Cinema e lavoro nel 2002

Milano, 2.11.2016

Il 2002 vede, dal punto di vista economico e del lavoro, l’entrata in circolazione della moneta unica europea, il default dell’Argentina, la rottura tra Cgil e Cisl/Uil e la crisi della Fiat.
La stagione cinematografica premia i secondi capitoli di alcuni dei film “seriali” come Harry Potter e la Camera dei segreti di Chris Columbus o Il signore degli anelli – Le due torri di Peter Jackson. Jackson tra l’altro aveva già programmato la serie  girando il materiale per 3 film come se fosse uno solo. Altro successo il solito cinepanettone Natale sul Nilo di Neri Parenti. Buoni incassi anche per Il mio grosso grasso matrimonio greco del quale accenneremo parlando di lavoro.
Dal punto di vista della qualità si registrano film importanti come il musical Chicago di Bob Marshall, Arca russa di Aleksandr Sokurov, Il pianista per la regia di Roman Polanski, L’ora di religione di Marco Bellocchio, Parla con lei di Pedro Almodóvar ed una piccola commedia intelligente come Tadpole – Un giovane seduttore a New York di Gary Winick. Interessante anche la lettura degli avvenimenti dell’11 settembre 2001 da parte di 11 registi di cultura diversa attraverso corti  di identica durata (11′, 9” e 1 fotogramma) nel film avente lo stesso titolo della tragica data. Notevole anche  Il figlio dei fratelli Dardenne del quale ci occuperemo più avanti.
 
Passando al tema lavoro ed economia eccoci al solito excursus partendo dagli Usa. Pochi i film veramente importanti da registrare nel mercato americano. Il migliore è probabilmente Secretary di Steven Shainberg che ha come eroina una segretaria dattilografa alle prese con il lavoro nello studio di un avvocato maniaco della pulizia e che imposta tutto il loro rapporto come quello tra un padrone ed un servo. Trattandosi di una commedia termina con il classico happy end ma rappresenta comunque uno delle più originali opere post-femministe che si occupa di mobbing.
Da segnalare anche il film che ha come protagonista Eminem, uno dei cantautori più noti del periodo, che prende il titolo (8 Mile) da una strada di Detroit e ne fa come protagonista un operaio carrozziere in quella che fu la capitale dell’auto ed ora sopravvive grazie a lavori oramai residuali con gravi problemi occupazionali nel settore. Il film, diretto da Curtis Hanson, si caratterizza per il ritmo musicale (il nostro di notte fa il rapper) ma anche per la descrizione della miseria della periferia e delle situazioni familiari tragiche.
Ottimo il risultato al botteghino del film di Joel Zwick Il mio grosso grasso matrimonio greco anchese meno riuscito dei due segnalati precedentemente. Va comunque citato in quanto parla della seconda generazione di immigrati e della ricerca del lavoro. Film divertente ma un poco macchiettistico su una cultura dove apparentemente vi sono le figure dei padri/padroni ma chi comanda veramente sono le donne.
Sempre di immigrazione e di lavoro parla la commedia Le donne vere hanno le curve della regista colombiana Patricia Cardoso che però ambienta la vicenda tra gli immigrati messicani raccontando il passaggio della giovane ed intelligente protagonista (in soprappeso come si evince dal titolo)  dal duro lavoro in una sartoria alla conquista di una borsa di studio che la farà approdare all’università.
Anche il lungometraggio di Rebecca Miller Personal Velocity – Il momento giusto si occupa di protagoniste femminili sul lavoro alle prese con vicende familiari. In particolare segue i casi di una operaia e di una impiegata in una casa editrice.
Altre commedie non particolarmente riuscite ambientate in luoghi di lavoro sono Duetto a tre di Jordan Brady e Wisegirls – Scelte d’onore di David Anspaugh.
 
Passiamo alla animazione giapponese che ci regala per la regia di Tarô Rin una specie di riedizione del capolavoro di Fritz Lang Metropolis. Anche qui una città a strati dove i ricchi vivono nella parte alta sostenuti dal lavoro di schiavi robot nei sotterranei. In questo caso il leader  vuole conquistare tutta la terra. Cartoon affascinante per la grafica ma lontanissimo dalla poesia dell’opera di Lang. Adattato alla contemporaneità con una distruzione dello Ziggurat che ricorda la caduta delle torri gemelle.
 
