Euronote – L’aumento del lavoro temporaneo non è una buona notizia

 
Milano, 25.7.2016
 
 
 
 
 
 
 
L’aumento del lavoro temporaneo non è una buona notizia
Poche transizioni verso il tempo indeterminato e troppe verso la disoccupazione
 
In ambito occupazionale gli anni della recente crisi in Europa sono stati quelli del lavoro temporaneo. Dal 2008, infatti, sono stati ampiamente utilizzati accordi contrattuali flessibili, date le norme meno severe sui licenziamenti e la conseguente grande attrazione per i datori di lavoro. Così, la quota di lavoratori temporanei sul numero totale di dipendenti è aumentata nella maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea; di oltre due punti percentuali in Paesi quali Cipro, Slovacchia, Malta, Ungheria e Repubblica Ceca.
 
«I posti di lavoro temporanei possono aver aiutato le persone nel mercato del lavoro, ma l’evidenza empirica dimostra che i contratti temporanei sono generalmente associati a livelli più bassi di soddisfazione sul lavoro rispetto ai contratti a tempo indeterminato. Inoltre, i lavoratori temporanei recepiscono generalmente salari più bassi e hanno accesso limitato a formazione, assenze per malattia, assicurazione contro la disoccupazione e pensione» osserva uno studio svolto recentemente presso la DG Occupazione della Commissione europea e dedicato proprio ai vari aspetti del lavoro temporaneo. In particolare, è posta la questione se questo aumento dell’uso di contratti temporanei negli ultimi anni sia una buona o una cattiva notizia, cioè abbia rappresentato «un trampolino di lancio nel mondo del lavoro stabile o invece una porta girevole tra disoccupazione e lavori precari».
 
Ebbene, osservando i dati più recenti sulla mobilità del lavoro verso l’alto in Europa si ottiene «un quadro preoccupante», notano gli autori dello studio.
 
Nella maggior parte dei Paesi dell’Ue si osserva infatti un calo dei tassi di transizione dal lavoro a tempo determinato a posti di lavoro permanenti. Inoltre, tra il 2008 e il 2014 è aumentato nella maggior parte degli Stati membri il passaggio dai posti di lavoro temporanei alla disoccupazione.
 
Le diversità tra gli Stati membri
 
In particolare è segnalato dallo studio il caso della Spagna: nel 2014 ha avuto la seconda quota più alta nell’Ue di dipendenti temporanei, con il 24% (inferiore solo alla Polonia con il 28,4%), ma ha fatto registrare anche uno dei tassi più bassi di transizione verso posti di lavoro più stabili (12%) e uno dei tassi più alti di transizione verso la disoccupazione (20,7%). Per i dipendenti temporanei la situazione è stata difficile anche in Croazia, Portogallo, Italia, Danimarca e Bulgaria, osserva lo studio, Paesi dove i lavoratori temporanei sono stati particolarmente vulnerabili nel 2014 a causa della loro relativamente basse probabilità di passare a posti di lavoro più sicuri e l’elevato rischio di diventare disoccupati. Non è andata molto meglio in Francia, Grecia e Finlandia, dove nello stesso anno i tassi di transizione da lavoro temporaneo a posti di lavoro permanenti sono stati bassi, mentre circa un dipendente temporaneo su dieci è diventato disoccupato.
 
A Malta, nei Paesi Bassi, in Polonia e a Cipro i dipendenti temporanei erano molto meno a rischio di diventare disoccupati, ma comunque bloccati nei loro posti di lavoro temporanei con poche possibilità di ottenere un contratto a tempo indeterminato. Lettonia e Lituania si sono distinte come i due Stati membri dell’Ue in cui i dipendenti temporanei sono stati più mobili nel 2014, mostrando entrambi alti tassi di transizioni sia verso il lavoro permanente che verso la disoccupazione.
 
Austria, Estonia, Regno Unito e Romania hanno invece combinato elevate transizioni verso posti di lavoro permanenti e basse transizioni alla disoccupazione: in questi Paesi, però, la percentuale di lavoro temporaneo è relativamente bassa.
 
Deterioramento della mobilità verso l’alto
 
Gli autori dello studio sottolineano che, mentre i tassi di transizione sono fortemente influenzati dalla situazione economica, la quota di lavoratori temporanei tende invece ad essere più strutturale. «Le informazioni sui tassi di transizione sono ancora limitate e non molto tempestive. Tuttavia, i dati disponibili suggeriscono un deterioramento delle possibilità di mobilità verso l’alto dei lavoratori temporanei durante gli ultimi anni» osservano i tecnici della DG Occupazione, secondo i quali in questa fase non è possibile accertare se si tratta di un fenomeno a breve termine legato al ciclo economico o invece di parte di una tendenza a lungo termine verso una maggiore segmentazione dei mercati del lavoro dell’Ue. «Se fosse un segno della polarizzazione strutturale questo sarebbe preoccupante, non solo in vista delle sue conseguenze sociali, ma anche perché una forte segmentazione del mercato del lavoro può deprimere gli investimenti in capitale umano e, quindi, la crescita della produttività» concludono gli autori dello studio effettuato per la Commissione europea.

LAVORI TEMPORANEI SPESSO “VICOLI CIECHI”


Una recente pubblicazione della Commissione europea Analytical Web Note dedicata alle transizioni all’interno del mercato del lavoro, evidenzia come dalla metà del 2013 i flussi nel mercato del lavoro siano stati superiori a quelli verso la disoccupazione e l’inattività. Recentemente questi flussi hanno perso un po’ di slancio, ma la disoccupazione è scesa di nuovo nella seconda metà del 2015 anche per le maggiori possibilità di trovare un impiego. Nella maggior parte dei Paesi dell’Ue è aumentato infatti l’uso dei contratti temporanei, ma è peggiorata la transizione verso contratti a tempo indeterminato e più lavoratori temporanei hanno perso il lavoro. La bassa transizione da posti di lavoro temporanei a permanenti e l’alta transizione verso la disoccupazione, osserva la Commissione, «suggeriscono che i posti di lavoro temporanei sono “vicoli ciechi” anziché “pietre miliari” per le carriere lavorative». In particolare, le giovani donne incontrano grandi difficoltà a passare da posti di lavoro temporanei a permanenti, mentre durante la crisi si sono deteriorate anche le transizioni dal part time al tempo pieno, soprattutto tra i lavoratori di età più avanzata e le donne.