Milano, 16.4.2021
Il 2016 è stato un anno di grandi cambiamenti a partire dalla vittoria di Trump fino alla vicenda Brexit.
La stagione cinematografica ha premiato, nella classifica degli incassi, film legati ai fumetti ed ad elementi fantastici come Animali fantastici e dove trovarli che David Yates ha tratto da un libro e relativa sceneggiatura di J.K. Rowling (l’autrice di Harry Potter); Batman v Superman: Dawn of Justice di Zack Snyder, Captain America: Civil War con la regia di Anthony e Joe Russo. Anche il film di animazione L’era glaciale – In rotta di collisione diretto da Mike Thurmeier e Galen T. Chu è risultato ai primi posti e si è ben piazzata anche la pellicola di Clint Eastwood Sully. Tutti film provenienti dal mercato americano. Tra gli italiani da segnalare una buona performance di Quo Vado? interpretato da Checco Zalone (del quale parleremo più avanti) e del film di Paolo Virzì La pazza gioia. Sully e La pazza gioia sono anche tra i film di qualità al primo posto nell’anno. A questi vanno aggiunti The Hateful Eight di Quentin Tarantino alle prese con il genere western; Il medico di campagna del francese Thomas Lilti (anche di questo ne riparliamo) e, purtroppo snobbato dal pubblico, l’opera del nostro Claudio Giovannesi intitolata Fiore. Anche l’animazione francese si è imposta con La mia vita da zucchina di Claude Barras e La tartaruga rossa di Michael Dudok de Wit. Tra i film provenienti da altri paesi da segnalare due film argentini: Il cittadino illustre per la regia di Mariano Cohn e Gastón Duprat e Neruda di Pablo Larraín ed il film israeliano Una settimana e un giorno del regista Asaph Polonsky.
Ma veniamo al nostro tema: il lavoro e l’economia partendo come sempre dall’America. Nessuna pellicola di particolare rilevanza dal mercato americano se non un film sui diritti umani dei lavoratori neri nelle piantagioni nel 1864 quando viene fondata una contea cristiano-socialista (episodio raccontato da Gary Ross nel film Free State of Jones che è stato un flop in patria), un film sul mestiere dello scrittore in Genius di Michael Grandage e Suffragette, film che parla della ribellione delle lavandaie sfruttate ad inizio del ‘900 e della lotta delle donne per il diritto di voto e della dignità del lavoro. Suffragette è diretto da una regista che risponde al nome di Sarah Gavron. Tra i film che parlano in un certo senso di lavoro possiamo segnalare Io prima di te su una ragazza che viene assunta da una ricca famiglia per occuparsi del figlio paralizzato in attesa di un suicidio assistito. Il film, diretto da Thea Sharrock, è interessante perché mostra come l’entusiasmo può essere contagioso anche se non si hanno i requisiti previsti. Tra le pellicole prodotte in America vi è anche la storia della nascita della nuova forma di ristorazione di quella che sarà la catena McDonald. Il film si intitola The Founder ed è diretto da John Lee Hancock. La vicenda di un reale scandalo finanziario agli inizi degli anni ’90 è alla base di Gold – La Grande Truffa per la regia di Stephen Gaghan ma si tratta di un’opera che strizza l’occhio più all’avventura che alla vicenda economica. La storia di un imprenditore che va in crisi quando la figlia ribelle perde la vita in un attentato terroristico è alla base di American Pastoral di Ewan McGregor ma anche qui si tratta di un’opera irrisolta. Insomma da questa cinematografia niente di particolarmente rilevante in ordine al nostro tema ad esclusione forse di Suffragette.
Un salto in Asia ed in particolare in Corea per prendere nota di due film che affrontano, pur appartenendo a generi diversi, i problemi sociali ed economici di quel paese. Il primo si intitola Pandora ed è diretto da Park Jong-woo. Si tratta dell’esplosione di una centrale nucleare (una specie di riferimento a Fukushima) e dell’incapacità del governo, che privilegia le scelte economiche alla salute dei cittadini, di affrontare la realtà. Il secondo è un bel film di animazione: Seoul Station di Yeon Sang-ho che parla di una invasione di zombi che diffondono una epidemia attraverso dei morsi partendo dalle persone senzatetto. Dietro la vicenda si legge la differenza di classe e la scelta del potere di definire le sorti di chi vuole che sia soppresso. Due film quasi profetici se si considera che tre anni dopo saremo alle prese con un virus come il Covid ed alle scelte tra proteggere la salute o le compatibilità economiche.
Approdiamo ora in Europa nell’Inghilterra della brexit e soprattutto della burocrazia che vede in coda ad uno sportello due personaggi: un falegname vedovo in cerca di sussidio statale e la madre di due bambini alla ricerca di lavoro. Dalla loro amicizia nasce lo spunto per il bel film di Ken Loach che afferma la dignità delle persone in lotta per la casa ed il lavoro. Il titolo dell’opera del regista inglese, premiata con la Palma d’oro a Cannes, è Io, Daniel Blake e rappresenta anche un inno alla solidarietà contro il disagio della solitudine. Insomma Loach fa ancora centro nel raccontare i danni del liberalismo e della riduzione dello stato sociale. Da segnalare anche un altro film inglese che parla della crudeltà dei rapporti di classe e della sottomissione femminile nelle realtà rurali come Lady Macbeth di William Oldroyd.
