hanno raggiunto i 531 miliardi di dollari nel 2020 con un aumento dell’1,3% in termini reali rispetto all’anno precedente e del 17% rispetto al 2015. Si è trattato

per il 2020 del sesto anno consecutivo di crescita delle vendite di armi da parte della Top 100. L’Istituto di Stoccolma osserva così come l’industria delle armi abbia sostanzialmente resistito alla pandemia e alla recessione economica, con vendite di armi aumentate nonostante una contrazione dell’economia globale durante il primo anno della pandemia. «I giganti del settore sono stati in gran parte protetti dalla sostenuta domanda governativa di beni e servizi militari» affermano i ricercatori del Sipri, secondo i quali «in gran parte del mondo, la spesa militare è cresciuta e alcuni governi hanno persino accelerato i pagamenti all’industria delle armi per mitigare l’impatto della crisi del Covid-19».

La preoccupante militarizzazione europea

Inseguendo l’idea che un’Europa più forte sia necessaria sulla scena globale, negli ultimi anni l’Ue e i suoi Stati membri hanno fatto «passi significativi per deviare l’attenzione e le risorse da priorità civili a quelle militari». Lo denuncia un Rapporto della Rete europea contro il commercio di armi (Enaat), secondo cui in pochi anni Stati membri e istituzioni europee, con una forte azione di lobby delle industrie europee di armi e sicurezza, «hanno fatto avanzare il percorso di militarizzazione dell’Ue a un ritmo preoccupante». L’istituzione della Cooperazione strutturata permanente (Pesco) e la Coordinated Annual Review on Defence (Card), come l’introduzione del Fondo europeo per la difesa (Edf) «hanno aperto la strada a uno spostamento verso priorità militari di tutto il sistema complessivo dell’Ue, a scapito della cooperazione degli Stati membri sulle questioni sociali e sulla pace» sostiene l’Enaat.

Oltre all’impatto negativo che produzione ed esportazione di armamenti hanno sui conflitti a livello internazionale e sui flussi di profughi che ne conseguono, secondo la Rete europea vanno sfatati anche i presunti benefici economici per il mercato dell’Ue. L’industria militare rappresenta una quota poco rilevante del mercato del lavoro dell’Ue, con appena 485.000 posti di lavoro nel 2019 rispetto ai quasi 33 milioni di lavoratori impegnati complessivamente in attività di produzione. E anche a livello di investimenti e innovazione il campo militare non crea valore aggiunto, sottolinea l’Enaat: alcune statistiche americane mostrano come la spesa per l’assistenza sanitaria, l’istruzione, l’energia pulita e le infrastrutture creino più posti di lavoro che investimenti nel settore militari e che la spesa civile generalmente supera la spesa militare in merito alla creazione di posti di lavoro, tra il 21% (per lo sviluppo dell’energia eolica) e il 178% (per l’istruzione elementare e secondaria, dove inoltre si creano più posti di lavoro per le donne). Il Rapporto dell’Enaat cita studi recenti che dimostrano come l’investimento nel settore militare generi un basso ritorno economico (in termini di ricchezza e posti di lavoro prodotti) a fronte di un forte impatto umanitario e sociale. Così come non è vero che la spesa militare stimola la crescita a lungo termine: «La ricerca dimostra un impatto da neutro a negativo sulla crescita, distorcendo la produzione e l’accumulazione di capitale umano, riducendo le risorse per R&S, rafforzando gli interessi acquisiti, aumentando la corruzione e danneggiando la sostenibilità di bilancio a causa dell’aumento del debito. In breve, il settore della difesa è disfunzionale».