Euronote – Migrazioni verso l’Ue: meno arrivi, ma più vittime

Milano, 2.11.2016
 
 
 
 
 
 
 
Migrazioni verso l’Ue: meno arrivi, ma più vittime
Il 2016 l’anno più tragico per i flussi nel Mediterraneo secondo i dati dell’Unhcr
 
Mentre l’Unione europea cerca con difficoltà di attuare le politiche previste in materia di immigrazione e avvia il processo per la creazione di una guardia europea costiera e di frontiera, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur-Unhcr) denuncia l’aggravarsi della situazione per quanto concerne la sicurezza dei migranti, soprattutto per coloro che cercano di raggiungere via mare le coste europee.
 
Secondo l’Agenzia dell’Onu, infatti, nonostante manchino due mesi alla fine dell’anno e il numero dei migranti diretti verso l’Ue sia decisamente diminuito rispetto allo scorso anno, il numero delle persone morte e disperse nel Mediterraneo (almeno 3.740) nei dieci mesi del 2016 finora trascorsi si avvicina molto a quello dell’intero 2015 (3.771 vittime), che era stato l’anno peggiore per le migrazioni verso l’Ue. Il dato 2016 equivale a una media di 374 vittime al mese, 12 al giorno: numeri inaccettabili. Colpisce soprattutto la crescente frequenza delle morti sui flussi migratori che attraversano il Mediterraneo: se nel corso del 2015 erano state oltre un milione le persone che avevano intrapreso la pericolosa traversata (1.015.078 secondo l’Unhcr), in dieci mesi di quest’anno il numero si è ridotto a circa un terzo (327.800), ma l’incidenza delle vittime è invece triplicata passando da un morto ogni 269 migranti del 2015 a uno ogni 88 del 2016, dato che nel Mediterraneo centrale è addirittura più alto con una morte ogni 47 arrivi.
 
Le cause dell’incremento di questo tragico bilancio sono molteplici, spiegano i responsabili dell’Unhcr: «Circa la metà di coloro che attraversano il Mediterraneo sono diretti in Italia e si imbarcano dal Nord Africa, una rotta notoriamente più pericolosa. I trafficanti stanno inoltre utilizzando imbarcazioni di qualità sempre più scarsa, tra cui fragili gommoni che spesso non resistono all’intera durata del viaggio. Inoltre le tattiche dei trafficanti stanno cambiando: in molti casi si sono verificate partenze di massa di migliaia di persone in contemporanea. Questo può essere dovuto al fatto che il traffico di esseri umani si sta orientando verso nuove modalità o la percezione che i rischi legati alla traversata siano minori che in passato, il che rende il lavoro dei soccorritori più arduo». Eppure, osserva l’Unhcr, esistono misure che potrebbero salvare molte vite umane e che si basano sull’accesso a percorsi regolari che garantiscano la sicurezza di profughi e rifugiati, da attuare attraverso il rafforzamento del reinsediamento e dell’ammissione umanitaria, il ricongiungimento familiare, la sponsorizzazione privata, la concessione di visti per motivi umanitari, di studio e di lavoro.
 
La nuova Guardia europea di frontiera
 
Misure, queste, perlopiù contenute nell’Agenda europea sulla migrazione, che però a un anno e mezzo dalla sua adozione continua a essere in parte disattesa causa la negligenza e l’opposizione di vari Stati membri. La condivisione delle responsabilità e la solidarietà tra i governi dell’Ue in merito all’accoglienza dei migranti restano così “buone intenzioni”, mentre, come ha confermato il Consiglio europeo del 20-21 ottobre, l’intesa tra gli Stati membri si limita quasi esclusivamente all’intensificazione dei controlli alle frontiere esterne.
 
In questo senso va la creazione «a tempo di record», come ha sottolineato il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker di fronte all’Europarlamento, del nuovo Corpo europeo di guardie costiere e di frontiera, nato ufficialmente il 6 ottobre scorso con l’approvazione del Parlamento europeo e che dovrebbe essere pienamente operativo entro la fine dell’anno. Il nuovo sistema di controllo delle frontiere esterne dell’Ue riunisce l’agenzia comunitaria di frontiera Frontex e le autorità di gestione delle frontiere nazionali. Secondo le nuove regole, le autorità nazionali continueranno a occuparsi delle normali attività di gestione, ma nel caso di situazioni critiche potranno chiedere l’intervento della nuova Agenzia europea per la guardia costiera e di frontiera, che potrà dislocare rapidamente squadre d’intervento. L’Agenzia non disporrà di guardie di frontiera proprie, ma potrà contare su una riserva formata da 1.500 guardie nominate dagli Stati membri (125 dall’Italia).
 
Nelle intenzioni dell’Ue, l’Agenzia, che ha un mandato più ampio e nuovi poteri rispetto a Frontex, dovrebbe «contribuire a gestire l’immigrazione in modo più efficace, migliorare la sicurezza interna dell’Ue e salvaguardare il principio della libera circolazione delle persone». La nuova gestione delle frontiere esterne dell’Ue dovrebbe così diventare effettivamente una responsabilità condivisa tra l’Ue e gli Stati membri.
 
Non bastano i controlli
 
Inasprimento dei controlli e accordi con i Paesi di provenienza e transito dei migranti sono iniziative legittime, ma utili ed efficaci solo se parte di una strategia ben più ampia come ad esempio quella prevista dall’Agenda europea sulla migrazione. Lo dimostra l’accordo tra Ue e Turchia, che ha effettivamente diminuito i flussi migratori dalla Turchia verso la Grecia, con un numero di migranti passato in sei mesi da 739.000 a 18.000, da circa 2.000 arrivi al giorno a meno di 100. Molteplici sono però le denunce di gravi violazioni dei diritti umani avanzate da Amnesty International e altre Ong, mentre come ammette lo stesso direttore della nuova Agenzia europea per le frontiere, Fabrice Leggeri, «con la chiusura della rotta balcanica e l’accordo tra Bruxelles e Ankara, la rotta del Mediterraneo centrale è tornata a essere la più utilizzata e il numero di arrivi è destinato a crescere ancora». Il risultato reale è dunque spesso quello di spostare semplicemente il problema senza risolverlo, e magari involontariamente aumentare i rischi per le persone.
 
Anche sul recente sgombero dei circa 1.900 migranti accampati nella cosiddetta “Giungla” di Calais molte sono state le denunce di violazioni dei diritti e di soluzioni inadeguate.
 
La situazione di Calais, ha osservato l’Unhcr, ha ulteriormente confermato la necessità di «una risposta europea che sia davvero collettiva e di vasta portata, basata su principi umanitari, sull’accesso alla protezione, sulla solidarietà e la condivisione delle responsabilità, all’interno dell’Ue ma anche con i Paesi esterni».