Ces: «Economia smantellata dai profitti»

Non reinvestendo gli utili molte imprese stanno privando l’economia di risorse

«Le imprese stanno silenziosamente privando l’economia di risorse. Molte aziende hanno approfittato dei problemi di approvvigionamento causati dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina per aumentare indebitamente i propri margini di profitto». L’economia viene così «smantellata» dalle imprese che non reinvestono i profitti. È quanto denuncia la Confederazione europea dei sindacati (Ces) con un’analisi svolta sui dati ufficiali dell’Ue forniti da Eurostat. Secondo i sindacati europei, gli amministratori delegati delle società che attuano il cosiddetto “Asset-stripping”, cioè la pratica di vendere parti delle attività di un’impresa o destinarle a usi diversi da quelli originali per realizzare un guadagno nel breve termine, «stanno indebolendo l’economia europea non riuscendo a reinvestire i maggiori profitti».

I dati evidenziano infatti come, dopo la pandemia, le aziende di tutta l’Ue abbiano aumentato i propri profitti in termini reali e la loro quota di profitti sul Pil del 4%, mentre il tasso di investimento lordo è diminuito del 5% in tutta Europa. Una tendenza, osserva la Ces, replicata in 11 Stati membri, con le differenze più estreme in Irlanda, dove gli investimenti sono diminuiti del 63% nonostante la quota di profitti sia cresciuta del 6%, e in Danimarca, dove gli investimenti sono diminuiti del 7% nonostante una quota di profitti in aumento del 15%.

Così «invece di reinvestire, le aziende hanno distribuito maggiori profitti agli azionisti attraverso pagamenti di dividendi record, che sono aumentati fino al 95% in tutta Europa rispetto allo scorso anno» denuncia lo studio della Ces, sottolineando come l’aumento della quota di profitto significhi «automaticamente» una quota inferiore di reddito destinata ai salari (tasse sulla produzione a parte) e un conseguente aumento ulteriore della «disuguaglianza di reddito tra i consigli di amministrazione e i reparti di produzione».

Danni alla produttività e meno posti di lavoro
Una strategia, quella messa in atto da molte imprese, che comporta altre conseguenze preoccupanti evidenziate dall’analisi della Ces: «Anche il valore dei salari esistenti dei lavoratori sta diminuendo a causa dell’inflazione, che, secondo i dati della Banca centrale europea, è determinata principalmente dall’aumento dei margini di profitto aziendali». Il mancato reinvestimento dei profitti, poi, «danneggerà anche la produttività, significherà la creazione di meno posti di lavoro e lascerà le aziende impreparate ad una futura recessione economica». Tutte ragioni che portano la Confederazione europea dei sindacati a chiedere ai responsabili politici europei e nazionali di ripristinare la responsabilità delle imprese attraverso alcuni chiari interventi: «Imporre tasse straordinarie sugli utili societari in eccesso. Sostenere la contrattazione collettiva a livello nazionale e settoriale, garantendo la possibilità di ricevere denaro pubblico solo alle aziende che stabiliscono retribuzioni e condizioni attraverso negoziazioni con i sindacati. Mettere condizioni sociali sul denaro pubblico che impongano alle aziende di dare priorità alla creazione di posti di lavoro di qualità, invece di reindirizzarli semplicemente per aumentare i dividendi».

L’analisi dei dati forniti da Eurostat mostra come ci sia stato «un completo crollo del senso di responsabilità aziendale nei consigli di amministrazione europei: invece di reinvestire nella produttività o creare nuovi posti di lavoro, gli amministratori delegati hanno semplicemente dirottato i profitti dall’economia ai conti, spesso offshore, di azionisti già ricchi» ha dichiarato la segretaria generale della Ces, Esther Lynch. Gli amministratori delle società, ha aggiunto Lynch, «stanno venendo meno alla loro responsabilità di “riparare il tetto mentre splende il sole”, lasciando le aziende maggiormente a rischio di collasso se una recessione colpisse a causa degli aumenti record dei tassi di interesse della Bce. Nel frattempo i lavoratori ricevono una quota minore della ricchezza che creano nonostante l’aumento dei prezzi».

Così, ha concluso la segretaria generale della Ces, «i leader europei e nazionali devono fermare lo svuotamento della nostra economia e sostenere la contrattazione collettiva, come il modo migliore per ripristinare un certo equilibrio tra consigli di amministrazione e lavoratori».

Nell’Ue in crisi la qualità del lavoro
Altri dati messi sotto osservazione dalla Ces sono quelli relativi all’occupazione pubblicati recentemente da Eurostat, che hanno evidenziato un aumento del tasso di occupazione nell’Ue. Secondo l’Ufficio statistico europeo, infatti, nel secondo trimestre del 2023 nell’Ue erano occupate 195,2 milioni di persone, corrispondente a un tasso di occupazione destagionalizzato per le persone di 20-64 anni del 75,4%, in aumento rispetto al 75,3% del primo trimestre. Nello stesso periodo nell’Ue è diminuito anche il «ristagno totale destagionalizzato del mercato del lavoro» sostiene Eurostat, ovvero il bisogno di lavoro insoddisfatto, attestatosi a 23,9 milioni di persone cioè all’11,2% della forza lavoro, rispetto all’11,3% del trimestre precedente. La sua «componente principale», la disoccupazione, con 11,9 milioni di persone si è attestata a un tasso del 5,7%, in calo rispetto al 5,8%, del primo trimestre 2023.

In realtà, secondo la Ces l’Ue è interessata da una crescente crisi della qualità del lavoro, perché «nonostante i dati mostrino un aumento del tasso di occupazione, il numero totale di ore lavorate dalle persone è recentemente diminuito» ha spiegato la segretaria generale Esther Lynch, secondo la quale «ciò indica un’economia costruita su un lavoro precario e di scarsa qualità che non offre orari, retribuzioni o condizioni su cui le persone possono costruire una vita dignitosa. Cosa che sta contribuendo alla carenza di manodopera in Europa di cui la presidente von der Leyen ha parlato nel suo discorso sullo stato dell’Unione». La Ces ritiene dunque necessario che la Commissione europea contribuisca «a rendere l’Europa un posto migliore in cui lavorare, rendendo la contrattazione collettiva, preferibilmente a livello settoriale, un prerequisito per il finanziamento pubblico. Questo è il modo per garantire che le persone possano negoziare orari e redditi sicuri».