Alleluja!

Milano, 14.11.2016
 
Regia: King Vidor; produzione: King Vidor per MGM; soggetto: King Vidor; sceneggiatura: Wanda Tuchock, Ransom Rideout, Richard Schayer; fotografia: Gordon Avil; montaggio: Hugh Wynn, Anson Stevenson; scenografia: Cedric Gibbons; costumi: Henrietta Frazer; musica: Eva Jessye, Irving Berlin. Interpreti e personaggi: Daniel L. Haynes (Zeke Johnson), Nina Mae McKinney (Chick), William E. Fountaine (Hot Shot), Harry Gray (Pappy ‘Parson’ Johnson), Fannie Belle DeKnight (Mammy Johnson), Everett McGarrity (Spunk Johnson), Victoria Spivey (Missy Rose), Milton Dickerson, Robert Couch, Walter Tait (figli dei Johnson), Dixie Jubilee Singers, Evelyn Pope Burwell (cantanti), William Allen Garrison. durata 108’
 
 
Zeke, recatosi in città assieme al fratello minore Spunk per la vendita del cotone, rimane affascinato dalla bella Chick. L’amante della ragazza, il baro Hot Shot, sbanca Zeke ai dadi. Nella colluttazione che ne segue, dalla pistola di Zeke parte un colpo che uccide Spunk. Preso dal rimorso, Zeke diventa predicatore e viaggia attraverso l’Alabama per convertire coloro che incontra. Chick, estasiata dai suoi sermoni, si fa battezzare; incapace di resistere alla donna, Zeke se ne va con lei e comincia a lavorare in miniera. Ma Chick e Hot Shot si rivedono e decidono di fuggire insieme; mentre vengono inseguiti, la donna muore e, alla fine, Hot Shot viene strangolato da Zeke. Uscito dal carcere, l’uomo torna in famiglia e sposa Rose, figlia adottiva di suo padre.
 
Ambientato in gran parte nel Sud rurale, Hallelujah rappresenta uno dei primi film dedicati ai neri e scatenò commenti razzisti anche da parte di qualche critico. Film coraggioso nato da un regista che amava sia la comunità nera che la loro musica che le diede l’opportunità di dirigere e produrre uno dei primi “colossal” musicali. Da pioniere del cinema Vidor ebbe il coraggio di rischiare in proprio con brillanti risultati sia dal punto di vista della sensibilità autoriale che quella del botteghino.
 