La produzione belga vede la presenza dei registi Jean-Pierre e Luc Dardenne con la loro visione verso una umanità indifferente ben rappresentata da La ragazza senza nome. L’indifferenza purtroppo colpisce anche il mercato che penalizza il film. La storia è quella di una dottoressa che sta per terminare la sua occupazione presso un ambulatorio in attesa di un nuovo lavoro. Una notte, ad ambulatorio chiuso, sente il campanello suonare ma decide di non aprire. Al mattino scoprirà il cadavere della donna che ha suonato inutilmente. Inizia così un film che si sviluppa come un giallo ma soprattutto che mostra come l’umanità sia distaccata dai problemi anche quando si parla dei colleghi medici.
Dalla Francia arrivano alcune pellicole interessanti in ordine al nostro tema a partire dalla descrizione del lavoro del medico (o meglio di quello che era, visto che di medici simili non ne esistono più) fatta da Thomas Lilti ne Il medico di campagna.
Altro medico, questa volta del lavoro, è protagonista di un film, giunto sui nostri schermi l’anno successivo, che racconta il tentativo di sensibilizzazione nei confronti dei capi di un’azienda ove lo sfruttamento del lavoro è ai livelli più alti e sotto la patina dell’efficienza si nasconde la disumanità. Il film Carole Matthieu diretto da Louis-Julien Petit si ispira alla vicenda dei suicidi per stress avvenuti nel quartier generale di France Telecom.
Anche Merci Patron! diretto da Francois Ruffin arriva in ritardo da noi ed è snobbato mentre merita una considerazione dal momento che è un documentario che racconta della delocalizzazione di una società della moda e della cosmesi e di come i costi sociali si scaricano sulle persone più indifese a partire dalla perdita del lavoro.
Arriviamo dunque alla produzione nazionale segnalando alcune opere interessanti alcune premiate dalla critica ed anche dal pubblico. Partiamo con Quo vado? di Gennaro Nunziante con Checco Zalone. Il nostro è un dipendente della provincia che è stata abolita e viene spedito al Polo Nord. La storia si presta per una satira sul posto fisso, il mammismo e l’intrallazzo nella cultura del nostro paese. Importante quindi non per la storia in sé ma per la denuncia attraverso gustose battute del qualunquismo e del razzismo. Rivisto a distanza anche l’accusa di populismo di certa critica si attenua mentre resta l’ironia.
Il consiglio di fabbrica di una azienda tessile acquistata da una multinazionale è il protagonista del film di Michele Placido intitolato 7 minuti. I minuti del titolo sono quelli che l’azienda chiede alle donne di rinunciare nella loro pausa pranzo per garantire l’occupazione. Attorno a questa richiesta si scatena il dibattito tra posizioni contrastanti: chi ritiene questo un sacrificio accettabile pur di evitare licenziamenti e chi pensa che sottostare al ricatto del padrone le renderà più deboli nel futuro. Il film è ispirato ad una vera vicenda avvenuta in una azienda francese.
Di economia parla invece il film di Roberto Andò Le confessioni. Al centro del racconto una riunione del Fondo Monetario Internazionale con i ministri del G8 per approvare un piano finanziario per il rilancio dell’economia mondiale. Il piano prevede anche problematiche di tipo etico ed uno sconosciuto frate presente all’incontro sarà al centro delle confessioni. A questo si aggiunga che il direttore del FMI viene trovato morto … insomma tutti gli ingredienti per un dramma con risvolti gialli.
Un progetto innovativo da finanziarsi attraverso una raccolta fondi è sviluppato da un ingegnere informatico disoccupato e dalla sua compagna insegnante precaria. Per la raccolta fondi però si faranno promesse che mettono in discussione la propria dignità. E questo il tema di Che vuoi che sia per la regia di Edoardo Leo.
Nell’excursus del film italiani dell’anno non va dimenticato il film vincitore dell’Orso d’oro a Berlino e premiato da Amnesty International. Si tratta di Fuocoammare diretto da Gianfranco Rosi. Descrive il lavoro del dott. Bartoli, medico di Lampedusa ed il salvataggio e l’assistenza dei profughi sui barconi denunciando l’insensibilità del potere e la terribile quotidianità fuori dal sensazionalismo giornalistico.
C’è anche chi, in modo adolescenziale, combatte una battaglia contro il lavoro. Sono tre amici protagonisti di The Pills – Sempre meglio che lavorare di Luca Vecchi. Il gruppo va in crisi quando uno di loro trova un lavoro. Si tratta di un film surreale che nasce dal successo sia su YouTube che in Tv di alcune “pillole” soprattutto tra i giovani.
Massimo Gaudioso invece si dedica al remake di un film francese sugli effetti della chiusura di una miniera con relativa disoccupazione e cassa integrazione. La prospettiva legata all’apertura di una nuova fabbrica richiede però alcune condizioni compresa la presenza di un medico che nel paese non c’è mai stato. Titolo del film, in realtà non totalmente riuscito, è Un paese quasi perfetto.
Chiudiamo la rassegna con la segnalazione di due opere. La prima è un documentario che si intitola Le ultime cose ed è diretto da Irene Dionisio che va a leggere le vicende delle persone costrette ad impegnare i loro beni per poter sopravvivere. Ambientato nel banco dei pegni di Torino è una lettura della povertà sempre più estesa.
La seconda è una serie televisiva dal titolo Rimbocchiamoci le maniche per la regia di Stefano Reali. Protagonista della serie è un’operaia che lavora in una azienda in liquidazione che decide di candidarsi a sindaco del paese per affrontare i problemi della comunità.