L’azione globale per il clima, già in ritardo, sembra subire un rallentamento
Un esito prevedibile e deludente, ma che non deve frenare l’impegno globale sul clima e i cambiamenti climatici. Questo, in estrema sintesi, l’esito della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici COP29, svoltasi a Baku (Azerbaigian) dall’11 al 24 novembre scorsi, che è stata la XXIX Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Non solo, quella di Baku è stata anche 19ª Conferenza delle Parti del Protocollo di Kyoto (CMP19) e la 6ª Conferenza delle Parti dell’Accordo di Parigi (CMA6). Dopo due settimane di negoziati, l’accordo finale sui finanziamenti per il clima non soddisfa minimamente le richieste dei Paesi in via di sviluppo e, soprattutto, posticipa ulteriormente l’obiettivo. Inoltre, questa COP non ha inviato un segnale chiaro sulla necessaria riduzione delle emissioni, rischiando quindi di ritardare l’azione globale per il clima che andrebbe invece accelerata. «Il mondo è stato tradito da questo debole accordo sui finanziamenti per il clima. In un momento cruciale per il Pianeta, questo fallimento minaccia di far regredire gli sforzi per affrontare la crisi climatica» ha osservato Manuel Pulgar-Vidal, ex ministro dell’Ambiente del Perù e presidente della COP20, ora responsabile globale Clima ed Energia del WWF. Un duro colpo all’azione per il clima, secondo Pulgar-Vidal, che però «non deve bloccare le soluzioni di cui c’è un disperato bisogno in tutto il mondo. La scienza non cambia: dobbiamo accelerare l’azione in questo decennio per evitare che il cambiamento climatico vada fuori controllo. Dobbiamo investire nel nostro futuro collettivo».
Accordo debole sui finanziamenti per il clima
La finanza climatica e il problema della mitigazione sono stati i temi centrali della COP29, con più ombre che luci come evidenziato da una dettagliata analisi svolta dall’Italian Climate Network, organizzazione che si occupa di cambiamenti climatici e che ha seguito le due settimane di lavoro della Conferenza. Sui finanziamenti per il clima è stato cambiato e posticipato l’obiettivo precedente: il “vecchio” obiettivo globale prevedeva di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno verso i Paesi in via di sviluppo entro il 2025, mentre l’accordo di Baku prevede un doppio obiettivo che porta ad almeno 300 miliardi di dollari all’anno ma entro il 2035 la mobilitazione di risorse finanziarie, nell’ambito di un più ampio incremento globale che punterà a mobilitare almeno 1300 miliardi all’anno. Si tratta di cifre distanti da quelle richieste dai Paesi in via di sviluppo e dalla società civile, ma soprattutto dalle comunità più vulnerabili che stanno già affrontando gli effetti della crisi climatica. «Nessuna menzione ad un vero e proprio diritto di accesso alla finanza per il clima per le comunità più vulnerabili, debitamente elencate ma nel contesto di incrementare ed estendere i loro benefici. Un testo debole anche sotto questo punto» osserva l’Italian Climate Network, secondo cui «la COP fallisce nel dotare il mondo di un nuovo obiettivo all’altezza delle aspettative immediate dei Paesi più fragili, ma ne trova uno di compromesso, un compromesso ora da percorrere».
Un passo indietro su mitigazione e diritti umani
Deludente anche l’approccio della COP29 sulla mitigazione, cioè su tutte le misure necessarie per limitare l’aumento delle temperature entro 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali: nel testo finale non c’è alcun riferimento a questa soglia. Tutto ciò è avvenuto nonostante il monito lanciato poco prima della Conferenza dall’Emission Gap Report del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), secondo cui con gli attuali impegni nazionali ci si avvia verso un riscaldamento globale catastrofico fino a 2,6°C nel corso del secolo. Le discussioni sulla mitigazione sono state bloccate da Cina, Paesi arabi e Paesi africani, che hanno rifiutato di accettare obiettivi imposti dall’alto o da altri Stati. Oltre a non essere mai citato il picco delle emissioni, come invece era avvenuto alla COP28, l’accordo della COP29 non definisce neppure azioni o impegni concreti per ridurre le emissioni e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. L’Italian Climate Network segnala inoltre una falla per quanto concerne i diritti umani: «Il testo adottato a Baku non dice niente in merito all’eventuale divieto di utilizzo sotto il nuovo sistema di progetti che violino apertamente i diritti umani delle comunità coinvolte. I diritti umani non sono mai nominati nell’intero testo».
Prestazioni climatiche: benino l’Ue, male l’Italia
In occasione della COP29 è stato presentato anche il Climate Change Performance Index 2025, che stila una classifica dei Paesi in base alle prestazioni relative ai cambiamenti climatici. È stato scelto di non assegnare le prime tre posizioni della classifica, dal momento che nessun Paese ha agito in modo opportuno per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta. Si parte dunque dal quarto posto, dove si conferma la Danimarca grazie alla riduzione delle emissioni e allo sviluppo delle rinnovabili. Seguono i Paesi Bassi (5°) e il Regno Unito (6°), con quest’ultimo che recupera molte posizioni (era 20°) grazie alla nuova politica ambientale. L’Unione europea è stabile a centro-classifica (17°), con 16 Paesi nella parte medio-alta (Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, Lussemburgo, Estonia, Portogallo, Germania, Lituania, Spagna, Grecia, Austria, Francia, Irlanda, Slovenia, Romania e Malta), ma con la Germania che scende di due posizioni (16°) per l’inazione nei settori del trasporto e edile. Male l’Italia, che si trova nella parte bassa della classifica (43°) perché, come spiega Legambiente, «sul fronte energetico persegue una politica miope incentrata su fonti fossili e su un possibile ritorno del nucleare», mentre invece dovrebbe sviluppare «un hub nazionale delle rinnovabili, semplificando e velocizzando gli iter autorizzativi, riducendo inoltre le emissioni del 65% entro il 2030 in coerenza con l’obiettivo di 1,5°C».
La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, scende ulteriormente raggiungendo il 55° posto, mentre a fondo classifica si trovano Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Iran.