Milano, 16.9.2019
La domanda di istruzione terziaria continua a crescere, ma la sua espansione sarà sostenibile solo se corrisponderà alle esigenze sociali e del mercato del lavoro, fornendo ai futuri laureati la formazione e le competenze necessarie: è quanto sostiene il Rapporto Education at a Glance 2019 dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico costituita da 36 Paesi, in maggioranza europei. In generale, rileva l’Ocse, la percentuale di laureati nella fascia d’età 25-34 anni è cresciuta di 9 punti percentuali in 10 anni, passando dal 35% del 2008 al 44% del 2018, tuttavia alcuni settori incontrano difficoltà a trovare le competenze di cui necessitano: meno del 15% dei nuovi iscritti ai programmi di laurea studia ingegneria e meno del 5% studia tecnologie della comunicazione, nonostante si tratti dei settori con i più alti tassi di occupazione. Il divario di genere nei guadagni persiste a tutti i livelli di rendimento scolastico ed è più ampio tra gli adulti con istruzione terziaria. In media, il 14,3% dei giovani di età 18-24 anni nei Paesi dell’Ocse non lavora e non è impegnato nell’istruzione o nella formazione (Neet), percentuale che supera il 25% in Brasile, Colombia, Costa Rica, Italia, Sudafrica e Turchia.
Le principali tendenze tra i Paesi dell’Ocse
Il Rapporto evidenzia alcune delle caratteristiche maggiormente diffuse a livello di Ocse. Ad esempio, la partecipazione all’istruzione della prima infanzia è in aumento, pur rimanendo ancora bassa in molti Paesi per quanto concerne i bambini con meno di 3 anni. «L’istruzione e l’assistenza della prima infanzia offrono chiari benefici per lo sviluppo cognitivo e sociale dei bambini, quindi è incoraggiante vedere che la partecipazione tra i bambini di 3-5 anni è aumentata dal 2005 al 2017, passando dal 76% all’87% in media nei Paesi Ocse» osserva il Rapporto, sottolineando però come solo il 26% dei bambini con meno di 3 anni è iscritto a un programma formale di educazione e cura della prima infanzia. Altra tendenza diffusa a livello di Ocse riguarda l’aumento negli ultimi dieci anni della spesa per l’istruzione primaria, secondaria e post-secondaria non terziaria, nonostante la diminuzione della popolazione studentesca. Tuttavia, nota il Rapporto, nel 2018 ancora il 15% dei giovani adulti (25-34 anni) nei Paesi dell’Ocse non aveva un’istruzione secondaria superiore, con percentuali superiori al 20% in alcuni Paesi. Nel 2016 la spesa media per l’istruzione primaria, secondaria e post secondaria non terziaria a livello di Ocse è stata equivalente al 3,5% del Pil, con un aumento del 18% dal 2005, nonostante il calo degli studenti, ciò è dovuto secondo il Rapporto 2019 soprattutto alle classi meno numerose e all’aumento degli stipendi degli insegnanti. L’analisi dell’Ocse segnala poi l’aumento diffuso del numero di giovani adulti in possesso di un’istruzione terziaria: con il 44% dei giovani di età compresa tra 25 e 34 anni che nel 2018 avevano conseguito una laurea si è raggiunta la quota più alta mai registrata dal 1992 in questa fascia d’età. Questa espansione ha favorito soprattutto le giovani donne: nel 2018 circa una donna su due aveva un titolo di studio superiore rispetto a un uomo su tre. Ci sono però incongruenze evidenziate dal fatto che certi settori incontrano difficoltà a trovare le competenze di cui hanno bisogno. Sebbene l’ingegneria e le tecnologie della comunicazione presentino le migliori prospettive occupazionali, la percentuale di laureati in questi campi rimane mediamente bassa: 14% in ingegneria, produzione e costruzione e 4% nelle tecnologie della comunicazione nel 2017. Al contrario, oltre il 40% dei laureati ha conseguito una laurea in economia, diritto, arte e scienze umane o scienze sociali. Infine, osserva ancora il Rapporto, continua a diminuire il numero di persone che scelgono la professione di insegnante e questo causa preoccupazioni in prospettiva: nella maggior parte dei Paesi dell’Ocse la percentuale di insegnanti della scuola primaria e secondaria tra i 50-59 anni è maggiore della quota tra i 25-34 anni.
Italia: preoccupano i dati sui Neet
Il problema dell’età degli insegnanti è forte nel caso italiano: l’Italia ha tra i Paesi Ocse la più alta percentuale di insegnanti di età superiore ai 50 anni (59%) e la più bassa di insegnanti di 25-34 anni, mentre nel prossimo decennio dovrà rinnovare circa metà del suo corpo docente. Altra particolarità italiana riguarda la percentuale di laureati nella popolazione di 25-64 anni: solo il 19% rispetto a una media Ocse del 37%, anche se è in aumento tra le giovani generazioni con il 28% (34% per le giovani donne). L’Italia registra poi la seconda quota più alta (29%) di adulti laureati nelle discipline artistiche e umanistiche, in scienze sociali, giornalismo e nel settore dell’informazione tra i Paesi dell’Ocse. Ma il dato più preoccupante è che l’Italia ha la terza quota più elevata di giovani che non lavorano, non studiano e non frequentano un corso di formazione (Neet): il 26% dei giovani di 18-24 anni, rispetto alla media Ocse del 14%. Circa l’11% dei 15-19enni è Neet, quota che però triplica per i 20-24enni, raggiungendo il 29% per le femmine e il 28% per i maschi nella classe d’età in cui inizia la transizione verso l’istruzione terziaria e il mercato del lavoro. Sebbene il livello d’istruzione femminile sia più alto, il tasso di giovani Neet aumenta fino al 37% per le donne di 25-29 anni. Differenze tra i livelli d’istruzione: tra i 25-29enni, l’Italia registra la terza quota più elevata di Neet con un livello d’istruzione terziaria dopo Grecia e Turchia, attestandosi al 23% rispetto alla media Ocse dell’11%; in questo gruppo, il 28% dei giovani con un livello d’istruzione secondario superiore o post-secondario non terziario è Neet, quota che aumenta fino al 51% per coloro senza istruzione secondaria superiore. Il gruppo Neet comprende sia i giovani inattivi (che non cercano lavoro) sia i disoccupati: l’Italia e la Colombia sono gli unici due Paesi dell’Ocse con tassi superiori al 10% per le due categorie (inattivi e disoccupati) tra i 18-24enni. Inoltre, la Grecia e l’Italia sono gli unici Paesi in cui più della metà dei 18-24enni è rimasta senza lavoro almeno per un anno.