Così ridevano

Milano, 4.4.2016

Regia Soggetto e Sceneggiatura: Gianni Amelio Fotografia:Luca Bigazzi Musiche: Franco Piersanti  Montaggio: Simona Paggi  Scenografia: Giancarlo Basili  Interpreti: Francesco Giuffrida, Enrico Lo Verso, Calogero Caruana, Davide Negro, Giorgio Pittau, Pasqualino Vona, Giuseppe Zarbano, Roberto Marzo, Giuliano Spadaro, Patrizia Marino, Giuseppe Sangari, Francesca Monchiero, Salvatore Refano, Giorgia Scuderi, Maria Terranova, Antonino Trigilia, Michele Trigilia, Alessandro Bretti, Claudio Contartese, Barbara Braga, Giovanni Leoni, Luigi Mauro, Edoardo Ciciriello, Aldo Rendina, Sabrina Rubino, Anda Cirelli, Rosaria Danzè, Vittorio Rondella, Antonio Madaro, Erika Doria, Iolanda Donnini, Massimo Greco, Emanuele Aquilino, Aldo Boarino, Rosina Borgi, Paolo Sansalone, Irene Vistarini, Fabrizio Nicastro, Renato Liprandi, Domenico Ragusa, Francesco Guzzo, Antonino Prestipino, Corrado Borsa, Paolo Sena, Domenico Mungo, Valerio Contartese, Marco Testa, Mirella Ferrera, Dario Dogliani, Giuseppe D’Angelo, Davide Pecetto, Giannicola Resta, Simonetta Benozzo, Pietro Paglietti, Rossana Rovere, Ileana Spalla, Nanni Tormen, Gianluigi Marcone, Tiziana Catalano, Luisella Tamietto, Clara Droetto, Fabrizio Gifuni, Pierfranco Ghisleni Produzione: Vittorio e Rita Cecchi Gori, C.G.G. Tiger Cin.Ca Srl
Distribuzione: Cecchi Gori  Durata: 124′
 
Nel 1958 il siciliano Giovanni arriva a Torino, dove già si trova il fratello più giovane Pietro. Giovanni ha un progetto ambizioso: lui, analfabeta, vuole che Pietro compia gli studi fino al diploma e diventi maestro, perché possa raggiungere quei traguardi di apprendimento e di cultura che arricchiscono e fanno maturare una persona. Ma intanto anche Giovanni deve in qualche maniera sistemarsi e vivere. Così, faticosamente, si inserisce nel giro degli altri immigrati, soprattutto siciliani, che in quel periodo arrivano numerosi nel capoluogo piemontese. La mattina, Pietro fa finta di andare a scuola, ma non ci va, senza dire niente al fratello. Giovanni intanto fa vari lavori, si fa conoscere, infine passa dall’altra parte e diventa tra coloro che procurano lavoro ai nuovi arrivati. Passano alcuni anni, Pietro affronta l’esame, prende il diploma, dovrebbero essere tutti e due felici. Giovanni intanto si è sposato, vorrebbe mettere a posto le cose. Ma una sera, mentre sono insieme, si allontana per parlare con un uomo. Comincia una lite, Pietro accorre, l’uomo cade a terra ucciso. Pietro è arrestato per omicidio, condannato e rinchiuso nel carcere minorile. Tempo dopo, un assistente sociale lo accompagna alla festa di Giovanni, uomo ormai dalla posizione ben definita. I due fratelli si rivedono, ma il dialogo tra loro è ormai impossibile.
 
La trasformazione dell’Italia da contadina ad urbana nel racconto di due fratelli siciliani emigrati a Torino dal 1958 al 1964. Un film sulla violenza del cambiamento, sui limiti del familismo e sugli ideali traditi dal destino. La clandestinità di quegli anni raccontata attraverso un ufficio di collocamento che sfrutta i meridionali e la corruzione tramite le raccomandazioni che ricorda molto l’attualità a quasi 20 anni di distanza. Un’opera che non ha perso la sua modernità come moderne sono sempre state le migrazioni.
 
