Milano, 22.3.2016
Migrazioni: nuovo accordo tra Ue e Turchia
Il Consiglio europeo ha adottato un piano per affrontare l’emergenza profughi
Tra molte discussioni e difficoltà i leader dei 28 Stati membri dell’Ue riuniti nel Consiglio europeo del 17-18 marzo hanno raggiunto un accordo per avviare un Piano di collaborazione con la Turchia che, secondo le intenzioni, dovrebbe limitare i flussi anomali di profughi e migranti verso la Grecia.
In cambio di un sostanzioso contributo economico fornito dall’Ue (3 miliardi di euro subito e altri 3 fino al 2018) e di un’accelerazione verso l’esenzione dei visti per i cittadini turchi che intendono entrare nell’Ue (a condizione che le autorità turche soddisfino i requisiti previsti), la Turchia accetta di riaccogliere sul proprio territorio tutti i migranti partiti dalle sue coste e giunti illegalmente in Grecia dal 20 marzo 2016 in poi. Si tratta, sottolinea il Consiglio europeo, di «una misura temporanea e straordinaria, necessaria per porre fine alla sofferenza umana e ristabilire l’ordine pubblico», mentre «i costi delle operazioni di rimpatrio saranno coperti dall’Ue». Al fine di rendere accettabile alle autorità turche questo ingente flusso di ritorno e per cercare di incentivare i canali regolari dell’asilo e della protezione umanitaria l’Ue introduce la regola dell’“uno per uno”: per ogni migrante riaccompagnato in Turchia l’Ue si impegna a reinsediare sul proprio territorio un rifugiato siriano presente in Turchia, fino a un massimo di 72.000 persone. Sarà data priorità a coloro che non hanno già tentato di raggiungere l’Ue in modo irregolare. Inoltre, per evitare espulsioni di massa in violazione del diritto internazionale, l’Ue si impegna ad analizzare i singoli casi dei migranti presenti in Grecia e procedere al riaccompagnamento in Turchia solo di coloro che non abbiano diritto all’asilo e alla protezione internazionale.
Resta poi la delicata condizione del “Paese terzo sicuro”, su cui deve basarsi ogni espulsione dal territorio dell’Ue e sulla quale molto insistono organizzazioni e organismi internazionali e l’Europarlamento. Amnesty International, ad esempio, ha denunciato i rischi di un «vergognoso accordo, se con un semplice tratto di penna la Turchia verrà dichiarata Paese sicuro dove rimandare i rifugiati, poiché la Turchia oggi non è un Paese sicuro per alcuna persona». I rinvii saranno legali, sostiene allora l’Ue, quando la Grecia riconoscerà lo status di “Paese terzo sicuro” alla Turchia: a tale scopo le autorità dei due Paesi saranno assistite dall’Ue e dall’Unhcr per prendere le misure necessarie.
Scarso impegno di molti Stati membri
L’accordo con la Turchia, la cui difficile applicazione andrà costantemente monitorata per scongiurare violazioni dei diritti umani, non sarà comunque risolutivo per i problemi dell’Ue nella gestione della crisi dei rifugiati. Tutto dipende infatti dalla volontà degli Stati membri di collaborare concretamente alla soluzione dei problemi, cosa su cui il Consiglio europeo ha evitato di pronunciarsi chiaramente e che per ora sembra ancora piuttosto lontana da venire. Nel 2015 la Commissione europea aveva proposto un sistema di solidarietà tra i Paesi dell’Ue, che prevedeva di ricollocare 160.000 persone dagli Stati membri sotto pressione in altri Paesi dell’Unione europea, e di reinsediare 20.000 persone bisognose di protezione internazionale spostandole da alcuni Paesi terzi verso l’Ue. Il 16 marzo scorso la Commissione ha pubblicato una Relazione sull’attuazione dei meccanismi temporanei di ricollocazione di emergenza e sul programma europeo di reinsediamento, evidenziando i gravi ritardi degli Stati membri.
Ricollocazione «insoddisfacente»
Con il meccanismo temporaneo di ricollocazione di emergenza, istituito dal Consiglio nel settembre 2015, gli Stati membri si sono impegnati a ricollocare 160.000 persone dall’Italia e dalla Grecia (ed eventualmente da altri Stati membri) entro settembre 2017. Al 15 marzo scorso, però, erano stati ricollocati dalla Grecia e dall’Italia appena 937 richiedenti asilo, con un ritmo nei trasferimenti definito «insoddisfacente» dalla Commissione europea, secondo cui il fattore più importante nel rallentamento del processo è «la mancanza di volontà politica da parte degli Stati membri, che si è tradotta in un numero limitato di offerte di ricollocazione e nella lunghezza dei tempi di risposta». Per rispettare gli impegni presi nel quadro del meccanismo di ricollocazione dovrebbero essere realizzate almeno 5.600 ricollocazioni al mese, osserva la Commissione insistendo sulla necessità di accelerare il ritmo in modo che si giunga ad almeno 20.000 ricollocazioni entro il maggio prossimo.
Reinsediamento difficoltoso
Anche per quanto riguarda il reinsediamento, che dovrebbe consentire a cittadini di Paesi terzi bisognosi di protezione internazionale di giungere nell’Ue in modo sicuro e ben gestito, la Commissione segnala ritardi e difficoltà.
Nel luglio 2015 gli Stati membri dell’Ue si erano impegnati a reinsediare 22.504 persone in evidente bisogno di protezione internazionale, in linea con quanto proposto dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur-Unhcr). Ebbene, al 15 marzo scorso le persone reinsediate in 11 Paesi dell’Ue erano solo 4.555. La maggior parte dei Paesi partecipanti ha accolto siriani provenienti dalla Giordania, dal Libano e dalla Turchia. Le principali difficoltà constatate, osserva la Commissione, «derivano dalle differenze tra gli Stati membri in termini di criteri di scelta, durata delle procedure, strumenti di integrazione e numero di posti disponibili. Pongono problemi anche la mancanza di capacità di accoglienza e i ritardi nel rilascio dei nulla osta di uscita nei Paesi terzi». La Commissione invita dunque ad accelerare gli scambi di migliori prassi ed esperienze tra i Paesi di reinsediamento, specialmente per i Paesi che intraprendono il reinsediamento per la prima volta.
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