Euronote – A rischio povertà nell’Ue più giovani che anziani

 Milano, 20.6.2016
 
 
 
 
 
 
 
 
A rischio povertà nell’Ue più giovani che anziani
Le ricadute della crisi colpiscono soprattutto la fascia d’età 20-29 anni
 
Una delle peggiori eredità della crisi è l’aumento del numero di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale in Europa, cioè con reddito familiare disponibile (dopo i trasferimenti sociali, le tasse e altre deduzioni) inferiore al 60% del reddito medio nel loro Paese, forte deprivazione materiale e bassa intensità lavorativa. Tra il 2008 e il 2014, cioè nel periodo di punta della crisi, il numero di persone a rischio povertà ed esclusione sociale nell’Ue è infatti aumentato di circa 5 milioni, passando da 116,5 a 121,8 milioni, con un’incidenza sulla popolazione totale aumentata dal 23,8% al 24,4%. Significative le differenze tra gli Stati membri, dal 40% circa di Romania e Bulgaria al 15% di Repubblica Ceca o il 17% circa di Paesi Bassi e Paesi scandinavi, ma resta il fatto che il rischio di povertà ed esclusione sociale durante la crisi è aumentato in 14 Stati membri. Ancor peggio se si considera la sola componente della povertà da reddito, aumentata in ben 18 Stati membri e che ha interessato mediamente il 17,2% della popolazione europea rispetto al 16,6% del 2008.
 
Povertà in aumento tra i giovani, in calo tra gli over 65
 
Uno studio pubblicato dalla Commissione europea evidenzia però come la povertà di reddito negli ultimi anni non abbia colpito allo stesso modo tutte le fasce d’età. Considerando la popolazione in età lavorativa (20-64 anni) il rischio di povertà economica è passato dal 13,5% del 2007 al 15,9% del 2014, con un incremento di quasi il 20%. Tutte le fasce d’età di questa popolazione hanno registrato un aumento, ma la più colpita è stata quella dei giovani tra i 20 e i 29 anni, con un accesso al mercato del lavoro sbarrato da una doppia recessione, il cui tasso di rischio di povertà da reddito è passato dal 15,4% al 20%.
Un altro gruppo di età che si distingue, ma in senso opposto, è quello delle persone con più di 65 anni di età che, osserva lo studio, hanno fatto registrare un calo del rischio di povertà economica dal 20,3% del 2007 al 14,6% del 2014, tasso decisamente inferiore a quello elevato dei giovani ma inferiore anche a quello generale della popolazione in età lavorativa.
 
Pensioni più stabili rispetto agli altri redditi
 
«Se i giovani adulti sono i principali perdenti della crisi, si può dire che gli anziani sono i vincitori?» si domanda lo studio, rispondendo che «questo è tutt’altro che certo». Il calo dei tassi del rischio di povertà economica degli anziani, infatti, può essere il risultato della maggiore stabilità delle pensioni rispetti agli altri redditi.
I redditi da lavoro e da capitale sono crollati abbassando il reddito medio, così è possibile che sempre più persone anziane si trovino al di sopra della soglia di rischio di povertà del 60% del reddito medio pur senza avere aumentato i soldi a loro disposizione. Inoltre, la composizione di questo gruppo di età può anche essere cambiata a seguito di un gran numero di cosiddetti “baby-boomers” (nati tra il dopoguerra e la metà degli anni Sessanta) andati in pensione negli ultimi anni. I nuovi pensionati, infatti, tendono ad avere pensioni migliori rispetto ai pensionati più anziani, molti dei quali sono donne vedove con pensioni basse.
 
I giovani contribuenti pagheranno le pensioni future
 
«Sono necessarie ulteriori analisi per capire cosa c’è dietro questa apparente inversione delle fortune tra i giovani adulti e i pensionati e quanto possa essere duratura» osservano gli autori dello studio, sottolineando però come sia chiaramente anche nell’interesse degli anziani che i giovani adulti vedano migliorare presto la loro situazione grazie a migliori opportunità del mercato del lavoro. Infatti, creare migliori opportunità affinché i giovani siano economicamente attivi è di fondamentale importanza in prospettiva, considerando che «dovranno essere le giovani generazioni di contribuenti a finanziare i sistemi pensionistici e di assistenza sanitaria necessari per l’invecchiamento della popolazione».
 
Forti connessioni tra lavoro e povertà
 
Lo stretto legame tra povertà e condizione occupazionale è stato evidenziato anche dal recente Caritas Cares Report, con cui Caritas Europa ha ribadito come l’espulsione dal mercato del lavoro rappresenti un primo fattore di rischio. Oltre alla perdita di reddito, infatti, secondo Caritas Europa ci si allontana dalla vita attiva e dalle relazioni, si rischia la perdita di competenze e ci si espone a possibili atteggiamenti discriminatori da parte dei datori di lavoro, per i quali persone lungamente inattive sono difficilmente collocabili.
Altro fattore di rischio segnalato dal Rapporto è quello della povertà lavorativa (in-work poverty), la cui diffusione è favorita sia dalla scarsa qualificazione della forza lavoro sia dalle misure di consolidamento fiscale che finiscono per indebolire i sistemi di protezione sociale. Caritas Europa individua proprio nella protezione sociale la leva per prevenire questo tipo di rischio: «Servono dispositivi di reddito minimo e sistemi di Welfare che considerino adeguatamente la composizione dei nuclei familiari e la loro intensità lavorativa».
 
I MESSAGGI CHIAVE DELLA RETE EUROPEA CONTRO LA POVERTÀ
 
Commentando le Raccomandazioni specifiche per Paese della Commissione europea e sulla base delle indicazioni giunte dalle 31 reti nazionali, l’European anti-poverty network (Eapn) ha pubblicato un documento sulle azioni anti-povertà in Europa. Questi i 6 messaggi chiave: 1) Sono aumentate le raccomandazioni sulla povertà, ma mancano di coerenza e strategia integrata. 2) L’austerità è ancora dominante, mentre servono investimenti sociali e una politica fiscale redistributiva. 3) L’adeguatezza del reddito minimo è minacciata dai tagli alla rotezione sociale universale. 4) Maggiore accessa a sanità di qualità, servizi integrati e alloggio, ma l’efficienza viene prima. 5) La politica dell’occupazione continua ad essere un gioco di numeri, con enfasi sul lato dell’offerta. 6) Alcuni progressi in materia di istruzione inclusiva, ma nessun collegamento agli obiettivi di Europa 2020.