LA CRITICA
 
Undicesimo lungometraggio (sei per la TV) di G. Amelio (S. Pietro Magisano, CZ, 1945) che chiude, secondo la critica, un’ideale trilogia (Il ladro di bambini, 1992; Lamerica, 1994). Leone d’oro a Venezia 1998, clamoroso insuccesso di pubblico e, in parte, di critica. L’amore fraterno, argomento di tanti film, non era mai stato raccontato in modi così accesi. In filigrana vi si può leggere il rapporto tra padri e figli (adulti e adolescenti), leitmotiv del cinema di Amelio. Nel finale sconsolato è ancora una volta il “minore” che dà una lezione di vita. Le ambizioni di romanzo sono evidenti già nell’impianto narrativo dove aggalla la sua calcolata imperfezione: dissonanze, ellissi, enigmi, indizi, scarti, trasalimenti, cadute. È un film faticoso, inquietante, di un pessimismo disperato che fa male. “Di tutti e tre, è il film che si riferisce di più all’oggi, nella sua spietatezza… Siamo tutti circondati da tanti Giovanni. Questa è la disperazione: non vedere di fronte a te nessuna speranza di cambiamento” (G. Amelio). A esaltare Torino, trasformata in tanti set cinematografici, c’è la straordinaria fotografia di Luca Bigazzi in Super35 sgranata, dura, dai rapporti fortemente contrastati di luce, giocata sui neri profondi, tranne che nell’ultimo capitolo. Altrettanto riconoscibile e alta è la cifra musicale di Franco Piersanti. ( Morando Morandini)
 
La struttura a ellissi del racconto spiega forse più dei singoli episodi rappresentati il respiro del film e il valore dei suoi argomenti: seguendo le gesta dei protagonisti per una sola giornata l’anno, per poco più di un lustro della loro vita, perdendo così di vista i nessi di causa/effetto che solitamente stanno alla base delle azioni dei personaggi (ad esempio non sappiamo dove Giovanni abbia conosciuto la moglie), risulta evidente che la storia di Pietro e Giovanni non è importante in sé, ma perché capace di diventare simbolo di un’intera società, o almeno di una larga fetta di essa.

 

Gli occhi prima illusi e poi amaramente sofferenti di Giovanni sono quelli di migliaia di immigrati che negli anni Cinquanta sono andati nelle grandi città del nord con la speranza di arricchirsi e vivere una vita più degna; il disorientamento impotente di Pietro di fronte alle aspettative del fratello è quello provato da chi aveva sulle spalle il compito di far crescere socialmente, attraverso la cultura, la famiglia di provenienza. Non si parla solo di due fratelli, ma si racconta di un popolo nel delicato passaggio tra il dopoguerra e il boom economico. I temi dell’immigrazione, della famiglia e dell’innalzamento di classe sociale si vanno a intrecciare tra loro e trovano nell’adolescente Pietro, in quanto anello più debole della catena, sia la miccia che fa esplodere i conflitti, sia spesso il capro espiatorio per la loro risoluzione.  L’esperienza di Pietro spazza via qualsiasi illusione di una migrazione “culturale” o “alta”. Le persone non si spostano dal proprio paese d’origine per crescere culturalmente, non strappano le radici dalla propria terra per arricchire un patrimonio di conoscenze, per essere in definitiva persone migliori, come Giovanni sperava diventasse suo fratello. A meno di non appartenere a qualche élite, ogni espatrio è una perdita di umanità, è un cedimento etico, è una caduta verso il basso. Giovanni è costretto a diventare un malavitoso per sopravvivere, Pietro deve dimenticare ogni aspirazione personale per salvare il fratello da sicuro arresto.  L’emigrazione svuota dall’interno anche l’istituto familiare. Il rapporto tra Giovanni e Pietro non è quello paritario tra fratelli, ma quello gerarchico tra padre e figlio. Il maggiore decide l’avvenire del minore perché lo mantiene economicamente. Pietro è costretto a cedere a questo ricatto monetario e a fare quel che vuole Giovanni, senza poter scegliere il proprio futuro.  Del padre Giovanni ha solo l’autoritarismo, ma non ha né la responsabilità, né l’autorevolezza (perché non riconosciuta da Pietro), né la volontà educativa: egli anzi cede alle lusinghe del mito del boom, credendo di poter essere una figura di riferimento per Pietro solo perché gli permette di comprarsi i vestiti nuovi e vivere, in affitto, in una bella casa borghese di Torino. Alla fine il sistema di attese però travolgerà solo il ragazzo costringendolo a fuggire in Sicilia, senza più quella famiglia che Giovanni, al contrario, si è costruito autonomamente.  Altra illusione sgombrata via dal “fallimento” dell’adolescente è quella che sia possibile scalare le classi sociali in una sola generazione. Per ambire a un ceto sociale più elevato è necessario che passi almeno una generazione da quella che si è trasferita. Giovanni non pare averlo capito quanto Pietro. Ma alla fine è sempre Pietro a dover pagare il dazio più alto a quest’illusione. Giovanni si è arricchito con metodi non ortodossi, ma non ha raggiunto il suo sogno, Pietro si è sacrificato per lui e ora torna, desolato, in Sicilia, unico vero sconfitto della storia.            (Marco Dalla GassaAiace Torino)