Euronote – Giornata europea per la parità retributiva

Milano, 6.11.2017

Il 3 novembre rappresenta simbolicamente il giorno in cui le donne lavoratrici smettono di essere pagate rispetto ai loro colleghi uomini, per questo si è celebrata quest’anno la Giornata europea per la parità retributiva. Si stima infatti che la retribuzione oraria media delle donne in Europa sia inferiore del 16,3% a quella degli uomini.

«La parità di genere, compresa la parità di retribuzione tra uomini e donne, è uno dei valori fondanti dell’Ue, ma è ancora lontana dall’essere una realtà. Negli ultimi anni il divario retributivo di genere è sostanzialmente rimasto invariato. Ciò significa che, rispetto ai loro colleghi uomini, le donne lavorano gratuitamente per due mesi all’anno. Si tratta di un’ingiustizia sconvolgente e inaccettabile nell’Europa del XXI secolo» hanno dichiarato congiuntamente i commissari europei Frans Timmermans, Marianne Thyssen e Věra Jourová.

Cos’è il divario retributivo di genere

Trasversale ai vari settori dell’economia, il divario retributivo di genere è la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne, che mediamente nell’Ue è del 16,3% secondo Eurostat. L’Ufficio statistico dell’Ue calcola anche il divario retributivo di genere complessivo, che consiste nella differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini e che nell’Ue è stimato al 39,6%. Questa stima, spiega Eurostat, tiene conto dei tre principali svantaggi affrontati dalle donne rispetto agli uomini: retribuzione oraria inferiore; meno ore di lavoro retribuito; minore tasso di occupazione, dovuto soprattutto alle interruzioni di carriera per prendersi cura di figli o familiari.

Proclamando la Giornata europea del 3 novembre la Commissione europea ha indicato quali sono i principali fattori che contribuiscono al divario retributivo di genere:

• Le posizioni lavorative di gestione e supervisione sono ricoperte in larga maggioranza da uomini, che ricevono più promozioni in tutti i settori e quindi sono pagati di più delle donne. Tendenza che raggiunge il culmine ai livelli più alti: meno del 6% dei dirigenti è donna.

• Le donne si fanno più carico degli uomini di importanti compiti non retribuiti, quali i lavori di casa e la cura dei figli o familiari. I lavoratori uomini dedicano in media 9 ore a settimana ad attività non retribuite quali cure familiari o lavori di casa, mentre le lavoratrici dedicano a tali attività 22 ore, ossia circa 4 ore al giorno. Così, una donna su tre riduce le ore di lavoro retribuite per richiedere un part-time, mentre solo un uomo su dieci fa lo stesso.

• Le donne tendono a trascorrere più spesso periodi di tempo fuori dal mercato del lavoro rispetto agli uomini. Queste interruzioni di carriera influenzano non solo la loro retribuzione oraria, ma hanno anche un impatto sui loro guadagni futuri e sulla loro pensione.

• Esiste poi una “segregazione” femminile nell’istruzione e nel mercato del lavoro, cioè in alcuni settori e occupazioni le donne sono sovrarappresentate, mentre in altri sono sovrarappresentati gli uomini. Alcune occupazioni, quali l’insegnante o l’addetta alle vendite, sono svolte prevalentemente dalle donne, posizioni che offrono salari inferiori rispetto a occupazioni prevalentemente svolte da uomini, a parità di esperienza e qualifiche. La discriminazione retributiva, pur vietata, continua a contribuire al divario retributivo di genere.

In attesa del Pilastro europeo dei diritti sociali

Nell’aprile scorso la Commissione europea aveva presentato proposte legislative sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare, che potrebbero offrire alle madri, ai padri e ai prestatori di assistenza maggiore flessibilità e migliore protezione, nel caso desiderino prendere un congedo per occuparsi dei figli, beneficiare di forme di lavoro flessibili o tornare al lavoro. La Commissione invita pertanto il Parlamento europeo e il Consiglio a portare avanti tali proposte, mentre l’impegno dell’Ue per garantire la parità di genere tra i suoi cittadini sarà ancora una volta affermato il prossimo 17 novembre nel corso del Vertice sociale per l’occupazione e la crescita eque, con la proclamazione da parte delle tre istituzioni dell’Ue del Pilastro europeo dei diritti sociali. «In occasione della Giornata europea per la parità retributiva ci impegniamo a difendere pari diritti e opportunità per uomini e donne sul mercato del lavoro, e continueremo a farlo finché l’Ue non diventerà un luogo che le donne vorranno chiamare casa» hanno dichiarato i tre commissari europei.

Intanto, pur segnalando l’atteggiamento virtuoso di molti Paesi europei in materia di parità di genere, il Rapporto 2017 del World Economic Forum sul Global Gender Gap illustra una situazione molto preoccupante a livello mondiale: ai ritmi attuali di miglioramento si stima che il divario di genere sul posto di lavoro non sarà eliminato per i prossimi 217 anni.

Le raccomandazioni dei sindacati europei

Le priorità per ridurre il divario retributivo di genere sono state indicate dalla Confederazione europea dei sindacati (Ces) fin da una risoluzione del 2008. Un quadro regolamentare forte, che richieda contratti per affrontare le disuguaglianze retributive, è importante ma non sufficiente secondo la Ces, che ritiene necessario un approccio multilivello anche sancito nelle negoziazioni sindacali.

Tra le raccomandazioni dei sindacati europei per la parità retributiva le contrattazioni collettive settoriali, con valutazioni di impatto ed efficacia. Inoltre, sostiene la Ces, per integrare la prospettiva di genere in tutti i negoziati e nei contratti collettivi si devono considerare: la segregazione professionale e la sottovalutazione del lavoro femminile; i tempi di lavoro per i genitori che esercitano diritti di congedo familiare; i diritti dei lavoratori part time e delle donne che lavorano in impieghi precari; opportunità di formazione e di carriera per le donne, in particolare per i lavoratori a tempo parziale e per i lavoratori con accordi di lavoro flessibili; affrontare la scarsa retribuzione delle donne nei settori femminili e nei salari minimi specifici del settore; migliorare la situazione delle giovani donne; contrastare efficacemente la violenza di genere e le molestie sessuali e morali sul posto di lavoro.