La crisi del Covid-19 ha portato una regressione dei diritti umani in Europa
Milano, 20.4.2021
Oltre alle note conseguenze sanitarie, economiche e sociali la pandemia ha inciso sulla sfera dei diritti delle persone, in modo più o meno evidente ma comunque certo. Lo affermano le principali agenzie e organizzazioni impegnate nella tutela dei diritti umani e civili, in base ai monitoraggi effettuati nell’ultimo anno. «Poche crisi, se non nessuna, dalla Seconda Guerra mondiale hanno avuto un impatto globale sull’Europa come la pandemia da Covid-19. Dalla diffusione delle teorie complottiste antisemite sull’origine della malattia e il prendere di mira le persone di origine asiatica all’inizio della pandemia, fino ai conseguenti lockdown e la recessione economica che ha colpito maggiormente i gruppi emarginati, la crisi del Covid-19 ha portato una complessiva regressione nei diritti umani in Europa» ha osservato il recente Rapporto annuale della Commissione anti-razzismo del Consiglio d’Europa (Ecri).
Limitazioni dei diritti fondamentali
L’Agenzia dell’Ue per i diritti fondamentali (Fra) pubblica un bollettino periodico in cui analizza come le misure messe in atto dagli Stati membri dell’Ue per fronteggiare la pandemia possono incidere sui diritti fondamentali, in particolare sui diritti sociali.
Gli stati di emergenza consentono di limitare alcuni diritti, come la libertà di circolazione (articolo 45 della Carta europea dei diritti fondamentali), la libertà di assemblea e associazione (art. 12), vita privata e familiare (art. 7). Gli organismi per i diritti umani e le organizzazioni della società civile europea, sottolinea la Fra, hanno espresso crescenti preoccupazioni per le modifiche al processo legislativo e le limitazioni in corso dei diritti fondamentali, così come sulla condotta della polizia durante le proteste. La misure introdotte dai governi europei hanno avuto un impatto significativo su vari settori della vita quotidiana, influenzando diritti sociali quali il diritto all’istruzione (art. 14), il diritto di svolgere un’attività lavorativa (art. 15), la libertà di condurre un’impresa (art. 16), i diritti dei lavoratori all’informazione e consultazione (art. 27), il diritto alla tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. 30), il diritto a condizioni di lavoro eque (art. 31), il diritto alla sicurezza sociale e assistenza sociale (art. 34), il diritto di accesso all’assistenza sanitaria preventiva e a beneficiare di cure mediche (art. 35). Per quanto concerne l’accesso all’assistenza sanitaria, in molti Stati membri sono emerse mancanza di letti ospedalieri, personale insufficiente e carenza di attrezzature adeguate, nonché l’accesso limitato per il trattamento di patologie non Covid. Nel diritto all’istruzione è emerso un aggravamento delle disuguaglianze provocato dalla didattica a distanza e dall’accesso ai necessari strumenti digitali. Evidenti poi le conseguenze della pandemia sui mercati del lavoro degli Stati membri, con aumento dei livelli di disoccupazione soprattutto tra giovani e donne. I problemi nell’accesso ad alloggi dignitosi ha provocato un aumento del numero di senzatetto, condizione che espone a maggior rischio di infezione, a difficoltà di accesso ai test e all’assistenza sanitaria. L’Agenzia dell’Ue sottolinea inoltre il forte impatto sui diritti sociali di gruppi particolari di popolazione, quali persone istituzionalizzate, anziane, disabili, migranti, richiedenti asilo e rifugiati, rom e nomadi.
I gruppi più colpiti dalle discriminazioni
Fra i gruppi più colpiti dalla pandemia, il Rapporto dell’Ecri segnala i Rom, la cui situazione si è deteriorata perché spesso confinati in quartieri sovraffollati con limitato accesso ai servizi pubblici, dove il distanziamento fisico e un’igiene adeguata sono quasi impossibili. Poi i migranti e i richiedenti asilo, soprattutto quelli di recente arrivo nell’Ue e presenti in modo irregolare, non in grado di accedere a cure sanitarie essenziali poiché privi di codice fiscale, e i lavoratori migranti stagionali che vivono e lavorano in cattive condizioni sanitarie, quindi particolarmente soggetti a contrarre il virus. Allo stesso tempo, osserva il Rapporto, gli ebrei hanno continuato a subire odio e violenza antisemiti, con minacce da parte dei neonazisti e degli islamisti e senza sufficienti risposte della polizia. L’Ecri ha inoltre espresso preoccupazione per l’ostilità verso i diritti umani delle persone Lgbti, cresciuta e alimentata dalla retorica populista omofoba e transfobica e dall’ascesa del cosiddetto movimento anti-gender: «Sono state adottate nuove misure legislative restrittive, lanciate sfide ai diritti delle persone Lgbti a livello politico e si sono verificate aggressioni motivate dall’odio».
Un barometro dell’odio e dell’intolleranza
Una prova delle crescenti espressioni di intolleranza e discriminazione durante la pandemia è costituita dal Barometro dell’odio, iniziativa con cui Amnesty International misura l’impatto che le ripercussioni della pandemia sui diritti economici, sociali e culturali hanno avuto sulla discriminazione online. L’intolleranza pandemica rilevata dal Barometro è definita da Amnesty «intersezionale e radicalizzata»: un commento su 10 è offensivo, discriminatorio e/o hate speech (di incitamento all’odio), mentre i soli discorsi d’odio sono aumentati del 40%. Si tratta di un odio che colpisce in modo trasversale: sessista, omobitransfobico, razzista e xenofobo, islamofobo, antisemita, antiziganista, classista, «che aumenta il rischio di esclusione e di discriminazione di chi è più vulnerabile» sottolinea Amnesty, secondo cui «la crisi sanitaria, sociale ed economica ha dato il via a una caccia alla strega ancora più frenetica e aggressiva: si scaglia contro chi ricopre la funzione di capro espiatorio ormai da tempo (migranti e rifugiati su tutti) e fa emergere la fragilità di altre identità e gruppi sociali».
Amnesty ha anche analizzato il basso livello di inclusività della comunicazione istituzionale durante la pandemia: linguaggio, idioma e mezzi non accessibili a tutti, informazioni confuse, invisibilità di alcuni temi e gruppi fragili. «Per le categorie sociali già marginalizzate – osserva Amnesty – significa non venire a conoscenza o non comprendere informazioni essenziali per potere fruire dei propri diritti economici, sociali e culturali, anche in ambito sanitario. Cresce così il livello di esclusione e diminuisce quello di sicurezza».