Ospiti

Milano, 4.3.2016

REGIA: Matteo Garrone  SCENEGGIATURA: Matteo Garrone, Attilio Caselli
FOTOGRAFIA: Marco Onorato  MONTAGGIO: Marco Spoletini MUSICHE: Banda Osiris INTERPRETI: Gianni Di Gregorio, Paolo Sassanelli, Maria Ramirez, Paola Rota, Corrado Sassi, Pasqualino Mura, Julian Sota, Llazar Sota PRODUZIONE: Matteo Garrone per Archimede Srl DISTRIBUZIONE: Pablo DURATA: 78 Min
 
A Roma Ghini e Gherti, due giovani albanesi tra loro parenti, lavorano in un ristorante che organizza anche mostre di pittura e fotografia. Con l’aiuto del proprietario del locale, trovano una stanza per dormire nella casa di Corrado, giovane un po’ sconclusionato che abita ai Parioli e fa il fotografo. Un giorno, davanti alla casa di Corrado, Gherti conosce Lino, un sardo che per trent’anni ha fatto il portiere in quello stabile ed ora è stato licenziato a causa degli strani comportamenti della moglie. Ormai un po’ fuori di testa, la donna ad un certo punto scompare e, dopo qualche giorno, Lino teme che possa essere lei la sconosciuta trovata annegata sulla spiaggia di Sabaudia. Intanto tra Gherti e Ghini, diversi per carattere, la convivenza diventa difficile, e Gherti alla fine lascia la stanza e il lavoro. Corrado si offre di accompagnare Lino a Sabaudia. Arrivano tutti e quattro insieme, e Lino confessa di avere il terrore dei cadaveri e di non poter procedere al riconoscimento della salma. Delega perciò Gherti che, dopo un po’, torna indietro e fa a Lino un gesto di consolazione. Il giorno dopo, Corrado decide di andare alla propria imbarcazione, attraccata in porto e conduce con sé i due ragazzi. Insieme si allontanano verso l’alto mare.
Raccontando la storia di due cugini albanesi Garrone costruisce una specie di continuazione di “Terra di mezzo”,  dove all’aspetto documentaristico si associa una maggiore narrazione sugli immigrati “stranieri a se stessi”. Un invito allo spettatore a confrontarsi con il tema immigrazione purtroppo limitato da dialoghi spesso retorici.
 
LA CRITICA
Minimalismo visivo ma anche di creatività, che non aiuta la sincera volontà di presentare il problema dell’integrazione con uno stile a mezza strada tra la fiction e il documentario. (Giancarlo Zappoli – MyMovies)
“Il racconto ha un andamento da film sperimentale, il ritmo è frammentario, il taglio delle immagini è documentaristico: voci e volti sono colti dal vero, quasi di nascosto. Nella regia povera e immediata traspare qualche compiacimento. Il film è ispirato sul piano civile da una positiva voglia di comprensione e di apertura.” (‘Segnalazioni Cinematografiche’, volume 127, 1999)

 

Il taglio del secondo film di Garrone (“Terra di mezzo”) è esistenziale più che sociologico; il malessere di Gheni e Gherti, pur così diversi tra loro, non è tanto dell’immigrato, ma di chi è “straniero a sé stesso”, condiviso dagli altri due personaggi italiani. “Il film funziona soprattutto nei momenti di stallo in cui la macchina da presa osserva i vuoti, le pause, i silenzi …” (Michele Marangi). Quando passa a un discorso esplicito, scade a sceneggiato televisivo. (M. Morandini)