Cinema e lavoro – Billy Elliott

Milano, 14.11.2016
 
Regia: Stephen Daldry Soggetto e sceneggiatura: Lee Hall Fotografia: Brian Tufano  Musiche: Stephen Warbeck, Jam, T-Rex, Clash  Montaggio: John Wilson  Scenografia: Adam O’Neill Interpreti: Julie Walters, Jamie Bell, Jamie Draven Produzione: BBC, Studio Canal, WTZ, Arts Council of England, Tiger Aspect, Working Title Films Distribuzione: Uip Durata: 110′
 
La cittadina mineraria del nord dove Billy vive con il padre, il fratello e la nonna afflitta dall’Alzheimer, ha colori grigi e spenti, cieli lividi e abitanti incattiviti da uno sciopero che dura da troppi mesi e che li ha ridotti a una povertà tangibile. A casa di Billy i pochi soldi bastano appena per i generi di sussistenza e per le lezioni settimanali di pugilato, tradizione di famiglia a cui ci si aspetta che anche il ragazzino renderà onore. Ma la palestra dove Billy prende molti più pugni di quanti riesca a darne, condivide gli spazi con il corso di danza classica tenuto dalla signora Wilkinson. Uno sparuto gruppo di goffe anatroccole in tutù, che però si muovono seguendo un codice che parla direttamente al cuore di Billy. Quando Billy accetta la sfida di unirsi al gruppo di ragazze, forse sa già di aver compiuto una scelta fondamentale. Ovviamente, dimostra subito di avere un talento naturale. E la maestra, dalla lingua tagliente, la sigaretta a catena e il cuore d’oro, già lo vede sfuggire a un destino di mediocrità, sfolgorante su un palcoscenico. Ma prima occorre sfondare i pregiudizi di un padre e un fratello che considerano la danza una cosa “da ragazze e invertiti”, superare l’ostacolo di ristrettezze economiche che costringono a distruggere il pianoforte della madre morta per farne legna da ardere, dimostrare che può accendersi il fuoco bruciante della passione anche in mezzo alla disperazione di chi si sente predestinato alla sconfitta.
 
Una storia di riscatto durante la crisi che ha colpito le classi popolari durante lo sciopero dei minatori inglesi del 1984 contro la chiusura delle miniere decisa da Margaret Thatcher. Una bella rappresentazione del conflitto tra tentativi di autorealizzazione e possibilità economiche e prevenzione culturale.
 