Eccoci ora in Finlandia alle prese con il film di Aki Kaurismäki che ha conquistato il premio della giuria a Cannes. Si tratta de L’uomo senza passato, un film critico nei confronti del liberismo e della società basata sul profitto che racconta la vicenda di un uomo che ha perso la memoria dopo essere stato lasciato quasi moribondo da una banda di rapinatori. Troverà la solidarietà solo tra i poveri ed una ragazza dell’Esercito della Salvezza. Film che si schiera, contrariamente ad altri dell’autore, a favore della positività della vita ed al   diritto alla dignità umana, nonostante tutto.
 
Dalla Gran Bretagna quattro bei film che hanno a che fare con il nostro tema almeno tangenzialmente. Il primo, vincitore a Venezia, è Magdalene di Peter Mullan. Film di stampo dickensiano ma ambientato negli anni sessanta, racconta tra l’altro dello sfruttamento sul lavoro delle ex prostitute, delle ragazze che hanno avuto figli fuori dal matrimonio e delle orfane mandate nei conventi strutturati come carceri gestiti dalle Sorelle della Misericordia dove vengono spogliate di ogni identità e la carità cristiana diventa negazione della condizione umana.
Una storia di emigrazione per motivi economici è invece il film di Michael Winterbottom, vincitore al festival di Berlino, Cose di questo mondo che racconta il tragico viaggio di due ragazzi pakistani dal campo profughi di Peshawar a Londra attraversando Iran, Turchia, Italia e Francia. Un film che va oltre la pura cronaca per mostrare le sofferenze delle persone e denunciare le situazioni che spesso ci vedono indifferenti.
Ancora di immigrati parla Piccoli affari sporchi di Stephen Frears dove protagonista è un nigeriano clandestino che fa sia il taxista che il portiere di notte e si trova alle prese con il mercato clandestino del commercio degli organi umani come ultima chanches  per recuperare i soldi per sopravvivere. Un film che affronta il mondo della immigrazione in una grande città come Londra dove nascondersi e lavorare è possibile purché disposti a farsi sfruttare con una paga minima.
L’ultimo film porta la oramai classica firma di Ken Loach e si intitola Sweet Sixteen e parla del post thatcherismo in una zona tra le più depresse della Scozia. Segue le vicende di un ragazzo che si fa spacciatore per assistere la madre tossicodipendente i uscita dal carcere. Seppur in secondo piano non manca la dimensione sociale determinata dalla crisi economica.
 
Dalla Spagna un film utilizzato anche in alcuni corsi sindacali su cinema e lavoro. Si tratta de I lunedì al sole, quelli trascorsi da quattro operai della Galizia disoccupati dopo la riconversione dei cantieri navali di Vigo. Il tutto raccontato senza una dimensione vittimistica ma che mette in evidenza i disastri del capitalismo senza eccedere negli aspetti ideologici. Un film, quello diretto da Fernando León de Aranoa, sulla dignità umana che sfida lo stato di disoccupazione e di solitudine pur nella tragedia della perdita del lavoro che porterà uno dei protagonisti a farla finita con la vita. Si tratta comunque di un film coraggioso perché racconta il dolore  senza mai cadere nella commiserazione.  Un’opera tenera ed amara vincitrice del Festival di San Sebastian.
 
