Cinema e Lavoro – Se chiudo gli occhi non sono più qui

Un film di Vittorio Moroni (Italia 2013)

Milano, 10.11-2020

Regia: Vittorio Moroni – Sceneggiatura: Vittorio Moroni, Marco Piccarreda – Fotografia: Massimo Schiavon, Andrea Caccia – Montaggio: Marco Piccarreda – Scenografia: Fabrizio D’Arpino – Costumi: Grazia Colombini –Musica: Mario Mariani – Interpreti: Giorgio Colangeli, Giuseppe Fiorello, Mark Benedict Bersalona Manaloto, Hazel Morillo, Anita Kravos, Elena Arvigo, Ivan Franek, Stefano Scherini, Ignazio Oliva – Produzione: 50N in collaborazione con Rai Cinema – Distribuzione: Maremosso, Lo Scrittoio – Durata: 100’.

Kiko, 16 anni, ha perso il suo adorato padre in un incidente stradale e vive con la madre Marilou e il suo nuovo compagno Ennio al piano superiore di un bar-stazione di benzina nella periferia friulana. E’ il padre defunto ad aver indirizzato Kiko agli studi e al liceo scientifico e ad avergli trasmesso l’interesse per l’astronomia. Kiko va male a scuola, perché costretto da Ennio a lavorare ogni pomeriggio in cantiere. Ennio è infatti un caporale che sfrutta lavoratori edili clandestini, alloggiati in un dormitorio adiacente la loro casa. L’abitazione è una specie di accampamento costantemente attraversato dal vociare e dai litigi di gente scontenta. E’ la madre Marilou a prendersi cura dei clandestini: innamorata di Ennio, che si è fatto carico dei debiti del defunto marito, è in dolce attesa e si schiera sempre con il compagno nei litigi con Kiko, contrario alla relazione della madre e scontroso. Questa situazione non lascia a Kiko né il tempo né l’energia per studiare: a scuola qualche insegnante si è accorto che Kiko ha una bella testa, ma non riesce a cambiare la situazione e il ragazzo rischia la bocciatura per il secondo anno consecutivo.
L’unico spazio davvero intimo che Kiko possiede è un vecchio autobus abbandonato in una discarica. È lì, in questo luogo ignorato da tutti, che il ragazzo spesso si nasconde per sfuggire un mondo devastante, per inventarne uno segreto e magico dove “dialogare” con suo padre. Kiko si serve dell’eredità che Jacopo, suo padre gli ha lasciato – la passione per l’astronomia- per alimentare la speranza che il progresso scientifico consenta presto all’umanità di percorrere il tempo a ritroso. E’ l’illusione estrema di poter rivivere alcuni attimi indimenticati con suo papà. La vita di Kiko sembra destinata a soccombere finché, un giorno, l’incontro con Ettore sembra poter rimescolare le carte del suo destino. L’uomo dice di essere un insegnante in pensione e un vecchio amico del padre e si propone come suo maestro: inizialmente il ragazzo è molto restio e sospettoso, ma col tempo la frequentazione di quell’uomo diviene sempre più profonda e irrinunciabile. Si apre per Kiko la porta di una “nuova scuola”, parallela al liceo che frequenta, che parte dai suoi bisogni più profondi anziché dai protocolli ministeriali. Comincia l’avventura della conoscenza, la scoperta di segreti che si rivelano giorno dopo giorno più potenti, entusiasmanti e decisivi. Kiko comincia a capire che dai libri non arrivano solo nozioni, ma possibili risposte alle sue angosce, ai suoi interrogativi più urgenti. Ed è proprio grazie a Ettore che Kiko trova il coraggio di lottare per dare una forma autentica alla propria vita, per pretendere di poter vivere la propria adolescenza senza rinunciare alla speranza di conoscere innanzitutto se stesso e le proprie potenzialità. Kiko impara il concetto di umanità: guardare agli altri a partire dalla consapevolezza di essere un’unica cosa. Il destino, però, non ha esaurito le proprie sorprese e Kiko dovrà confrontarsi con una scoperta terribile che lo metterà davanti ad una scelta difficilissima.

Le alternative tra studio e lavoro, lo spaesamento tra culture diverse, il rapporto tra le generazioni e lo sfruttamento lavorativo dei clandestini nell’interessante e realistico film di Moroni. Alla sua uscita fece un tour in alcune scuole per riflettere sull’abbandono scolastico ma poi dimenticato. Da riprendere…

LA CRITICA

È la storia di un’adolescenza tremante quella raccontata da Vittorio Moroni, la cronaca sincera e diretta di un’esistenza incerta, dispersa nella periferia friulana tra cantieri, scuola e una bar-stazione di benzina in cui, insieme all’anomala famiglia di Kiko, vive un gruppo di immigrati clandestini. Lavoro di accensioni e di inganni, di incontri e scontri, Se chiudo gli occhi non sono più qui si interroga su temi abnormi quali la solitudine dell’uomo di fronte all’universo (apertamente citato il Giacomo Leopardi di “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”), il bisogno di redenzione insito nel carattere umano, l’importanza di avere una guida nel momento cruciale della crescita. Anche a livello più basico il tiro rimane alto, perché ogni nuova circostanza narrativa nasconde in realtà una problematica più o meno centrale della contemporaneità: si va dall’integrazione degli adolescenti di seconda generazione allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina, dall’importanza della cultura alla dispersione scolastica. Nonostante un tale spettro tematico, il film gode comunque di una buona fluidità, di una distensione di racconto che è diretta conseguenza di una sceneggiatura (del regista e di Marco Piccarreda) ben costruita e sufficientemente credibile in tutta la progressione. In definitiva, Moroni convince con il ritratto di un adolescente sospeso in tutti gli ambiti a cui ha accesso: scuola, famiglia, amicizie. A ben vedere, Kiko riesce a vivere pienamente soltanto dentro ad un vecchio autobus dismesso, quasi un santuario eretto alla memoria del padre, dimora dell’affetto molto più di un bar-stazione che dovrebbe fare le veci di una casa vera. Attraversato da quella vena di malinconia che è tutt’uno con la giovinezza rappresentata, il lavoro rappresenta l’ingresso del regista valtellinese in un cinema più conciliato, ma non per questo meno interessante e coinvolgente. Dopo la presentazione al Festival Internazionale del Film di Roma 2013, è stato accorciato nel minutaggio, guadagnando in fluidità e coesione. (Marco Chiani – MyMovies)