LA CRITICA
 
Billy Elliot poteva facilmente diventare una specie di Flashdance britannico, ma Daldry e Lee Hall, autore della sceneggiatura, sanno creare un abile equilibrio tra il crudo realismo quotidiano della vita dei minatori e i momenti di puro “musical”, in cui il piccolo protagonista scatena le sue energie nella danza. Gran parte del merito va a un casting efficacissimo, con Gary Lewis – Orphans, My Name Is Joe – ruvido e affettuoso padre, Julie Walters disincantata insegnante di danza, Jamie Draven, il fratello di Billy, un palpabile concentrato di rabbia proletaria e lo stupefacente talento di Jamie Bell, scelto tra oltre duemila candidati, ottimo ballerino e misuratissimo attore, con un volto chiuso e angoloso che si apre, raramente, in un irresistibile sorriso. La danza di Billy è un piccolo atto eversivo che riesce a diventare occasione di riscatto per tutta la comunità. Billy può “farcela”, può “diventare qualcuno”, anche se il talento lo indirizza verso un campo poco conosciuto e guardato con sospetto. Come in Grazie, signora Thatcher e in The Full Monty, sembra che solo l’espressione artistica riesca a fornire una via d’uscita dalla crisi. Ma in Billy Elliot non é il gruppo a emergere: il caparbio Billy non cerca il riscatto per tutti, bensì l’affermazione personale, la possibilità di esprimersi come individuo. Il suo successo é un simbolo per il gruppo ma, soprattutto, é l’affermazione del diritto di essere se stessi. Il percorso di Billy è contrappunto da una scelta di canzoni che sottolineano ed enfatizzano i contenuti delle immagini. Lo scatenato numero per le strade è coreografato su A Town Called Malice dei Jam. Le canzoni dei T-Rex – Get It On, I Love to Boogie, Children of the Revolution – sono la colonna sonora privata di Billy, quella pubblica ha il ritmo di London Calling dei Clash, Shout to the Top e Walls Come Tumbling Down degli Style Council, brani che riecheggiano nei testi le situazioni a cui forniscono il contrappunto musicale. (Luisella Angiari – Duel)
Billy vive in una famiglia di minatori, in cui la sopravvivenza si fa sempre più difficile e i rapporti diventano sempre più conflittuali e tesi man mano il duro sciopero si prolunga. Billy frequenta la scuola e ha la responsabilità della nonna non autosufficiente. La madre, morta, è sempre presente nei suoi pensieri; gli ha lasciato in eredità il pianoforte e la passione per la musica, l’aspirazione alla bellezza, e una lettera per il giorno del suo diciottesimo compleanno, che egli ha già aperto e recita a memoria per sentire parole di tenerezza, stima e fiducia, che non sente dal padre che pure lo ama. Questi desidera per Billy un destino diverso, come altri padri vede una prospettiva possibile di riscatto nella boxe e lo costringe a frequentare la palestra, con i calzoncini e i guantoni del nonno. Il bambino invece sogna Fred Astaire, il ballerino preferito dalla madre, e appena può suona il piano. Quando il padre scopre il suo interesse per la danza, scoppia lo scontro e si determina una forte incomprensione: per il padre, come per il fratello, infatti, secondo stereotipi radicati della differenza di genere, i ragazzi fanno pallone, pugilato, lotta, il balletto è cosa per ragazze o omosessuali …. Mrs. Wilkinson, l’insegnante di danza ha un atteggiamento burbero e severo rispetto alle incertezze di Billy, è attenta e a suo modo amorevole ma senza mai sostituirsi alla madre, è ferma nella convinzione di vedere giusto, coraggiosa nello sfidare i pregiudizi maschili e le resistenze del padre e del fratello, pronta a favorire il distacco del ragazzo da lei e la sua autonomia. La sessualità e l’identità sessuale sono un tema presente nel film, oggetto dei discorsi tra Billy e Debbie e tra Billy e Michael. Debbie, anche se la più piccola, sembra dei tre la più sciolta e sicura: gli parla dei rapporti sessuali dei genitori, dell’insoddisfazione della madre, cosa che fa sospettare a Billy di piacere a Mrs. Wilkinson; dopo una lotta con i cuscini sul letto della sua cameretta, inizia un innocente tentativo di seduzione; quando Billy sta per partire per Londra, osa andare un po’ oltre nelle sue timide avance, senza successo. Michael è il compagno di scuola, l’amico con cui Billy si misura rispetto all’identità sessuale, con cui riflette sul rapporto tra danza e omosessualità, di cui accetta amichevolmente l’affetto. Lo ritroviamo, adulto, vestito da donna, al balletto del Covent Garden a contemplare commosso l’esibizione dell’amico. (Carla Colombelli – Aiace Torino)

 

C’è una miniera in sciopero in una città dell’Inghilterra del Nord del 1984 (gli anni del thatcherismo più duro). C’è lo scorcio insolito di una strada che si butta direttamente nel mare. Ci sono tutte le cose allineate che abbiamo imparato a riconoscere fin dalla fine Anni ’50 con il free cinema e i dintorni. E i minatori sull’orlo della disperazione, i poliziotti allineati con gli scudi, i padri e i fratelli maggiori ruvidi, attaccati alla boxe, ai picchetti, alla birra. E poi c’è un ragazzino di undici anni che ai guantoni da pugile (tramandati da suo nonno a suo padre e a lui) preferisce le scarpette con le punte rinforzate da ballerino classico. “Ma non vuol dire essere finocchio!”, esclama Billy davanti allo stupore adirato del padre e del fratello maggiore. Vuol dire solo una passione e un talento, vuol dire uscire (con uno metafora visivo un po’ troppo esplicita) dalla prigione di mattoni e carbone che la vita ha predisposto dalla sua nascita….Un po’ di Loach e, soprattutto, tanto Mark Herman di Grazie, signora Thatcher!, dove al posto del balletto e del futuro di un ragazzino (“Diamo almeno a Billy una possibilità”, dice il padre quando si convince) erano in gioco la passione per la musica e l’onore della banda dei minatori: lo sceneggiatore Lee Hall (che ha seminato nella storia pezzi della sua vita di adolescente a Newcastle) e il regista Stephen Daldry non nascondono i loro rimandi, anche se li lavorano dalla prospettiva dell’adolescenza e del sogno della danza. (Emanuela Martini – FilmTv)