Cinema e lavoro nel 1983

Milano, 12.01.2011

Un
anno che, oltre a consegnarci l’ultima opera di Truffaut (Finalmente
domenica!
) che morirà l’anno successivo si caratterizza per poche opere veramente significative. Da segnalare tra i film dell’anno  Furyo di Nagisha
Oshima
, il dissacrante  Il senso della vita
dei Monty Python, l’opera di Coppola Rusty
il selvaggio
, la scoperta del regista Terence Davies con la storia tutta omosessuale
di Terence Davies Trilogy ed il Woody Allen
di Zelig, uno dei film memorabili sulla cultura del successo in quel degli Stati Uniti.
Da noi l’opera più significativa è vista soprattutto dai milanesi che possono ammirare in più occasioni il documentario di
Olmi
Milano ’83, un film senza commenti ma con splendide immagini ed un montaggio da
manuale.

I maggiori successi al botteghino vanno a due opere
americane: l’episodio di Guerre Stellari Il ritorno dello Jedi e Voglia
di tenerezza
, film strappalacrime premiato con 5 oscar. Questo per sottolineare la crisi del nostro cinema anche dal punto di vista
economico dato che, anche sotto il profilo del nostro tema, non brilla molto.

"Cinema

La pellicola più significativa che parla di lavoro arriva infatti dagli
Usa ed è la storia di una sindacalista che lavora in una azienda che produce materiale radioattivo e che, in seguito alle sue denunce,
verrà uccisa. Si tratta di Silkwood per la regia di Mike
Nichols.
Altre pellicole che trattano di economia e lavoro il cinema americano ce le consegna anche se a loro difficilmente arride
il successo del botteghino. Forse l’unica che conquista un certo numero di spettatori è Una
poltrona per due
di John Landis che punta a dimostrare come anche un uomo di colore
spiantato e senza nessuno studio può benissimo sostituire (anche se qui per la scommessa di due finanzieri) un manager rampante. Pochissimo
visto, anche perché realizzato per la Tv, il film Cuore d’acciaio (Heart of Steel) di Donald Wyre, storia di un disoccupato metalmeccanico che si ribella al "sogno americano" e
che rappresenta un bel ritratto dei drammi che vive la classe operaia americana. Prima di lasciare gli Usa segnaliamo un film poco
conosciuto come Soldi facili per la regia di James
Signorelli
. Si tratta di una divertente commedia su un proletario non proprio dedito al lavoro che si trova alle prese con una
bella eredità.

Dal
Giappone arriva un film che è la rilettura di un classico già girato 25 anni prima ma che racconta in modo penetrante il dramma della
fame in una comunità montanara nel nord del paese. Si tratta de La ballata di Narayama
di Shohei Imamura che conquista anche la Palma d’oro a Cannes. Il film è anche un documento
etnografico e zoologico su una realtà che è condizionata dal culto della natura.

Arriviamo in Europa partendo dall’Inghilterra che
ci consegna un paio di opere, ambedue ambientate in Scozia, che hanno a che fare col  tema
del lavoro e dell’economia: Another Time, Another Place 
e Local Hero. Il primo, girato da Michael
Radford
, si svolge durante la seconda guerra mondiale quando dei prigionieri italiani sono adibiti a lavori agricoli e si trovano
alle prese con un’altra cultura. Film pluripremiato che affronta anche il tema delle forma di repressione sociale. Il secondo è una
favola anticapitalistica sulla resistenza di un vecchio nei confronti di una società petrolifera che vorrebbe acquistare la sua terra
per installare una raffineria. Il regista è Bill Forsyth

"Cinema

E veniamo alla Francia dove Robert
Bresson
gira la sua ultima sublime opera: L’Argent. Unico film del grande regista che
ha come protagonista un operaio alle prese col denaro (in questo caso una denuncia per spaccio di banconota falsa) rappresenta una
sfida allo spettatore per sintesi e rigorosità ma rappresenta anche uno dei vertici della denuncia di un mondo assillato dal denaro.

Dalla
Francia arriva anche Rue Cases Nègres della martinicana Euzhan
Palcy
sulla dignità del popolo della sua isola e sulla importanza dell’istruzione per uscire dalla povertà.

Lo
svizzero Claude Goretta invece ci racconta la vicenda di un operaio italiano vittima di
un incidente stradale ne La morte di Mario Ricci, 
che è valso al nostro Gian Maria Volontè il premio a Cannes. Un film che parla di  razzismo
quando le parti, rispetto all’oggi, erano invertite e gli operai italiani erano le vittime.

Dall’Italia, come si diceva, ben poco.

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La scomparsa di un operaio dell’Italsider, apparentemente
suicidatosi dopo essere stato licenziato,  è la molla che dà l’avvio alla commedia di Nanni Loy sul degrado napoletano (una Napoli in cui è diventato impossibile avere o trovare
un’identità)  raccontato in Mi manda Picone;
film più che dignitoso anche se a volte cade nel grottesco. Meno riuscito invece Mani di fata
di Steno dove un ingegnere si trova disoccupato a seguito della crisi petrolifera e decide
di sostituire la domestica di casa seguendo i programmi radio per le casalinghe. Di contro la moglie, che invece ha un buon lavoro
ed una carriera, diventa "l’uomo di casa".

Nient’altro da segnalare dal nostro cinema. Un anno magro anche sul versante
del cinema sociale durante il quale i successi al botteghino del nostro cinema rispondono a titoli come La
chiave
di Tinto Brass o Sapore di Mare e Vacanze di Natale di Carlo Vanzina. E’ l’inizio
dei cinepanettoni….