In Se chiudo gli occhi non sono più qui – frase che esprime il disagio e la voglia di essere altrove del giovane protagonista – Vittorio Moroni racconta l’adolescenza di Kiko, un ragazzo a metà tra due paesi e due culture. Orfano del padre italiano, morto in un incidente, e lontano dalla sue radici filippine, è combattuto tra il desiderio di crescere in modo normale, studiando, e la necessità di lavorare al cantiere gestito dal nuovo compagno della madre, assieme ai suoi operai clandestini, per aiutarla a saldare i debiti lasciati dal marito. Kiko vive nella devozione al ricordo dell’uomo, un sognatore che gli ha trasmesso l’amore per l’astronomia, e ha trasformato un bus abbandonato nel suo rifugio segreto e in un santuario a lui dedicato. In questa situazione difficile si inserisce un misterioso e anziano amico del padre, un ex insegnante che prende il ragazzo sotto la sua ala e gli insegna a studiare e a pensare con la sua testa, a ribellarsi al patrigno e a vivere la sua vita. Ma anche lui non è quello che dice di essere e per Kiko è come essere tradito di nuovo. L’adolescenza è un territorio selvaggio, devastante e a volte devastato. Inizia ormai prima e si prolunga spesso al di là dei canonici “teens”, in una società che offre ai giovani sempre meno lavoro, padri e maestri. E’ in questo spazio – e in un Nordest che diventa una zona di confine dell’anima – che si situa la storia del nuovo film di un regista che ama dividersi tra documentario e finzione, spesso incrociandoli. Moroni ben rappresenta lo spaesamento e la confusione di un’età fragile, in un’epoca in cui si sono rotte le tradizionali barriere di sicurezza che traghettavano i ragazzi verso l’età adulta. Ben conosce la rabbia, il senso di impotenza e frustrazione, l’egoismo e il manicheismo di una fase della vita in cui si pongono le basi per il futuro adulto ma il mondo viene ancora diviso in bianco e nero. E’ questa la parte più riuscita del film, assieme alle ottime interpretazioni dei suoi attori, a partire proprio dal protagonista al debutto, Mark Manaloto, che sa rendere reale il suo Kiko con gesti ed espressioni mai forzati, facendo propri dialoghi e situazioni non sempre facili da interpretare. (Daniela Catelli – Coomingsoon)

NOTE DI REGIA

Se chiudo gli occhi non sono più qui rappresenta per me, dopo 5 anni di gestazione, una scommessa rivoluzionaria: con Marco Piccarreda lo abbiamo scritto come un film di finzione (19 stesure di sceneggiatura) e l’ho girato poi come un documentario.
Il protagonista, Kiko, è interpretato da un adolescente di origini filippine, Mark, scelto fra centinaia di coetanei. Con lui abbiamo lavorato 5 mesi prima delle riprese, addestrandolo a non fare nulla che non sentisse vero, investendolo del compito di modificare movimenti, battute, dinamiche, purché gli corrispondessero. Intorno a lui si è mossa una macchina a spalla sempre disponibile ad essere sorpresa, spiazzata, sfidata. La condizione di orfano per Kiko è un dato di fatto narrativo ma è anche una metafora della sua generazione. Kiko vive la sua adolescenza oggi, in un’Italia dove padri e nonni hanno sottratto la speranza di futuro a figli e nipoti. Kiko si trova non solo senza padre, ma anche senza maestri credibili in grado di aiutarlo a trovare la strada. Nessuna delle persone che si occupano di lui, compresa la madre, è capace di sognare con lui. E nessuno può crescere se non viene sognato. Kiko sente di essere in balia di un pianeta ingiusto. E non può fare a meno di aggrapparsi alla nostalgia di papà Jacopo, l’unica persona ad avere creduto in lui. Da suo padre ha ereditato una situazione economica disastrosa, ma anche un tesoro: l’istinto di alzare gli occhi al cielo e confrontarsi con la grandezza. Sarà grazie ad Ettore, un anziano maestro “sovversivo e greco” che Kiko imparerà a sperare e a lottare. Se chiudo gli occhi non sono più qui è un film sull’avventura della conoscenza, sulla potenza esplosiva che deflagra quando il sapere entra in contatto con la vita e il bisogno profondo di interrogarci intorno ad essa. Per questo è un film pieno di ottimismo, che crede nella trasformabilità della vita a partire dal sapere; anche nel giorno in cui, sulla terra, dovessero scomparire tutte le scuole, tutte le accademie e tutte le università. (Vittorio Moroni – Agiscuola)