Euronote – Politica economica: le raccomandazioni della Commissione

 
Milano, 25.5.2016
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Politica economica: le raccomandazioni della Commissione
Indicazioni specifiche ai Paesi Ue per rendere più efficace il semestre europeo
 
«Nell’ultimo anno gli Stati membri hanno fatto passi avanti sul fronte delle riforme, ma il ritmo di tali progressi deve aumentare per contribuire come dovrebbe all’occupazione, alla crescita e agli investimenti». È quanto affermato dai rappresentanti della Commissione europea presentando, il 18 maggio, un “pacchetto economico di primavera” nell’ambito del semestre europeo contenente le raccomandazioni specifiche per Paese 2016, che delineano gli orientamenti in materia di politica economica per i prossimi 12-18 mesi. Gli orientamenti si concentrano su quelle che sono ritenute dalla Commissione le riforme prioritarie per rafforzare la ripresa delle economie degli Stati membri tramite il rilancio degli investimenti, la realizzazione di riforme strutturali e il perseguimento della responsabilità di bilancio.
Quest’anno la Commissione ha proposto un numero minore di raccomandazioni, concentrate sulle principali priorità economiche e sociali. «In un mondo del lavoro in rapido mutamento, dobbiamo proseguire sul cammino delle riforme di concerto con gli Stati membri e le parti sociali. La disoccupazione sta diminuendo, ma occorre progredire molto di più» ha dichiarato la commissaria responsabile per l’Occupazione, gli Affari sociali, le Competenze e la Mobilità dei lavoratori, Marianne Thyssen, sottolineando come le raccomandazioni 2016 mettano l’accento sulle questioni sociali e occupazionali.
 
Serve un mix di politiche del lavoro attive e passive
 
Le raccomandazioni della Commissione si concentrano su tre aree prioritarie: «Gli investimenti sono ancora esigui rispetto ai livelli pre-crisi, ma stanno acquistando impeto, anche grazie al piano di investimenti per l’Europa. È necessario progredire più rapidamente con le riforme strutturali per incentivare la ripresa e aumentare il potenziale di crescita a lungo termine. Tutti gli Stati membri devono perseguire politiche di bilancio responsabili e garantire che i propri bilanci siano strutturati in modo tale da favorire la crescita».
La Commissione osserva come l’attuazione delle raccomandazioni specifiche per Paese vari a seconda dei settori programmatici e della complessità delle riforme da attuare. Progressi scarsi sono stati rilevati nella creazione di un contesto normativo favorevole alle imprese e all’occupazione, nell’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e nella riduzione degli ostacoli nel settore dei servizi.
Per quanto concerne in particolare il mercato del lavoro, la Commissione ritiene che la disoccupazione vada contrastata con un mix di politiche del lavoro attive e passive, secondo un approccio di «workfare o di work first». Per contrastare la disoccupazione di lunga durata, gli Stati membri sono invitati a incoraggiare e sviluppare partenariati tra datori di lavoro, parti sociali, servizi per l’impiego, autorità governative, servizi sociali e di istruzione.
Secondo la Commissione, l’attuazione delle raccomandazioni è più avanzata negli Stati membri che presentano squilibri rispetto agli Stati membri senza squilibri, «data la maggiore necessità di riforme, il dialogo politico più acceso e la pressione dei mercati».
Lo scorso febbraio la Commissione aveva presentato un’analisi della situazione economica e sociale degli Stati membri, i quali hanno risposto presentando i programmi nazionali di riforma e i programmi di stabilità (Paesi della zona euro) o di convergenza (Paesi non appartenenti alla zona euro). Sulla base di questi dialoghi, dei programmi, e delle previsioni di primavera 2016 la Commissione ha chiesto ora al Consiglio di adottare le raccomandazioni specifiche per Paese e agli Stati membri di attuarle «appieno e tempestivamente».
 
Ces: non si devono riproporre politiche già provate e fallite
Constatando «un approccio più morbido sui deficit di bilancio, maggiore enfasi su istruzione, formazione e occupazione e una tassazione più equa rispetto agli anni precedenti», la Confederazione europea dei sindacati (Ces) ha però espresso preoccupazione per il fatto che la Commissione interferisca ancora nell’autonomia delle parti sociali e della contrattazione collettiva. I sindacati europei ritengono «errato affermare che l’aumento del salario minimo sarebbe dannoso per l’occupazione e la competitività in Portogallo, così come è sbagliato sostenere che il salario minimo in Francia ostacola l’occupazione». Al contrario, sostiene la Ces, «ciò di cui l’Europa ha bisogno è un aumento dei salari minimi, aumenti salariali attraverso una migliore contrattazione collettiva per stimolare la crescita e combattere la disuguaglianza, e un’azione per porre fine al lavoro precario». Secondo la Confederazione europea dei sindacati, la Commissione ripropone la necessità di riforme strutturali del mercato del lavoro che in passato hanno portato a minore contrattazione collettiva, stipendi più bassi e anche maggiore disoccupazione: «L’Europa non ha bisogno ancora di politiche già provate, testate e fallite. I mercati del lavoro non sono affetti generalmente da poca flessibilità, bensì da troppo lavoro a tempo parziale involontario e a tempo determinato e dal falso lavoro autonomo» ha dichiarato Veronica Nilsson, vicesegretaria generale della Ces.
10 MILIONI DI LAVORATORI PART TIME INVOLONTARI NELL’UE
Nel 2015, tra la popolazione dell’Ue di 15-74 anni di età, 220 milioni erano gli occupati, 23 milioni i disoccupati e 136 milioni le persone economicamente inattiva. Il 20% circa degli occupati, cioè 44,7 milioni, aveva un impiego part time, ma di questi circa 10 milioni erano “sottocupati”, cioè desideravano lavorare più ore. Ciò corrisponde a oltra un quinto (22,4%) di tutti i lavoratori a tempo parziale e al 4,6% dell’occupazione totale. Due terzi di questi lavoratori a tempo parziale sottoccupati erano donne (66%). E’ quanto emerge dall’Indagine sulla forza lavoro 2015 pubblicata il 19 maggio da Eurostat, secondo cui 11,4 milioni di persone economicamente non attive possono essere considerate <<potenziale forza lavoro aggiuntiva>> (pari al 4,7% della forza lavoro dell’Ue), perché disponibili a lavorare ma non in cerca di lavoro, oppure in cerca ma <<scoraggiate>> o non immediatamente disponibili.