LA CRITICA
 
Insieme ad Aleksandr P. Dovženko e ad Abel Gance, King Vidor può essere considerato il ‘grande visionario’ della storia del cinema. Senza mai cadere nel ridicolo, come succede talvolta a Gance, Vidor condivide con Dovženko un senso del lirismo spinto all’estremo. Giustamente considerato il suo capolavoro, Hallelujah accentua gli elementi essenziali che hanno contraddistinto il lavoro del regista negli anni Venti, particolarmente in The Crowd e The Big Parade. L’avvento del sonoro avrebbe permesso a Vidor di affinare i pregi del proprio immaginario, che esplora incessantemente i rapporti tra l’individuo e la collettività, o meglio la necessità dell’uomo di compiere una scelta individualista malgrado la propria sottomissione alle regole evidenti o sotterranee che governano la società. Al tema, profondamente radicato nell’immaginario americano, Vidor aggiunge un elemento personale: le forze telluriche che sospingono gli individui fin oltre i propri limiti, anche a rischio del conflitto con la collettività. L’immaginario di Vidor è strettamente legato alla religione e in particolar modo alla ‘Christian science’. Assiduo lettore delle sacre scritture, era naturale che egli fosse profondamente affascinato dalla forza religiosa della comunità di colore. Così spiega l’origine di Hallelujah: “La sincerità e il fervore delle manifestazioni religiose dei neri mi hanno sempre affascinato, così come le loro avventure sessuali; e l’insieme di questi due elementi mi sembrava contenesse un notevole effetto drammatico”. Spesso si è detto che in questo film Vidor ha sacrificato tutto alla musica e al canto, con un loro impiego talvolta eccessivo. Ma rivedendo oggi Hallelujah, film che rimane tuttora nuovo, coraggioso e sconvolgente, l’uso del termine ‘sacrificare’ sembra ingiusto. Piuttosto si dovrebbe dire ‘dedicare’. Se effettivamente Vidor dedica tutto alla musica e al canto, è perché essi costituiscono l’epifenomeno di ciò che più gli sta a cuore: il ritmo. Molto prima dell’avvento del sonoro, infatti, il regista faceva comporre apposite partiture in grado di aderire perfettamente al ritmo dei film. Allo stesso modo Hallelujah!, che del sonoro è uno dei film inaugurali, è girato seguendo il ritmo delle danze e dei canti. Quando la famiglia intona uno spiritual camminando in un campo di cotone, Vidor lavora su un grafico dettagliato dell’azione, indicando chi canta cosa, in modo tale che la musica possa adattarsi perfettamente alle immagini. Si tratta quasi del tentativo di montare prima delle riprese. E il regista ricorda che “per far sì che gli attori, recitando, seguissero sempre lo stesso ritmo, ricorrevamo all’aiuto del metronomo”. In questo modo il film affronta la cultura afro-americana fondamentalmente dal punto di vista musicale, servendosi di tutta la forza pagana dei suoi canti religiosi. I protagonisti non si limitano a credere, ma sono letteralmente posseduti dal sentimento religioso che infiamma i loro animi. Vedere Hallelujah equivale ad assistere alla possessione quasi isterica di corpi sottomessi alla volontà di Dio. Vidor ne ritrae i riti, le danze, i battesimi nel fiume, le riunioni di preghiera accompagnate dagli spiritual, le prediche, i blues, ecc. Il fervore religioso incide su ogni azione. Ma se gli individui vi si dedicano, è perché cercano di contrastare le forze telluriche che li minacciano. È quel che succede a Zeke, che passa successivamente da una possessione all’altra: da quella di Dio a quella prodotta dal corpo di Chick. Basta guardare il viso di Zeke quando si trova di fronte alla ragazza: i suoi occhi spalancati roteano, la sua bocca non si chiude più, è letteralmente posseduto dall’ossessione. Da ciò deriva l’utilizzo parsimonioso dei primi piani: essi intervengono soltanto per mostrarci meglio i visi isterici, quasi allucinati, animati da un fervore vicino alla follia nei confronti di Dio o del sesso. Anche lo spazio, dapprima paradisiaco, idealizzato e omogeneo (la bellezza plastica delle prime scene nel campo di cotone), viene contaminato dalla disarmonia del mondo cittadino, del sesso e del denaro. La scena in cui Zeke insegue il baro Hot Shot nella palude va vista come un’eco oscura e infernale delle immagini agresti all’inizio del film: la luce è cupa, le linee di fuga opache, la confusione è quella del mondo primordiale. Persino gli effetti sonori sono utilizzati in modo audace: quando i personaggi calpestano un ramo rotto, il suono che producono è simile a quello di ossa spezzate; quando la vittima, fuggendo, ritira il piede dalla melma appiccicosa, è come se il suono provenisse dagli inferi. Tutto contribuisce a creare l’impressione di un’angoscia mortale amplificata. Film coraggioso, unico, Hallelujah è certamente l’opera in cui King Vidor rischiò di più, dal soggetto (un film sui neri interpretato esclusivamente da attori di colore) ai dialoghi: le citazioni bibliche e l’uso delle canzoni fanno pensare più a un libretto d’opera (anticipando così il Porgy and Bess tratto da George Gershwin e diretto da Otto Preminger e Rouben Mamoulian nel 1959) che alla rappresentazione realistica di una comunità. I dirigenti della MGM si opposero con fermezza al progetto, e Vidor fu costretto a investire nella produzione tutto il proprio salario. Ma Hallelujah ottenne ovunque un enorme successo. ( Jean Douchet – Enciclopedia Treccani )

 

È una piccola tappa nella storia del cinema della fine degli anni Venti, per due motivi: il primo è che nessuno, prima di King Vidor, aveva mostrato con tale forza la vita e i costumi dei neri del Sud; il secondo è che fu una pellicola straordinariamente innovativa nell’uso del sonoro. L’unione di questi due punti rende Alleluja! un film di grande importanza, forse vittima di alcuni eccessi melodrammatici ma indubbiamente fondamentale nella nascita di un certo tipo di cinema sociale e nella straordinaria forza dello stile utilizzato. I movimenti della cinepresa e il ritmo del montaggio hanno uno spessore fin avanguardistico, e le immagini si sposano perfettamente a una pista sonora composta da musiche e canti capaci di spaziare dal blues al jazz. Coraggioso e ancora oggi di forte impatto, è un’opera coinvolgente e in grado di offrire numerosi spunti di riflessione. Venne ingiustamente accusato di razzismo, ma è in realtà una toccante ballata che racconta la cultura degli uomini di colore con rispetto e sincero interesse. Le due canzoni intonate da Chick sono state composte da Irving Berlin (LongTake.it)