Anche la Francia ci consegna opere significative: anzitutto la coproduzione belga Il figlio dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne. Una falegnameria come centro di formazione con un proprietario che accetta di fare da tutore ad un ragazzo uscito dal riformatorio.  La scoperta che lo stesso è stato l’assassino del figlio del proprietario è lingrediente del racconto dei fratelli belgi. Un film etico particolarmente espressivo fatto di sguardi che dicono molto dei personaggi, raccontandone anche l’angoscia degli stessi. Un racconto “morale” sul tema del male e della redenzione.
In coproduzione con l’Italia è invece Lunedì mattina del regista georgiano Otar Iosseliani che segue la vicenda di un operaio chimico, alle prese con il tran-tran quotidiano, che cerca la felicità fuggendo dal lavoro e dalla famiglia, salvo poi ritornarvi per riprendere il lavoro. Film sulla solitudine ma anche sulla organizzazione del lavoro che toglie tempo alle persone spesso umiliandole.
La solitudine è anche uno dei temi di Bord de mer – In riva al mare di Julie Lopes-Curval. Qui l’ambiente è quello di una vecchia fabbrica che esporta i sassi della spiaggia. Nell’azienda lavora Maria alle prese con le preoccupazioni del fidanzato per una madre che sperpera la pensione nelle slot-machine. Un film lento e delicato dove sono importanti i silenzi quanto le parole che ha vinto il premio per la miglior opera prima a Cannes.
Altra coproduzione, questa volta con la Mauritania, è  Aspettando la felicità del regista africano Abderrahmane Sissako  L’opera analizza i sogni e le difficoltà dei ragazzi in attesa di partire per la Spagna o la Francia parcheggiati a Nouadhibou, una cittadina di transito nell’emigrazione in Mauritania. Lo fa attraverso lo sguardo di un giovane ritornato dall’Europa per visitare la madre.
 
E veniamo al nostro paese per segnalare alcuni interessanti film. Iniziamo con l’opera prima di Daniele Vicari ambientato nel mondo delle corse clandestine. Si intitola Velocità massima e segue le vicende di un meccanico diciassettenne che lavora in una officina sul lido di Ostia gestita da un appassionato appunto delle corse notturne illegali. Un film sul proletariato giovanile e sul popolo delle corse girato in modo semplice ma efficace. Il passaggio dal documentario al lungometraggio di Vicari si apre con buone prospettive che non verranno deluse.
Maggiormente presente la componente psicanalitica nell’opera di Silvio Soldini Brucio nel vento che racconta di un giovane operaio in una fabbrica di orologi svizzera che si nasconde sotto falso nome dopo che crede di aver ucciso il padre per difendere la madre   prostituta. Incontrerà come donna della sua vita la sorellastra, madre di un bimbo, con i relativi problemi.
Sul tema della finanza va invece segnalato il film di Giuseppe Ferrara sugli ultimi mesi di vita del presidente del Banco Ambrosiano in I banchieri di Dio – Il caso Calvi. Il racconto dei rapporti tra finanza, camorra, Opus Dei, servizi segreti e loggia P2. Un film che alla sua uscita fu oggetto di polemiche con anche una richiesta di sequestro poi rientrata. Il limite del film sta nella dimensione tipo inchiesta televisiva con molte testimonianze ma poca linearità.
Il malessere in una Milano dove le fabbriche erano in abbandono e nella ribellione dei centri sociali trovava la sua essenza era il soggetto di Forza cani della regista Marina Spada. Un esperimento di cinema indipendente finanziato collettivamente; infatti il film fu distribuito solo nei circuiti alternativi ma sapeva raccontare l’emarginazione dei giovani senza lavoro.
Un operaio dal cuore d’oro occupato in una fabbrica di vernici con conseguenze polmonari a causa del lavoro   è uno dei protagonisti di Due amici dei registi Spiro Sciamone e Francesco Sfarmeli. Un film, presentato alla settimana   della critica al festival veneziano, tratto da un testo teatrale su due siciliani di Messina emigrati al nord dove condividono un appartamento. Due personaggi diversi che riescono a confrontare la comicità con il dramma.
Meno riuscito invece un film su un emigrante albanese che lavora in Abruzzo e viene denunciato come clandestino per aver sedotto la moglie di un amico che finirà nel giro dello sfruttamento della prostituzione. Si tratta de L’italiano per la regia di Ennio De Dominicis

 

Terminiamo con un documentario sulla lotta di un operaio contro il Petrolchimico di Porto Marghera. Si intitola Porto Marghera, Venezia: un inganno letale per la regia di Paolo Bonaldi, Un film anch’esso diffuso solo ei circuiti alternativi che poneva il tema della salute in azienda e delle morti dovute alla esposizione a sostanze tossiche.